Devolution o dissolution? da TuttoscuolaFocus, N. 94/190 del 21 marzo 2005
In un articolo pubblicato sulla rivista "Scuola e didattica" si sostiene che da due anni giornali, piazze, partiti di opposizione, sindacati, rappresentanti di Comuni e Province, intellettuali organici, etc. hanno criticato la "riforma della riforma del Titolo V", ossia le modifiche che l’attuale maggioranza intende apportare al nuovo Titolo V della Costituzione varato dal centro sinistra nel 2001. La cosiddetta devolution di Bossi costituirebbe un rischio per l’unità della nazione e per la garanzia di una erogazione equa, su scala nazionale, di servizi sociali e civili decisivi per tutti come la scuola e la sanità. Da qualche tempo, tuttavia, continua il corsivo, si stanno stratificando in maniera sempre più vistosa prese di posizione di natura esattamente opposta. Emblematica, osserva la rivista bresciana, la presa di posizione pubblicata sulla rivista dei Comuni "Strategie amministrative" (n. 6, 2004, pp. 5 e ss.), intitolata "Il paradosso della riforma costituzionale: un nuovo accentramento". Il riformista Michele Salvati dei Ds (Corriere della sera, 19 marzo 2005) in un articolo che egli stesso definisce, visti i tempi irrazionali, addirittura da ‘illuminismo sfrenato", scrive che "la ri-riforma del Titolo V (...) corregge alcuni eccessi, confusioni ed errori presenti nella riforma del centro sinistra e (...) non devolve in realtà poteri che le regioni non avessero già. Rimangono certo aspetti insoddisfacenti, in buona misura dovuti all’impianto della precedente riforma e probabilmente aggiustabili in via interpretativa. Ma l’eventuale passaggio della ri-riforma non costituirebbe uno strappo costituzionale". Lo costituirebbe invece, a suo avviso, la parte della riforma che non riforma il Titolo V, ma che interviene sulla riforma delle Camere e del premierato, non certo su scuola, sanità e polizia locale. Da qui, la proposta di Salvati al centro sinistra di sostenere l’immediata approvazione della ri-riforma del Titolo V e di chiedere invece lo stralcio del resto per una pausa di riflessione.
Per completare il quadro appare opportuno ricordare che, a prescindere dalla scelta di approvarla con una ristretta maggioranza, la riforma del Titolo V registrò nella passata legislatura contrasti non lievi da parte dell’opposizione di allora, attuale maggioranza. Se non andava bene quella riforma perché non si è tentato di modificarla radicalmente, perché è stata confermata, salvo ritocchi sulla ripartizione di competenze? Se si fosse trattato solo di lievi modifiche, come mai si registra un dibattito aspro ma muto in Senato, dove la voce del governo e della maggioranza è assente? Il nuovo articolo 117, votato la scorsa settimana, aggiunge altra incertezza e confusione nel quadro di riparto delle competenze, perché sovrappone due competenze esclusive, una statale e una regionale. Per corrispondere alla ultimativa richiesta della devolution della Lega, ribadita con le dimissioni tattiche del ministro per le riforme istituzionali Calderoli, è stata attribuita, tra l’altro, alle regioni la competenza esclusiva su scuola e sanità. In caso di conflitto quale competenza deve prevalere, quella statale o quella regionale? La riforma costituzionale è diventata terreno di scontro politico non solo tra maggioranza ed opposizione, ma anche all’interno della stessa maggioranza. Infatti nel testo convivono un po’ di federalismo, un po’ di centralismo, un po’ di interesse nazionale. Sembra quasi una riforma fatta solo per accontentare i diversi interessi politici della maggioranza. Il rischio è che con questa devoluzione si creino le premesse per rompere l’ordinamento unitario, per realizzare una progressiva tollerata ineguaglianza fra territorio e territorio. Se passa, per i suoi oppositori non resterebbe che la strada del referendum. |