Il nuovo esame di Stato: una riforma mancata! di Maurizio Tiriticco, da Fuoriregistro del 22/6/2005
Sono giorni in cui nella stampa si fa un gran parlare dei prossimi esami di maturità! Sono cose che abbiamo sempre dette e riguardano i numeri dei candidati, le ansie, le difficoltà della prova, le preoccupazioni del dopo esame e così via! E sono i discorsi di sempre, come se la riforma degli esami di maturità non ci fosse mai stata! Ed in effetti è proprio così! Il ritardo è assai grave ma nessun commentatore sembra accorgersene! E' il destino di molte riforme nel nostro Paese ed in primis di quelle che riguardano la scuola! Veniamo ai fatti! Nel '97, dopo 30 anni di discussioni infinite, si giunge finalmente alla riforma degli esami di maturità (la legge 425). Va ricordato che nel '69, quando si varò la precedente riforma (la legge 119), si affermò che quel provvedimento aveva un carattere solo provvisorio e sperimentale perché i tempi - si diceva, ed eravamo negli anni Sessanta! - sono cambiati, sono i cambiati i giovani, la scuola superiore ormai è frequentata in modo massiccio, bisogna cambiare i curricoli, è cambiato il mondo del lavoro... e giù con argomenti di questo tipo! Per cui era opportuno avviare una riflessione più approfondita che avrebbe richiesto del tempo! Così, alla fine degli anni Novanta sembrava giunto il momento di porre fine alla provvisorietà e dar luogo ad un esame che concludesse gli studi secondari in modo assolutamente diverso rispetto al passato. Le esigenze del mondo del lavoro erano abbastanza esplicite, ed anche ciò che le università chiedevano ai giovani per il proseguimento degli studi! E poi c'era l'Europa! Con Maastricht (1991), inoltre, l'istruzione era diventata una sfida per tutti i Paesi membri. Quella stessa Europa, che fin dai Trattati di Roma del '57 aveva fatto solo della formazione professionale una questione cruciale per lo sviluppo della Comunità Economica - ed i risultati si videro nel corso degli anni successivi! - assumeva ora per la prima volta e come cruciale la questione istruzione! Con la legge di riforma 425/97 si rispose così ad una duplice esigenza: a) rinnovare contenuti e forme del nostro esame di Stato, anche in ordine alle indicazioni della ricerca educativa che dagli anni Settanta in poi aveva fatto notevoli passi in avanti; b) adeguare i nostri studi secondari a finalità ed obiettivi che considerassero prospettive più ampie, quali quelle indicate dall'Unione europea e, quindi, da un mercato della cultura e del lavoro ben più ampio di quello nazionale.
a) i nuovi esami "hanno come fine la verifica della preparazione di ciascun candidato in relazione agli obiettivi generali e specifici propri di ciascun indirizzo di studi" (art. 1, comma 1); b) "il rilascio e il contenuto delle certificazioni ... sono ridisciplinati in armonia con le nuove disposizioni, al fine di dare trasparenza alle competenze, conoscenze e capacità acquisite secondo il piano di studi seguito, tenendo conto delle esigenze di circolazione dei titoli di studio nell'ambito dell'Unione europea" (art. 6). L'innovazione avrebbe dovuto comportare un cambiamento radicale nella concezione e nella pratica dell'esame di Stato! Vediamone i punti essenziali. Nella citata legge 119 del '69 si leggeva che "l'esame di maturità ha come fine la valutazione globale della personalità del candidato" (art. 5) e che "a conclusione dell'esame di maturità viene formulato, per ciascun candidato, un motivato giudizio, sulla base delle risultanze tratte dall'esito dell'esame, dal curriculum degli studi e da ogni altro elemento posto a disposizione della commissione" (art. 8). Con la riforma del '97 si afferma, invece, che il fine dell'esame è un altro: non quello di valutare globalmente la personalità del candidato, ma di certificare le conoscenze, competenze e capacità acquisite. Si ritiene, cioè, che un giudizio sulla personalità non solo compete poco alla scuola, ma di fatto espone il candidato a tutte le mille soggettivissime suggestioni espresse dagli esaminatori. E