L’accusa: fretta eccessiva nell’affrontare certi temi

e scarsa attenzione all’utilizzo dei concetti.

Troppe materie ma approfondimento minimo.

«La cultura da scritta è diventata audiovisiva».

Poco inglese e informatica,

le superiori bocciate dall’università.

I docenti degli atenei: alle matricole manca capacità di ragionamento.

«E non possiamo perdere tempo a insegnare l’uso di Excel e Power point».

di Annachiara Sacchi, da Il Corriere della Sera del 30/5/2005

 

Formare la classe dirigente del futuro, garantire sbocchi lavorativi sicuri, trasformare i giovani in seri professionisti. Studenti e famiglie chiedono questo all’università: una serie di certezze che devono valere l’investimento (in tempo e denaro) fatto con tanti sacrifici. Un compito che sta diventando sempre più difficile, si lamentano i docenti universitari, per colpa della scarsa preparazione dei ragazzi. «Non hanno metodo, mancano di qualsiasi capacità di astrazione».

Cosa chiedono, allora, gli atenei alla scuola? «Capacità di ragionamento, inglese, informatica». Sono queste le lacune delle matricole secondo Andrea Beltratti, prorettore della Bocconi. «In particolare - dice - inglese e informatica sono i grandi buchi neri della scuola. Noi non possiamo perdere tempo a insegnare l’uso di Excel e Power point. Sono cose che vanno imparate fin dalle elementari. Quanto alla capacità di ragionamento, noi professori universitari riscontriamo, alle superiori, una fretta eccessiva nell’affrontare certi temi e una scarsa attenzione all’utilizzo di certi concetti».

Troppe materie, poco approfondimento. È l’accusa che i docenti universitari rivolgono ai colleghi delle superiori. «Le tecniche di insegnamento - commenta Marcello Fontanesi, rettore dell’università degli Studi Milano Bicocca - vanno più verso l’informazione senza costrutto: troppi contenuti che non formano lo scheletro necessario per affrontare certi studi».

E i numeri parlano chiaro: «Se togliamo un 15 per cento che non ha problemi - continua Fontanesi - la fascia media ha difficoltà a esprimersi e a comprendere i testi. Ci sono poi quelli che non sanno organizzarsi e altri che sbagliano nello scegliere il percorso universitario».

Colpa di una cultura che una volta era scritta e che negli ultimi sei anni è diventata «audiovisiva». L’analisi è di Giovanni Gobber, docente di Linguistica generale alla Cattolica e direttore della Siss (Scuola di specializzazione per l'insegnamento secondario): «A loro piace fare schemi, ma poi non li sanno sviluppare. Non riescono a elaborare un pensiero astratto, a categorizzare. Invece di tante materie servirebbero poche cose: soprattutto logica e matematica. Per organizzare il sapere e leggere la realtà».

Di cultura visiva parla anche Marcello Pignanelli, preside della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali dell’Università degli Studi: «C’è un modo di ragionare legato ai nuovi mezzi di comunicazione che ha compromesso la capacità di riflettere. Ma l’analisi del fenomeno è difficile: può essere che alcune scuole abbiano funzionato peggio, che i genitori siano più lassisti. Il risultato è che per noi diventa molto difficile supplire a quello che non si è fatto prima. Potrebbe essere utile stabilire un maggior contatto con il mondo delle superiori e del lavoro». Secondo Giulio Ballio, rettore del Politecnico: «La scuola deve insegnare a studiare, a valutare, a collegare materie e argomenti».

Fatto sta che «il sistema scolastico si è impoverito e oggi l’università fa supplenza dei contenuti della scuola», commenta Giovanni Puglisi, rettore dello Iulm. «Il problema - continua - è che fin dai primi anni di formazione ci vuole una filosofia sistemica che purtroppo non c’è. Il sistema scolastico è in crisi paurosa». Ma. «Ma la colpa è anche del mondo accademico, visto che gli insegnanti di oggi sono i laureati di ieri. Allora l’università si rivaluti. E poi chieda alla scuola di fare la sua parte».