I rischi delle statistiche. A volte i numeri che risultano dalle rilevazioni offrono un panorama migliore e più ottimista rispetto alle indagini effettuate in passato. Ma bisogna evitare l’errore di utilizzare gli stessi soggetti di un precedente campione, allargando però i requisiti presi in considerazione per valutarli, come sembra sia stato fatto, per il 2004, per la rilevazione statistica dell’Istat relativa alle persone con disabilità che vivono in famiglia. In questo caso, infatti, si rischia di far risultare una situazione molto più positiva di quella reale. di Salvatore Nocera, da Superabile del 18/7/2005
La statistica, pur dopo avere ormai acquisito dignità di scienza, non riesce talora a fugare pienamente alcune perplessità, circa i suoi risultati, dovute però più ad impressioni che al rifiuto delle metodologie e delle tecniche usate, ormai seriamente validate. Così, circola ancora la storiella, raccontata nel sonetto famoso di Trilussa, sul ‘pollo’, che se viene calcolato che venga mediamente mangiato da ogni membro di una comunità, questo non esclude che qualcuno ne mangi due ed altri nessuno. Ma le cose diventano più complicate se si indaga sulla composizione del ‘campione’ prescelto per l’indagine. Non che si dubiti della validità scientifica con la quale viene composto il campione, ma del criterio con cui si decide di inserire o togliere dal campione alcune categorie. La cosa diviene definitivamente discutibile se si decide di utilizzare gli stessi soggetti di un precedente campione, allargando però i requisiti di questi per valutarli. E’ quanto è avvenuto per la rilevazione statistica dell’Istat relativa alle persone con disabilità che vivono in famiglia, effettuata per il 2004, pubblicata il 4 luglio 2005, la quale ha utilizzato lo stesso campione della precedente rilevazione del 1999, che però riguardava esclusivamente i disabili che dichiaravano di avere “difficoltà nelle funzioni o attività della vita quotidiana”, mentre adesso sono state considerate quelle che dichiaravano di “avere difficoltà nelle funzioni (motorie, sensoriali o nelle attività della vita quotidiana) o di essere affetti da una invalidità o di avere una riduzione di autonomia”. In apertura del rapporto, l’Istat evidenzia chiaramente che i requisiti attuali sono più ampi di quelli considerati nella precedente rilevazione. Quindi metodologicamente, nessun appunto può muoversi alla scientificità della ricerca ed alla sua correttezza. Quello che mi preme sottolineare è, però, che il valore politico della rilevazione è discutibile. Infatti ‘annacquando’ i requisiti del campione, i risultati attuali si presentano decisamente migliori di quelli precedenti, ingenerando in chi non ha letto la precedente rilevazione che attualmente le cose sono abbastanza buone. Così, infatti, sembra cogliersi dalla lettura del paragrafo conclusivo, nel quale l’ottimismo è appena temperato dalla considerazione che i dati divengono meno positivi se si considerano le persone con disabilità grave. Io ho commentato i dati della rilevazione del 1999 nel volume “Cittadini invisibili” pubblicato nell’ottobre 2002 dalla Feltrinelli nel capitolo da p. 51 a 96 e mi permetto, quindi, pur apprezzando l’importanza e la ricchezza dell’attuale rilevazione, di evidenziare le differenze con la precedente che possono ingenerare valutazioni più ottimistiche di quanto non stiano in realtà le cose. Così nella nuova composizione del campione i disabili fisici sono circa il 38%, quasi il doppio dei mentali pari al 18%, mentre le rilevazioni dell’Istat relative solo alle persone con disabilità, accertata a livello medico-legale ci segnalano una presenza di disabili intellettivi molto maggiore di quelli fisici. Così pure i laureati dell’attuale rilevazione risultano pari a circa il 30%, mentre è notorio che attualmente gli studenti universitari con disabilità accertata non superano annualmente le diecimila unità, di fronte agli oltre centosessantamila alunni disabili frequentanti le scuole di ogni ordine e grado. Cosi le condizioni economiche “scarse ed insufficienti” riguardano circa il 50%, mentre la situazione notoriamente è ben più grave. E’ però interessante sapere che circa il 91% vive in famiglia, mentre circa il 9% vive da solo