Vuoi lavorare nella scuola? Paga!

di David Gianetti, da Socialpress di giovedì 16 giugno 2005.

 

Stanno per partire - pare - gli ultimi corsi abilitanti per insegnanti precari - insegnanti, spesso ultratrentenni, con specializzazione biennale nel sostegno e diversi anni di servizio scolastico alle spalle - attesi quasi da un anno.

Ultimi, nel senso che per loro molto probabilmente rappresentano l'ultima occasione per lavorare nella scuola. A meno di iscriversi - finché durano - ad altri due anni di Ssis (Scuole di Specializzazione per l'insegnamento Secondario) istituite qualche anno fa dal centro-sinistra, sempre a pagamento naturalmente (qui, a parte l'anzianità della laurea, la guerra è tra poveri, mica sono specializzazioni con borse di studio per neodottori in medicina!).


In Piemonte cominciano quest'estate e agli aventi titolo, per l'iscrizione, hanno chiesto 2.200 euro (neanche rateizzati, ma forse, grazie ai sindacati, si scenderà a 1.300, comunque sempre tanti) per 500-700 ore di lezione: un po' più del doppio di quanto percepiscono ogni mese, da metà settembre - a volte però la nomina arriva più tardi - a fine giugno (l'estate non è compresa).

Che poi siano precari "dorati" che potrebbero vivere anche di rendita o alle prese con mutui, affitti e conti di fine mese, insegnanti con la vocazione o per ripiego, lacché di presidi-pseudomanager efficienti solo nel muoversi tra le formalità della vecchia burocrazia scolastica e i belletti della controriforma aziendalista morattiana, "carrieristi" - per qualche euro in più - con tutte le tre "i" nel curriculum o persone che nel lavoro ogni volta mettono in gioco, oltre al bagaglio culturale, intelligenza emotiva, creatività, esperienza, passione, insomma, se stessi, non conta.

Tutti, per continuare a lavorare - da precari - pagheranno. Pagheranno e sosterranno esami - la vita, per alcuni più che per altri, è un esame infinito - semplicemente per fare, bene o male, quello che finora hanno sempre fatto, nonostante le attestazioni di stima ricevute, soprattutto dai ragazzi, ma anche da quei colleghi - ce ne sono! - che tengono duro, resistono, con uno spirito di servizio - pubblico - quasi eroico, senza fuggire da quella quotidiana trincea col contentino d'un bonus e l'amarezza d'un bilancio fallimentare.

E nonostante - a differenza di altri - non lavorino solo per la busta paga e poi "chi se ne frega....", perché del loro lavoro gliene frega così tanto da restarci, a volte, fregati, vittime di quel fenomeno che ora chiamano "burn out" ma in italiano vuol dire semplicemente usura, stress lavorativo, disagio che spegne i più accesi senza bisogno di gocce di xanax e pillole di ritalin, con crisi identitarie più o meno acute, nel migliore dei casi. O con gravi forme di depressione, nel peggiore. Malattie professionali da scuola della follia.


Pagheranno anche quelli che nella scuola, sia pur da precari, ci hanno sempre creduto e lottato - magari solo per avere l'aula o il laboratorio didattico che per legge gli spetta - senza fare sconti a nessuno, né ai presidi che se ne lavano le mani, né ai colleghi "in carriera", né ai genitori impreparati e neppure alle fragilità di ragazzi cresciuti - e viziati - dietro mode e modelli rispetto a cui la scuola pubblica dovrebbe rappresentare un'alternativa. Mentre, in nome di un'autonomia molto equivoca, questa rischia di ridursi a un diplomificio scadente o a un parcheggio a pagamento per figli con cui non si sa più parlare dopo averli imbottiti, fin da bambini, di videogame e tivù.

D'altra parte, chi ha i soldi per pagare il diploma, in regime di concorrenza, può sempre parcheggiarli, i figli, in una bella scuola privata e parificata (in certe regioni, paga anche il giovane insegnante che ha bisogno d'accumulare punteggio, a volte con un servizio fasullo, prima di dare la scalata alle graduatorie per la pubblica).

Poi ci sarà la laurea: comprata all'esamificio di turno (già università degli studi) ai giovani rampolli con la poltroncina paterna in caldo in qualche studio professionale (anni fa, con la specializzazione "retribuita senz'obbligo di frequenza", quelli si compravano anche il servizio civile su misura, alternativo alla naja e con relativo non vedente pronto all'accompagnamento virtuale in cambio di qualche centomila al mese); o regalata ("honoris causa", la chiamano). Ma questa solo per i testimonial, giovani centauri o rockettari d'annata non importa...