«Periodi di prova in azienda?

Non si aspettino miracoli».

di G. Ben. da Il Corriere della Sera del 25/3/2005

 

ROMA - «Parlano dell’alternanza scuola-lavoro come di un pellegrinaggio a Lourdes: ci si aspetta un risultato miracoloso solo da un effetto d’ambiente, cioè dal fatto che i ragazzi trascorrano periodi più o meno lunghi in un contesto organizzato in cui c’è una cultura aziendale, supponendo che in qualche modo i ragazzi restino contaminati da questa cultura». Per il professor Benedetto Vertecchi, cattedra a Roma 3 di Pedagogia sperimentale, l’alternanza è solo una trovata per non affrontare il problema vero che è quello dell’obbligo scolastico fino a 18 anni. Il rapporto con il mondo del lavoro, del saper fare, non conta nulla?

«Non è che non conti nulla. Bisogna distinguere tra aspetti cognitivi e aspetti affettivi. Un’esperienza in azienda di per sé non ha un valore cognitivo, ma soprattutto affettivo. Ci può essere un interesse, una motivazione che si manifesta, una curiosità da parte dei ragazzi. Però nella prima parte della vita ciò che conta è quanto si accumula in termini di conoscenza. Trovarsi di fronte a dei processi che non si conoscono e non si comprendono e dei quali gli stessi addetti in linea di massima non capiscono la logica non vedo quale ricaduta cognitiva possa avere ».

Però quest’anno c’è stato una sorta di boom di domande da parte delle scuole: 20 mila ragazzi stanno partecipando a esperienze di alternanza scuola-lavoro.

«Bisogna mettere in conto l’enorme battage sull’alternanza da parte di tutto l’apparato dell’istruzione. Mi chiedo anche quanto sia costato tutto questo. Invece di fare operazioni a effetto meglio investire in quello che nelle aziende chiamano ricerca e sviluppo: organizzazione, processi cognitivi, valutazione, uso dei materiali didattici. In tutti questi settori non si fa ricerca» .