La devolution? Un grande bluff.

Alle regioni organizzazione scolastica e gestione degli istituti.

 da ItaliaOggi del 29/3/2005

 

La devolution? Un grande bluff. La riforma costituzionale non comporterà affatto un incremento delle competenze regionali in materia di istruzione. E non affosserà l'unità del paese. Serve solo a precisare meglio quanto già affermato dall'attuale articolo 117 della Costituzione, come modificato nella passata legislatura, e a evitare una crescita esponenziale del contenzioso fra stato e regioni davanti alla Consulta. Parola di Carlo Giovanardi, ministro per i rapporti con il parlamento ed esponente di rilievo dell'Udc. A chi parla di attentato all'unità nazionale in settori strategici, come appunto quelli dell'istruzione, Giovanardi chiede se sappiano di cosa stanno parlando. ´Se vogliono fare polemica tanto per riempire i giornali facciano pure', dice Giovanardi, ´ma i fatti sono diversi, la nostra devolution non cambia nulla'. Il tanto criticato federalismo, insomma, sarebbe quello già varato dal centro-sinistra, che spaccò la disciplina dell'istruzione tra stato e regioni.

 

Domanda. Anche la Lega è al corrente?

Risposta. La riforma ha una spinta fortemente innovata su altri fronti, per esempio con il senato federale. Ma per scuola, sanità e polizia locale già oggi le regioni sono competenti a legiferare. In Lombardia, per esempio, i poliziotti locali già esistono. E per la sanità, nessuno può dire che l'offerta di assistenza sanitaria oggi è eguale in tutte le regioni. Non capisco chi grida allo scandalo.

 

D. L'Italia soffre di un forte gap territoriale in quanto a formazione e cultura, con un Sud che arranca e che è ancora terra di migrazione intellettuale. Il federalismo non finirà per accentuare le differenze invece che unificare?

R. L'unità dei programmi non è affatto in discussione. Sarà sempre il governo centrale a definire i piani base di studio, salvo una quota dedicata alle materie di interesse territoriale. Ma già oggi le scuole, grazie all'autonomia, possono introdurre una porzione dell'orario dedicata a discipline ad hoc. Attualmente le differenziazioni non solo tra regioni, ma tra scuola e scuola.

L'importante è che la cultura di base per i vari indirizzi sia la stessa. E a questo lo stato non ha rinunciato.

 

D. Come è possibile garantire unità all'istruzione se la formazione degli insegnanti non è la stessa sul territorio? La formazione è decisa a livello regionale.

R. Ma secondo criteri fissati dallo stato centrale. Questa riforma mette in mano alle regioni esclusivamente quanto già doveva essere loro in base all'attuale versione dell'articolo 117, in tal senso si è già espressa anche la Consulta. Ossia l'organizzazione delle scuole e la gestione degli istituti. Non capisco quali siano gli estremi di un attacco all'unità nazionale se lo stato non può legiferare sull'organizzazione scolastica e sulla gestione delle scuole.

 

D. Affidare alle regioni le competenze per l'organizzazione significa anche aprire a un reclutamento regionalizzato dei docenti?

R. Le leggi ordinarie attueranno i nuovi principi fondamentali.

Nell'ambito di quelle leggi misureremo l'ampiezza dei principi, giacché la Costituzione non può essere un elenco esaustivo di ciò che si può e non si può fare. Resta però sempre la clausola di salvaguardia che consente al governo centrale di ricorrere contro leggi regionali in caso di violazione non della competenza statale, ma dell'interesse nazionale.

 

D. Questo significa che ci sono comunque margini per un nuovo contenzioso tra stato e regioni...

R. Il contenzioso non potrà mai essere del tutto eliminato, ma riportato nell'alveo della normalità sì. È quello che tentiamo di fare con questa riforma, correggendo i tanti pasticci del federalismo di centro-sinistra