Com'è difficile diventare grandi.

 di Francesco Billari, da La Voce del 6/6/2005

 

I dati dell’indagine Istat Famiglia, soggetti sociali, condizioni dell’infanzia del 2003, pubblicati in questi giorni, mostrano che la quota di giovani che ritarda l’uscita dalla famiglia è aumentata dal 1993. Allo stesso tempo, per la prima volta nella storia, dopo la riforma del 3+2, la maggioranza dei diciannovenni italiani si è iscritta all’università. Senza politiche che consentano di mantenere una continuità nel tenore di vita ed eguali opportunità anche per chi compia scelte familiari o di indipendenza abitativa, il 3+2 potrebbe addirittura contribuire a ulteriori rinvii.

Studiare e formare una famiglia

Studiare e formare una famiglia sono scelte poco compatibili, sia per l’esistenza di norme sociali condivise sulla sequenza ideale degli eventi ("prima di tutto prendi il titolo, poi…"), sia perché spesso la società non considera neppure scelte come quelle di formare una coppia o avere figli durante gli studi. In Italia, finire di studiare è nella grande maggioranza dei casi un prerequisito per lasciare la casa dei genitori. Iscriversi all’università, in un paese con una bassa mobilità della popolazione studentesca e uno scarso supporto agli studenti attraverso borse e alloggi, rinvia l’indipendenza abitativa oltre che la formazione di una propria famiglia.

Questa lenta "transizione allo stato adulto" dei giovani italiani è associata alla bassissima fecondità. Con 1,26 figli per coppia nel 2004, l’Italia ha meritato un livello con lo specifico nome di lowest low fertility. Tra i fattori che hanno contribuito a questi livelli di primato, è fondamentale il rinvio del momento in cui si diventa genitori, pur in assenza di statistiche ufficiali aggiornate (la stima dell’età media delle donne alla nascita del primo figlio riportata dal Consiglio d’Europa per il 1997 è di 28,7 anni).

Le possibili risposte politiche

Come si potrebbe invertire la tendenza a rinviare la decisione di diventare genitori? Semplificando, vi sono due possibilità. La prima è quella di politiche che accorcino i tempi della gioventù, ad esempio rendendo più breve la carriera scolastica e universitaria e più agevole l’accesso a un lavoro sicuro e a una casa di proprietà. Questo sembra essere stato l’approccio, non esplicitato, alla base del Libro bianco sul welfare.

La seconda è quella di politiche che allentino la rigidità delle sequenze di eventi durante la transizione allo stato adulto: poter lasciare la casa dei genitori anche se si è ancora studenti, poter scegliere di vivere in coppia o diventare genitori anche se si è studenti, poter diventare genitori anche se non si è sposati, anche se non si ha ancora un lavoro a tempo indeterminato. Le due vie non si escludono a vicenda, ma hanno implicazioni potenzialmente diverse.

Il 3+2: una strada più breve per diventare adulti?

Secondo alcuni studiosi, la leva principale per accorciare i tempi che conducono a diventare adulti è la durata del periodo dedicato all’istruzione. Se aver terminato gli studi "accende le polveri" per l’indipendenza abitativa e la formazione delle famiglie, accorciare la fase di vita dedicata a studiare contribuirebbe a diventare prima autonomi e a formare una famiglia. Un’analisi condotta su dati svedesi ha mostrato che, tra due donne che raggiungono lo stesso titolo di studio a distanza di età di circa un anno, vi è una differenza di circa cinque mesi nell’età alla maternità. (1) La recente riforma universitaria del 3+2, hanno ipotizzato Wolfgang Lutz e Vegard Skirbekk, avrebbe dunque un potenziale effetto di "stimolo" sulle scelte familiari e in particolare sulla fecondità. (2).

