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Quando fare il prof era una vocazione.

da Il Corriere della Sera del 21/3/2005

 

C’è stato un tempo, direi sino a 25 anni fa, in cui si sceglieva di fare gli insegnanti. Quasi per vocazione. Ed è venuto un tempo in cui s’è pensato di «poter anche» fare il professore, magari nei mesi in attesa di un meglio (specie per le discipline tecnico-scientifiche) che poi non arrivava: divenendo insegnanti «per ripiego».

E se è vero che forse qualcosa è mutato con le Ssis, comportanti un certo impegno e la necessità d’una ben precisa scelta, è un fatto che la caratteristica principale della scuola italiana è un montante disagio. Lo è per quei docenti per i quali la scuola è divenuta un lavoro fra tanti altri, bastando mettersi in graduatoria per entrarci.

Lo è ancor più per i docenti di ieri, sempre più sviliti economicamente e socialmente in un ruolo scelto anche fra molte idealità, la cui creatività e impegno (talora volutamente masochistici) sono frustrati dall’accentuazione burocraticistica, succube dell’ossessione del «pedagogicamente corretto» (così Galli Della Loggia), sempre pronta a sfornare caterve di «sofisticazioni e deliri pan-pedagogici come il demenziale Portfolio delle conoscenze che sta facendo impazzire - per ora - le maestre elementari». Espressione, questa, che riprendo da «Perché non sarò mai un insegnante» di Gianfranco Giovannone (seguito da «Perché ho fatto il prof» di Giovanni Pacchiano, Longanesi, pagg. 160), coi frutti dell’inchiesta condotta su 150 studenti del suo liceo.

Da parte degli studenti, sprezzanti verso una professione in cui «si fatica tanto e si guadagna così poco». E dello stesso autore, spietato nei confronti sia dello sfascio scolastico perpetrato da politici e sindacalisti, sia dei quintali di parole dei cosiddetti esperti che la scuola la conoscono forse solo dai cancelli d’ingresso. Un libro su cui e con cui riflettere. Magari anche perché il suo «pessimismo desolante» funga da pedana per un rilancio della «fisionomia complessiva della categoria». Un sussulto di speranza che Giovannone ricava proprio da questi motivati «nuovi arrivi» nelle aule.