«Altro che federalismo:
messe radicalmente in discussione l’autonomia scolastica
e le prerogative delle Regioni».

«Scuola, riforma fallita:

per troppo centralismo».

di Roberto Monteforte, da l'Unità del 10/3/2005

 

ROMA La scuola della Moratti è nel caos. Pare proprio un cantiere aperto senza progetto. L’effetto è un senso di precarietà e incertezza che colpisce chi nella scuola lavora, ma anche famiglie e studenti. «Le ragioni sono tante. Ma ce ne è una di fondo che spiega il fallimento della Moratti» commenta Andrea Ranieri, responsabile Scuola, Università e Ricerca della Quercia alla vigilia delle prossime elezioni regionali.

A cosa si riferisce?

«Quando decise di smantellare la riforma Berlinguer, la Moratti aveva affermato che quella legge andava riscritta proprio sulla base delle modifiche introdotte dalla riforma dell’articolo quinto della Costituzione, quella sul federalismo. Vi erano nel centrodestra le spinte a cancellare le riforme dell’Ulivo, ma questa è stata la ragione formale e sostanziale della sua riforma. Quest’obiettivo è sostanzialmente fallito. La legge 53 e i suoi decreti non hanno tenuto in nessun conto le novità introdotte con il federalismo. E mi riferisco in particolare alla dignità assegnata anche costituzionalmente all’autonomia scolastica e ai nuovi poteri attribuiti alle Regioni e al sistema degli Enti locali su progettazione e programmazione dell’offerta formativa, nonché sulla gestione delle risorse dell’insieme del sistema di istruzione e formazione»

Indicazioni ignorate dal governo di centrodestra?

«Esattamente. Si è praticato un centralismo esasperato che ha messo in discussione radicalmente sia l’autonomia scolastica, sia le prerogative vere delle Regioni. È l’effetto delle contraddizioni politiche che segnano questa maggioranza, attraversata da spinte fortemente divaricanti: predicano una devolution improbabile e praticano un rigido centralismo. Guardiamo il decreto sulla scuola di base: è netta la violazione organizzativa e didattica dell’autonomia della scuola. Si è finito per prevedere al dettaglio ciò che le scuole devono fare, a riproporre con nomi nuovi i vecchi programmi ministeriali, a descrivere puntigliosamente i quadri orari».

E la bozza di riforma delle superiori?

«L’attacco all’autonomia è ancora più chiaro. Il potere delle Regioni viene risolto affidando loro l’istruzione professionale. Ma si ignora totalmente come il potere che hanno le Regioni su istruzione e formazione professionale sia inscindibilmente connesso ad un altro potere, quello di programmare l’insieme dell’offerta formativa sul territorio. Così l’istruzione professionale rischia di essere sempre più declassata. Eppure è stata luogo di sperimentazioni alte, con risultati importanti. Ha consentito di mettere in rapporto cultura e professione, tecnica e scienza».

Invece, con la ricetta Moratti cosa accade?

«Che gli istituti tecnici, i “licei tecnologici”, perdono la pratica e il collegamento con il fare. E che l’istruzione professionale, ridotta a quattro anni, perde l’accesso all’università e rischia di diventare professionalità senza cultura. È il trionfo della logica ipercentralistica».

Il quadro è disperante...

«E invece bisogna evitare che la gente perda fiducia nella scuola pubblica. Che in questo clima di incertezza gli insegnanti si demotivino e le famiglie finiscano per pensare al liceo come unico approdo certo».

Cosa propone?

«Per l’immediato, occorre convocare una sessione della conferenza Stato-Regioni dedicata proprio all’interpretazione del capitolo quinto della Costituzione. Si fermi la Moratti. Non può continuare con tutti questi decreti esposti al rischio di incostituzionalità. Riapra una discussione che coinvolga Regioni, Enti locali e mondo della cultura. Sottoscrivo il preoccupato appello lanciato dal Cidi sui programmi ministeriali. Sono stati scritti da un pugno di tecnici fedelissimi, lasciando fuori il meglio della cultura italiana. Per fermare lo sfascio è indispensabile rilanciare un progetto. Ripartire dalla definizione di un sistema scolastico nazionale in cui spetta al governo, in una consultazione ampia nel paese, ridefinire gli obiettivi generali del sistema formativo, delle competenze e del valore del titolo di studio che deve avere valore europeo. Poi vi è il problema delle risorse e della vera valorizzazione professionale degli insegnanti. Vanno ripensati gli organi di governo della scuola».

E i compiti delle Regioni?

«Programmare l’offerta formativa. Le Regioni hanno il compito di tenere unito sistema di istruzione e di formazione, integrando i percorsi liceali con quelli tecnici. Utilizzando al meglio anche la formazione professionale. Un obiettivo immediato è quello di ristabilire l’obbligo scolastico per il biennio delle superiori. Spetta alle Regioni organizzare una rete delle scuole dell’autonomia che in maniera unitaria veda presenti tutte le opportunità formative. Dove in uno stesso istituto si trovino i licei e l’istruzione professionale. Solo così sarà possibile tenere insieme “pratica e teoria”, “sapere e saper fare” da cui possono nascere tanti e diversi percorsi formativi. È anche questo un tema delle prossime elezioni. Una scadenza importante, bisogna esserne consapevoli perché questo progetto è già oggi percorribile. Le Regioni che ci credono, come l’Emilia, la Toscana o la Campania, sono in grado di attuare gran parte di quanto prevede il titolo quinto della Costituzione. Lo affermano i pronunciamenti dell’Alta Corte che ha bocciato il ricorso del governo contro l’Emilia che con una sua legge ha indicato un percorso unitario e integrato del sistema di istruzione e formativo. Nonostante la Moratti questo progetto è fattibile. Lo possono decidere i cittadini votando per quelle forze politiche che difendono le prerogative costituzionali delle Regioni».

Una ragione di più per votare Unione alle prossime elezioni?

«Certo. Con un’accortezza e mi rivolgo in questo caso a chi ha responsabilità politiche sul territorio. Perché questo progetto cammini occorre coerenza. Avere, quindi, una visione d’insieme dei temi della formazione e dell’istruzione che significa assicurare un governo unitario di queste tematiche. Per questo occorre resistere alle logiche di bilanciamento politico che rischiano di sfilacciare in diversi assessorati le competenze su formazione, istruzione e lavoro. È successo in alcune province governate anche dal centrosinistra. Ricordiamolo, mai sarebbero state possibili le cose fatte in Emilia, in Toscana o in Campania se si fosse seguita quella logica».

 

Andrea Ranieri,
Responsabile Scuola Ds,