Anticipazione sull’indagine del Miur. La percentuale di ragazzi immigrati

è passata al 4,2%, meno di Germania e Francia che hanno il 14 e il 10%.

Scuola, la carica degli stranieri: 70mila in più.

Dalle elementari alle medie sono 350mila. Il ministero: quest’anno aumento record.

di Corrado Giustiniani, da Il Messaggero del 13 maggio 2005

 

ROMA - L’allegro ciclone multicolore, che sta investendo la nostra scuola, ha avuto quest’anno un impulso superiore a ogni previsione. Hanno sfondato infatti quota 350 mila gli scolari e gli studenti stranieri impegnati sui banchi per l’ultimo mese prima delle vacanze estive: ben 70 mila in più rispetto all’anno scolastico 2003-2004. Sono i primi dati della bella indagine annuale che il ministero dell’Istruzione conduce sugli alunni con cittadinanza non italiana e che verrà presentata a settembre, in tutta la sua completezza, dal ministro Letizia Moratti.

L’anno scorso gli allievi stranieri erano 282 mila, e l’ipotesi formulata dal Miur era che crescessero di altre 50 mila unità, come già accaduto l’anno precedente. L’aumento, dunque, è stato superiore. La percentuale di ragazzi non italiani sull’intera popolazione scolastica, è passata dal 3,5 per cento del 2004 al 4,2 per cento del 2005. Tanti o pochi? Ancora pochi al confronto con gli altri paesi europei: in Inghilterra gli alunni con cittadinanza straniera sono il 14 per cento, in Germania sfiorano il 10 per cento, in Francia poco più del 5, ma solo perché il governo persegue una politica di costante assimilazione, offrendo agli immigrati la nazionalità transalpina. All’opposto di quanto avviene da noi, dove ci vogliono 10 anni soltanto per fare domanda di cittadinanza e altri tre per avere la risposta, e dove i figli di stranieri nati in Italia possono diventare italiani solo al compimento del diciottesimo anno (sempre che abbiano trascorso tutta la loro vita nella penisola, senza nemmeno un’interruzione di un anno).

Ma sono tanti, tantissimi, i ragazzi immigrati che studiano assieme ai nostri, se pensiamo che solo quindici anni fa, nel 1990-91, il ciclone era una semplice folatina di vento: 25 mila alunni stranieri iscritti, quattordici volte meno di oggi. Tanti, ancora, se pensiamo che in un terzo del paese, il Mezzogiorno, il fenomeno è molto meno diffuso. In città come Milano l’incidenza degli stranieri era già del 10,2 per cento l’anno scorso, a Torino del 7,7, a Firenze del 7, a Roma del 4,3: tutte queste percenutuali verranno aggiornate a settembre. Tanti, infine, perché l’impatto degli arrivi, non di rado ad anno scolastico iniziato, si scarica sulle strutture di base della scuola, su maestri e professori, che con grande sforzo, volontà e fantasia hanno adattato le loro didattiche.

Vi è poi una forte novità, quest’anno. I ragazzi stranieri non sono più soltanto alle elementari e alle medie. Ma anche, e sempre di più, alle superiori. Gli iscritti non italiani a questo ciclo sono infatti oggi ben 60 mila: nel 2004 erano il 35 per cento in meno, e cioè 45 mila. Fioriscono e diventano adulte le seconde generazioni, problema a cui prestano colpevolmente poca attenzione sia politici che esperti e docenti (sul tema non vi è nemmeno una decente ricerca sociologica).

Il problema si impone, perché alle superiori solo il 72,6 per cento dei ragazzi stranieri viene promosso, contro l’85 di quelli italiani: un divario di ben il 12,5 punti. A rilevarlo è un’altra fresca indagine del Ministero dell’Istruzione, sugli esiti degli alunni con cittadinanza non italiana. Il problema alle elementari quasi non si pone: 99 per cento di promossi fra gli italiani, 96 fra gli stranieri. Lo scarto cresce, ma è contenuto ancora entro il 7 per cento alle medie (96 promossi contro 89).

Che cosa si può fare? «Due le linee di intervento più urgenti - spiega Vinicio Ongini, bravissimo ricercatore del Miur - Primo, ci vogliono laboratori e iniziative di sostengo linguistico, perché chi arriva a 15 anni in Italia senza saper parlare, ha davvero poche chances di successo. Secondo, va dato più impulso alla figura del mediatore linguistico culturale. Manca un quadro nazionale e ogni regione fa da sè».