Quando finirà il silenzio delle Regioni? da TuttoscuolaNews N. 197, 2 maggio 2005
Pochi lo hanno rilevato, ma le Regioni hanno raggiunto un risultato di alto profilo innovativo in sede di revisione del decreto sul secondo ciclo presentato dal governo a gennaio. Nel nuovo testo infatti non si parla più di dividere il sistema educativo, e di lasciare i licei e/o gli istituti tecnici allo Stato e gli istituti professionali alle Regioni. Con tutti i problemi che consegui-vano a questa pericolosa separazione (tipo 'esisteranno istituzioni scolastiche e docenti che dipenderanno dallo Stato e altre che dipenderanno dalle Regioni?'). Il nuovo testo del decreto, invece, accogliendo fino in fondo la rivoluzione imposta dal Tito-lo V della Costituzione e dalla sentenza n. 13 della Corte costituzionale, si limita a legiferare sugli aspetti ordinamentali del sistema educativo (percorsi liceali e livelli essenziali del-le prestazioni per l'istruzione e formazione professionale), e lascia impregiudicati tutti quelli organizzativi e gestionali che competono, per l'intero sistema, alle Regioni. L'impressione è che, dopo le modifiche introdotte al decreto, ogni scuola, fatta un'analisi della situazione, potrebbe decidere se proporre al proprio interno l'attivazione integrata di percorsi liceali e/o di istruzione e formazione professionale di durata variabile di tre, quattro cinque e più anni. Se così è, ogni scuola presenterà quindi i propri piani alle Regioni, ed esse, e solo esse, decideranno, in base alla programmazione predisposta, se, in quel terri-torio e in quella istituzione scolastica, si attiveranno i percorsi formativi richiesti.
La palla per decidere se un istituto
professionale potrà avere percorsi liceali o un liceo potrà attivare
anche percorsi di istruzione tecnica e professionale passerebbe quindi
integralmente dalle mani del ministero a quelle delle Regioni e delle
scuole. Il ministero istituirebbe soltanto sul piano ordinamentale,
garantendo le relative risorse, i percorsi liceali richiesti e
autorizzati dalle Regioni. Le polemiche così vive nelle scuole fino al
gennaio scorso relative al ‘dove finiremo: allo Stato o alle Regioni?’
dovrebbero ridursi.
Una cosa è tuttavia sicura: una scelta non è equivalente all’altra sia sul piano delle motivazioni sia su quello dei risultati. Sarebbe perciò interessante che le Regioni, e anche i sindacati cominciassero a dire come la pensano su queste scelte da cui dipende il destino di un paese che, come denunciano molti segnali di politica economica, rischia il declino. Per questo è necessario non guardare soltanto a Roma, ma sempre di più e meglio e in profondità ai capoluoghi di regione e alle politiche formative che stanno maturando in queste sedi. Quali segnali giungono dalle trattative per la formazione delle nuove giunte regionali? Segnali contraddittori. In molte regioni, come si è fatto alla Provincia di Milano e di Roma, si procederebbe nella direzione di distinguere gli assessorati all’istruzione e all’edilizia scolastica da quelli alla formazione professionale che andrebbero legati al lavoro. Una configurazione istituzionale che sembrerebbe quasi consideri un conto la scuola, di serie A, un altro la formazione professionale, di serie B; in questa concezione la prima sarebbe al servizio della persona e del cittadino, la seconda invece al servizio del lavoro o dei drop out. Come finirà? Lo vedremo nei prossimi giorni. |