Alcuni elementi inducono a essere scettici sui potenziali effetti del 3+2. In primo luogo, non è detto che, in Italia, la durata media degli studi diminuisca. Infatti, è aumentata drasticamente, con la creazione delle lauree triennali, la quota di diciannovenni che si iscrive all’università. Secondo i dati del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, tale quota è passata dal 46,7 per cento nel 2000, prima del passaggio al 3+2, al 59,7 per cento del 2003, solo tre anni dopo l’implementazione della riforma. (3)

La maggiore propensione a studiare all’università, insieme all’innalzamento dell’obbligo scolastico, induce a pensare che la durata media degli studi sarà più elevata per le generazioni influenzate dalla riforma. In secondo luogo, per una questione più tecnica, poiché chi desidera formare una famiglia prima potrebbe scegliere percorsi di istruzione più brevi, le stime sull’impatto di lungo periodo dell’accorciamento degli studi di Lutz e Skirbekk sarebbero esagerate per eccesso.

Un’alternativa: allentare la rigidità delle sequenze di eventi

Come gestire una situazione in cui i giovani italiani sono già "in ritardo" rispetto ai loro coetanei europei, e sono potenzialmente soggetti a un allungamento della durata media degli studi e probabilmente all’aumento dell’età in cui iniziano un lavoro "stabile"? Per i giovani, la strategia più naturale sarebbe quella di rinviare ulteriormente scelte percepite come scarsamente reversibili, come il matrimonio, o di fatto irreversibili, come avere un figlio. Per aiutarli a intraprendere tali scelte, le politiche dovrebbero mirare ad allentare la rigidità delle sequenze di eventi. A garantire, insomma, eguali opportunità anche a coloro che durante le prime età giovanili desiderassero vivere autonomamente dai genitori, vivere in coppia eventualmente senza sposarsi e, perché no, avere un figlio.

Esempi di tali politiche sono sostegni al reddito generalizzati per i giovani, inclusi gli studenti; agevolazioni sull’affitto per giovani single, coppie e coppie con figli (indipendentemente dal fatto che siano sposate), genitori soli, flessibilità della durata delle borse di studio, dei contratti di lavoro, dei momenti di valutazione della carriera. I paesi nordici adottano spesso politiche di questo tipo. E i dati delle indagini comparative Fertility and Family Surveys per gli anni Novanta mostrano come tra le giovani madri di età 20-24, la quota di studentesse fosse pari all’8 per cento in Norvegia e Svezia e al 7 per cento in Danimarca. In Italia tale quota era dell’1 per cento. Insomma, studiare e formare una famiglia sono meno incompatibili.

Se il finanziamento di tali politiche apparisse un problema, occorre ricordare che proprio ora inizia in Italia una finestra di opportunità demografica: i giovani in ingresso sul mercato del lavoro stanno diminuendo rispetto alle generazioni che li hanno preceduti. Forse, per aiutare i giovani a diventare adulti occorre che la società decida effettivamente di aiutarli investendo su di essi, e non solo sul loro capitale umano.

 

Per saperne di più

United Nations, 2005. The New Demographic Regime. Population Challenges and Policy Responses. United Nations, New York and Geneva. Accessibile online presso: http://www.unece.org/ead/pau/epf/epf_ndr.htm.

Francesco Billari, 2005, "The transition to parenthood in European Societies", European Population Conference 2005, Council of Europe, Strasbourg. Accessibile online presso: http://www.coe.int/T/E/Social_Cohesion/Population/EPC_2005_S1.2%20Billari%20report.pdf.

(1) Vegard Skirbekk, Hans-Peter Kohler e Alexia Prskawetz 2004. Birth Month, School Graduation and the Timing of Births and Marriages. Demography, 41 (3): 547-568.

(2) Wolfgang Lutz e Vegard Skirbekk, 2004, "How would "tempo policies" work? Exploring the effect of school reforms on period fertility in Europe", European Demographic Research Papers 2, Vienna: Vienna Institute of Demography of the Austrian Academy of Sciences. Accessibile presso: http://www.oeaw.ac.at/vid/publications/edrp_2_04.pdf.

(3) Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, 2004. Quinto Rapporto sullo Stato del Sistema Universitario, ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, Roma. Accessibile presso: http://www.cnvsu.it.