Un altro tassello della riforma Moratti.

di Anna Maria Sersale, da Il Messaggero del 26/3/2005

 

ROMA - Formazione per tutti fino a 18 anni. Un altro tassello della riforma Moratti è stato approvato. Il Consiglio dei ministri ha varato ieri, in via definitiva, due decreti legislativi, uno sull’alternanza scuola-lavoro, l’altro sul diritto-dovere all’istruzione per almeno 12 anni o, comunque, fino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età. «L’innalzamento dell’obbligo sarà graduale - avverte il ministro Letizia Moratti - e dal prossimo anno passerà da 9 a 10 anni. Per garantire il raggiungimento di questo obiettivo è previsto un investimento di 16 milioni di euro l’anno. Tra i risultati raggiunti, l’inserimento nel sistema formativo di altri 30mila ragazzi, che si aggiungono ai 90mila già recuperati». Prevista anche «l’esenzione dalle tasse di frequenza per qualsiasi scuola statale».

Altra novità rilevante è che i centri accreditati dalle Regioni per la formazione professionale avranno «pari dignità» rispetto alle scuole propriamente dette. Significa che un ragazzo potrà assolvere l’obbligo formativo tra i banchi, studiando, oppure in un centro di avviamento al lavoro, facendo un corso da elettricista o perito meccanico. Se la casa delle Libertà plaude, l’opposizione e i sindacati criticano duramente il provvedimento. «Una mascheratura - sostiene Maria Chiara Acciarini, senatrice sei Ds - In realtà l’obbligo scolastico scompare e viene sostituito dal fumoso diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, che non significa andare a scuola fino a 18 anni. Fa sorridere che oggi la Moratti parli di innalzamento dell’età dell’istruzione, dal momento che non ha mai riconosciuto quello che era stato già approvato dal governo del centrosinistra, con Berlinguer ministro». Un’altra stroncatura arriva da Albertina Soliani, ex sottosegretario con il governo dell’Ulivo, ora senatrice della Margherita. «Quei decreti - dice Soliani - indeboliscono l’asse dell’istruzione, spingendo gli adolescenti ad una scelta precoce del lavoro». Per la Confindustria, invece, così siamo «più vicini all’Europa». Il ministero si difende dicendo che il «diritto-dovere» vale quanto l’obbligo e che comunque ci saranno pesanti sanzioni nei confronti delle famiglie che non garantiranno la formazione dei figli. In ogni caso la Moratti, nell’illustrare il documento, è attenta a recuperare il termine di obbligo: «Lo abbiamo elevato per tutti dai 9 anni precedenti ai 12. Il provvedimento avrà effetti positivi. Perché a livelli di istruzione più elevati corrispondono posti di lavoro più qualificati e remunerati. Secondo l’Ocse ad ogni anno in più corrisponde un punto in più del Pil».

Ma per i partiti dell’opposizione la riforma «riporta l’Italia agli anni ’50 e accentua le differenze sociali, creando studenti di serie A e studenti di serie B». «Le ragazze e i ragazzi - osserva Alba Sasso, deputata Ds alla Camera - dovranno scegliere fra due percorsi diversificati e differenziati: il percorso dei licei e quello delle scuole professionali. Per di più l’alternanza scuola-lavoro diventa un ulteriore percorso: si va a lavorare senza alcuna protezione contrattuale e vale come se si andasse a scuola». Anche i sindacati lanciano bordate. Anche Francesco Scrima, segretario nazionale della Cisl, sindacato non certo di sinistra, attacca il ministro: «Nel decreto sul diritto-dovere, contrabbandato come innalzamento dell’obbligo scolastico, cassato dalla legge di riforma, appaiono troppo fragili gli strumenti per assicurare un effettivo percorso di istruzione e di formazione». Per Enrico Panini, segretario Cgil, i decreti «si traducono in meno istruzione di qualità per tutti». Poi Panini aggiunge: «Il governo usa escamotage verbali per mascherare gli effetti delle proprie scelte. Il decreto porterebbe l’obbligo a 18 anni quando nel 2003 è stata abrogata una legge che già lo aveva introdotto nella precedente legislatura. In realtà l’obbligo è stato cancellato e ciò equivale ad un invito per le famiglie socialmente più deboli a far studiare di meno i propri figli».

Dunque, il punto di scontro è l’introduzione del diritto-dovere alla formazione, altra cosa rispetto all’obbligo di istruzione (scuola). Un rompicapo per i non addetti ai lavori. «Torniamo al vecchio avviamento professionale - protestano gli studenti dell’Uds - Fare un corso da apprendisti parrucchieri o lavorare in fabbrica non può essere come andare a scuola. La formazione professionale si può fare dopo». Di opinione opposta i giovani di An e Forza Italia: «E’ una buona riforma».