Secondo ciclo

La lunga vigilia sta per terminare. Forse.

da Tuttoscuola  del 24 maggio 2005

 

Il Consiglio dei ministri del prossimo  venerdì  27  maggio  dovrebbe varare in prima lettura lo schema di decreto legislativo  sul  secondo ciclo, certamente il più tormentato e il più difficile, come lo sono state tutte le riforme dell'istruzione secondaria superiore tentate in Italia nel dopoguerra, e tutte non a caso fallite.

La cosa sembra certa, ma l'uso del condizionale è comunque d'obbligo, essendosi verificati fino all'ultimo momento assestamenti  e  limature che  hanno  profondamente  modificato  l'impostazione  originaria  del decreto, in particolare per quanto riguarda  il  liceo  tecnologico  e quello economico,  inizialmente  configurati  in  chiave  marcatamente generalista, e con forti concessioni, quasi una  sorta  di  deferenza, nei confronti della nozione classico-umanistica della licealità.

La richiesta di una  parte  della  stessa  maggioranza  di  restituire identità e visibilità all'ex  istruzione  tecnica  (all'interno  del canale liceale, come proposto da AN, o in uno  spazio  autonomo,  come sostenuto dall'UDC) è stata alla fine accolta con una mediazione, che ha in sostanza salvaguardato la specificità  dei  percorsi  formativi tecnico-professionali,    sia   pure  inseriti  nel  contesto  di  una "licealità" allargata.

Certo, l'idea-forza della legge n. 53 di un "sistema di  istruzione  e formazione" alternativo e competitivo con quello dei licei  ha  dovuto cedere    il  passo  di  fronte  a  difficoltà  di  ordine  politico, costituzionale, istituzionale, sindacale. Ma  lo  storico  bipolarismo del nostro sistema di istruzione si è in  qualche  modo  ricostituito all'interno del "canale" liceale. Basta esaminare i  piani  di  studio degli indirizzi tecnologici ed economici  (ultima  versione),  con  le loro molte  ore  settimanali  destinate  al  blocco  delle  discipline caratterizzanti    i   singoli  indirizzi  (opzionali  obbligatorie), ulteriormente  incrementabili  con  ore  facoltative  a  scelta  dello studente.

 

Molti licei, nessun liceo?

Moratti come Berlinguer? Già il modello panlicealista della legge n. 30/2000 (Berlinguer-De Mauro) aveva suscitato più di un interrogativo sulla possibilità di compattare in un unico contenitore a base effettivamente unitaria i licei tradizionali a vocazione generalista (classico, scientifico, psicopedagogico, in parte artistico) con gli istituti tecnici, professionali e d’arte, a vocazione specialistica, e con carattere più o meno marcatamente professionalizzante.

E in effetti, anche allora, furono predisposti piani di attuazione della legge che prevedevano l’affiancamento di quattro aree: classico-umanistica con due indirizzi, scientifica anch’essa con due indirizzi, tecnica e tecnologica con sei indirizzi, artistica e musicale con "almeno due indirizzi". In tutto 12 indirizzi (almeno), contro i 18 della Moratti.

Ma nella risoluzione approvata dalla Camera il 12 dicembre 2000, coi voti dell’allora maggioranza di centro-sinistra, si impegnava il governo "a far sì che, in particolare per l’area tecnica e tecnologica, nonché per quella artistica e musicale, il rafforzamento della dimensione culturale non ostacoli l’apprendimento di specifiche professionalità spendibili, al termine del quinquennio, sia sul mercato del lavoro, sia per l’accesso alla formazione tecnica superiore o all’università", e si invitava a tener conto dei raccordi col mondo della formazione professionale e dell’apprendistato. Furono allora messe allo studio ipotesi di sviluppo curricolare che, anche avvalendosi degli spazi offerti dall’autonomia scolastica, tendevano a riarticolare e "curvare" sul territorio l’offerta di indirizzi, soprattutto nell’area tecnica e tecnologica (una formula binomiale che secondo alcuni nascondeva il vero binomio, "tecnica e professionale", reso impraticabile dall’imminente riforma del titolo V, che di lì a poco avrebbe assegnato alle Regioni la competenza esclusiva sull’istruzione e formazione professionale).

Una riflessione, rivolta sia alla maggioranza che all’opposizione: perché non si prova, magari in occasione dell’esame parlamentare dello schema di decreto, a partire dagli elementi, anche quelli problematici, che evidenziano le affinità tra i due scenari riformatori (ce ne sono molti), anziché da quelli che servono soprattutto a snobbare o ad attaccare l’avversario?