si ritiene, invece, che compete alla scuola certificare ciò che il candidato sa e sa fare. Per evitare tutti i pericoli delle derive soggettivistiche, si afferma che la certificazione deve fondarsi almeno su due elementi: a) prove che abbiano un alto tasso di strutturazione; b) misurazioni da effettuarsi mediante punteggi. Ma a questa torta mancavano due elementi essenziali: gli ingredienti necessari per la preparazione e la classica ciliegina. Gli ingredienti erano questi: come si può rinnovare così radicalmente un esame finale se, a monte, resta un quinquennio scolastico condotto con gli ingredienti di sempre? Una scuola secondaria che da sempre attende una riforma complessiva, potrà reggere ad una riforma del solo esame di Stato così innovativa? La ciliegina, poi, riguardava, appunto, i contenuti dell'esame e le modalità delle certificazioni. Il discorso sugli ingredienti richiederebbe una trattazione tropo lunga, ma ora in questa vigilia, mi interessa riflettere sulla ciliegina. Emerge un duplice quesito: che cosa è una competenza? Che cosa è una certificazione? Ebbene, a queste domande l'amministrazione non ha mai dato una risposta chiara, condivisibile, praticabile! Di fatto, l'amministrazione stessa non è stata in grado di comprendere né di condurre in porto il cambiamento di rotta proposto e sancito dal Parlamento, avanzato e richiesto dall'Europa e dal mondo del lavoro e della ricerca! Che cosa accadde in concreto? Il nuovo esame richiedeva un nuovo modello di diploma che certificasse le competenze acquisite dal candidato. Ebbene, il modello varato dal Ministero non certifica affatto competenze, ma solo "a) l'indirizzo e la durata del corso di studi..., b) la votazione complessiva assegnata... il credito scolastico, i crediti formativi documentati; c) le ulteriori specificazioni valutative della Commissione, con riguardo anche a prove sostenute con esito particolarmente positivo". Così si legge nel Dm 450/98, che viene regolarmente reiterato di anno in anno e che porta sempre la stessa dicitura: "i modelli delle certificazioni integrative del diploma si intendono adottati per l'anno scolastico..." (art. 3, comma 2). Nella prima versione del '98 nel citato Dm si leggeva che "i modelli delle certificazioni integrative del diploma hanno carattere sperimentale (udite, udite!) e si intendono adottati limitatamente agli anni scolastici 1998/99 e 1999!2000 (udite udite per la seconda volta!)" (art. 3, comma 2). Tutto ciò sta ad indicare chiaramente che il Ministero (dal Mpi al Miur) dal '98 ad oggi ancora non è stato capace di sciogliere la riserva della certificazione delle competenze! All'inizio si era dato due anni di tempo per riflettere, studiare, elaborare, decidere e dare indicazioni alle scuole! E poi? Il vuoto, quel vuoto a cui siamo ormai tanto abituati. A margine, possiamo ricordare che le scuole medie - pardon! secondarie di primo grado - ancora aspettano che l'amministrazione sciolga la "riserva di fornire puntuali indicazioni in merito alla certificazione delle competenze e alle relative scansioni temporali..." (Cm 85/04)!!! Le scuole possono attendere... I nostri studi secondari sono in grave crisi, e non solo per la ciliegina dell'esame finale... a buon intenditor... Ci guarda l'Europa, ci guarda il mondo del lavoro, ci guardano soprattutto i giovani, e tutti ci dicono: ma che diavolo di diplomi rilasciate in Italia? Diplomi in cui non c'è scritto niente e che non servono a niente! Il giovane guarda solo al punteggio che, però, al datore di lavoro non dice nulla su ciò che egli sa veramente fare! Le università amministrano le loro prove di ingresso prima che lo studente giunga all'esame di Stato! E la circolazione del titolo in Europa? Si continua a giocare con la scuola! E' per questo che a questa scuola, a questo esame non ci crede più nessuno! Ed è per questo che ancora continuiamo chiamarlo... esame di maturità!!! Ma a questo esame di maturità bocciamo in primo luogo la nostra amministrazione!
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