o con altri disabili, ma non in istituti. E’ pure interessante conoscere che poco più del 50% non ha potuto fruire di servizi e prestazioni (ovviamente non rientranti in quelli forniti gratuitamente dal sistema sociosanitario) per difficoltà economiche e circa il 20% per l’assenza di questi sul territorio. Questo è un aspetto allarmante giacché per un verso queste percentuali aumenteranno a causa della crisi economica in atto e per altro verso a causa dell’endemica inesistenza o insufficienza di servizi alla persona nel sud d’Italia, dove i crescenti tagli alla spesa pubblica non garantiranno la realizzazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociosanitarie che la recente modifica dell’art 117 della costituzione vuole siano garantiti egualmente su tutto il territorio nazionale. Ma per tornare alle discrepanze fra i disabili accertati e quelli indicati nella nuova rilevazione, fra gli studenti con disabilità iscritti nelle scuole nel 2004 ci sarebbe un’equa ripartizione pari ad un terzo ciascuno fra il gruppo di alunni con disabilità motoria, intellettiva e sensoriale. Ora basta consultare le statistiche del Ministero dell’Istruzione, pubblicate pure dall’Istat e si rileverà che gli alunni con deficit sensoriale non raggiungono il 10%, quelli con deficit motorio raggiungono il 20% e quindi quelli con deficit intellettivo superano il 70% e sono soprattutto quelli sui quali la società si deve saper organizzare, anche tramite i piani di zona, per garantire una buona qualità dell’integrazione scolastica. Così l’attuale dato del 44% di alunni con disabilità frequentanti le scuole superiori e l’Università risulta notevolmente sovrastimato rispetto alla percentuale degli alunni certificati con handicap, che, sia pur cresciuti a causa dell’innalzamento dell’obbligo scolastico, rispetto al 20% calcolato nella rilevazione del 1999, non è certamente raddoppiato. La nota 8 a pagina 4 del rapporto addirittura segnala un dato che risulta singolare. Infatti, attualmente l’8% che frequenta scuole speciali, cioè per soli alunni con disabilità, si ripartirebbe egualmente, o quasi, fra disabili intellettivi, fisici e sensoriali. Occorre quindi prendere atto che, malgrado la chiusura di tutte le scuole speciali per ciechi, quelle per sordi sono un terzo di tutte quelle speciali. Ma ciò che mi ha colpito è il dato del 37% di alunni con disabilità che si avvale di insegnanti per il sostegno didattico. Ora, soprattutto in questi ultimi anni, si è avuta una dura polemica delle famiglie e delle associazioni contro i tagli delle ore di sostegno, che ha costretto, anche con sentenze dei tribunali, il ministero dell’Istruzione a garantire un rapporto medio di un insegnante ogni due alunni con disabilità. Siccome nel 2004 frequentavano circa 140.000 alunni con handicap certificato, seguiti da circa 70.000 insegnanti per il sostegno, questa discrepanza fra i due dati si spiega pienamente con l’allargamento dei requisiti dei soggetti del campione, ma non dice nulla sull’effettiva consistenza della situazione dell’integrazione scolastica; anzi inavvertitamente la distorce. Ed infine lasciano sconcertati i dati relativi all’occupazione lavorativa. Infatti, dall’attuale rilevazione risulterebbe che i disabili occupati siano pari circa al 50%, mentre dalla rilevazione dei disabili certificati effettuata nel 1999, tale percentuale era del 21% e saliva al 32% per i disabili compresi fra i 15 ed i 44 anni.Ora è impossibile che il numero di disabili occupati sia più che raddoppiato in cinque anni. Il dato si spiega correttamente con l’ampliamento dei requisiti dei soggetti compresi nel campione attuale. Però, anche se questa rilevazione è corretta, l’impressione che se ne trae è che l’occupazione dei disabili sia enormemente aumentata, cosa che purtroppo non è; anzi essa si è ridotta. Sembra opportuno non andare oltre ………
Se la rilevazione fosse stata pubblicata con
espresso riferimento alle persone con difficoltà di inserimento
sociale o di svantaggio, non ci sarebbe nulla da eccepire. Quello che
indispettisce è che, invece, si dice che riguarda le persone con
disabilità, dando l’impressione che la loro situazione in questi
cinque anni sia notevolmente migliorata. E ciò non corrisponde alla
realtà. |