L'esclusione e la scuola. Considerazioni a partire da una scarpa. di Pablo Gentili da Proteo Fare Sapere dell'11/3/2005
Una scarpa perduta
Quella mattina, decisi
di uscire per qualche acquisto con Matteo, mio figlio piccolo, che
dopo alcuni isolati, già dormiva tranquillamente nel passeggino. Mi
accorsi che una delle sue scarpe era slacciata e stava quasi cadendo.
Decisi di toglierla per evitare che si perdesse. Pochi secondi dopo
un’elegante signora mi avvertì: "Attenzione! Suo figlio ha perso una
scarpina". "Grazie! – risposi – ma gliel’ho tolta io stesso". Alcuni
metri più in là il portinaio di un edificio, un signore dal sorriso
timido e di poche parole, mosse la sua testa in direzione del piede di
Matteo, dicendo con un tono grave: "La scarpa". Alzai il pollice in
segno di ringraziamento e continuai il mio cammino. Prima di arrivare
al supermercato, svoltando all'angolo fra l’Avenida Nossa Senhora de
Copacabana e Av. Raínha Elisabeth, un surfista, ugualmente preoccupato
del destino della scarpa di Matteo, disse: "Guarda, tuo figlio ha
perso una scarpa". Nel supermercato, le persone continuarono a
richiamare la mia attenzione. Arrivando al nostro appartamento, João,
il portiere, con l’abituale teatralità gridò svegliando il piccolo:
"Matteo! Tuo padre ti ha perso la scarpa". Cominciai a sentirmi a
disagio: "Perché il piede scalzo di un bambino della classe media è
motivo di attenzione in una città con centinaia di bambini brutalmente
scalzi?" La domanda sembrava banale. Tuttavia, in breve, mi resi conto
che conteneva alcune delle questioni centrali. Mentre è "anormale" che
un bambino della classe media vada scalzo, è assolutamente "normale"
che centinaia di bambini di strada camminino senza scarpe, vagando per
le vie di Copacabana, chiedendo l’elemosina. Lo sguardo che normalizza
La normalizzazione
dell’esclusione comincia quando scopriamo che, in fin dei conti, in
buona parte del mondo ci sono più esclusi che inclusi. Come afferma il
sociologo francese Robert Castel (1997), possiamo riconoscere tre
forme qualitativamente diverse di esclusione: l’eliminazione
completa di una comunità attraverso pratiche di espulsione o
sterminio; il meccanismo di confinamento o reclusione (è il
destino ieri dei lebbrosi e oggi di bambini delinquenti, indigenti,
pazzi, "portatori di handicap", vecchi nelle case geriatriche e
prigionieri); la segregazione includente. La scuola delle molte esclusioni
L’utile
categorizzazione offerta da Robert Castel permette di valutare meglio
una delle poche conquiste che, in materia di politica educativa, i
governi neoliberali e latino-americani di solito offrono ai loro
critici: il progresso dei processi di universalizzazione della
scolarità di base, la quale indicherebbe – secondo quanto affermano –
una diminuzione progressiva (e tendenzialmente totale) degli indici di
esclusione educativa. Risulta però evidente che la crescita del tasso
di scolarizzazione, l’aumento degli anni dell'obbligo scolastico (da 8
negli anni '80, a 10 alla fine degli anni '90), la diminuzione
dell’indice di analfabetismo assoluto e del tasso di abbandono e
ripetizione scolastica non sono stati merito esclusivo dei governi
neoliberali e conservatori al potere in gran parte dell’America Latina
negli ultimi vent’anni. Sono stati piuttosto frutto di azioni di
rivendicazione; così come i processi di democratizzazione, più che
generosi regali, sono stati il prodotto di resistenze sociali dei
settori popolari con le loro richieste e strategie di lotta. L’esclusione educativa come relazione sociale
Lo scenario ereditato
da queste riforme si rivela più drammatico se riconosciamo che,
diversamente dai supposti meriti del neoliberalismo, non è altro che
l’inoccultabile emblema del suo chiaro carattere antidemocratico ed
escludente. I riformatori di turno affermano che oggi il centro delle
politiche pubbliche sono coloro che agiscono, gli attori, le persone.
In questa situazione, dicono, una politica che promuova la giustizia
deve aiutare coloro che si trovano in situazioni di svantaggio
(poveri, analfabeti, bambini, disoccupati, insomma: esclusi). È un
obiettivo lodevole che ha dato origine a innumerevoli politiche
specifiche e a un ventaglio di programmi sociali: azioni compensatorie,
sistema di adozione di scuole e/o persone ("adotta un analfabeta",
"diventa padrino della scuoletta del tuo quartiere"), appelli alla
responsabilità sociale di tutti (specialmente degli imprenditori),
volontariato, promozione di azioni filantropiche, ecc. Il fatto che
l’anno 2001 sia stato dichiarato Anno Internazionale del
Volontariato, ha permesso la diffusione di un’ampia gamma di
discorsi che esaltano l’altruismo e la generosità come strategie di
lotta alla povertà ed ai suoi effetti collaterali. "Sii amico dei
poveri" è diventato lo slogan del momento, in una valanga di messaggi
disparati dal marketing sociale delle imprese e del governo,
improvvisamente sensibilizzati dal colore, la dimensione, la forma e
l’odore della miseria. L’esclusione e il silenzio
Tuttavia, il problema
più grave o la questione centrale consiste, credo, nel fatto che ci
stiamo abituando al processo storico di esclusione educativa. "Perché
avventurarsi in una donchisciottesca e inutile azione a favore di
quelli che non hanno nulla?". L’apartheid educativo appare
inevitabile.
* La traduzione è di Maria Pia Montesi e Alessio Surian.
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