Orario:
si torna indietro?
di Vittorio Delmoro, da
Fuoriregistro dell'1/1/2004
Nel leggere le bozze ufficiali del Decreto
approntato dal Governo sulla scuola superiore, balza agli occhi un
numero, il 30.
Si riferisce alle ore settimanali previste per i primi 4 anni, visto
che nel quinto si torna alle 27.
Cosa stupisce in questa scelta?
Prima di tutto il cammino fatto in questi due anni (2003-2004) proprio
sull’orario.
La prima bozza Bertagna con cui il Gruppo di Lavoro insediato
nell’estate del 2001 si presentò agli Stati Generali prevedeva infatti
25 ore settimanali obbligatorie in tutte le scuole d’Italia di ogni
ordine e grado, cui si sarebbero aggiunte altre ore opzionali.
La bozza di Decreto per la scuola primaria approvata dal Governo nel
settembre 2003 spostò poi in avanti quel numero fino a 27 ore
settimanali, abolendo comunque tempo pieno e tempo prolungato.
Il Decreto Legislativo 59 reintrodusse la possibilità di mantenere il
tempo pieno e prolungato, ma fissò in 27 le ore settimanali per la
scuola elementare e la scuola media.
Ora il governo sposta a 30 le ore settimanali obbligatorie per la
scuola superiore.
Come mai l’antico progetto di ridurre sostanziosamente il tempo scuola
garantito dallo stato in favore della crescita dell’offerta privata si
sta così riducendo tanto da confermare l’offerta formativa precedente
alla riforma?
Cosa è successo in questo frattempo?
Be’, cose ne sono successe tante : sia nelle scuole, con la resistenza
di insegnanti e genitori al taglio della scuola pubblica, sia nelle
istituzioni, con la maggioranza politica in fibrillazione su questa ed
altre riforme, con annesse sconfitte elettorali.
E’ spiegabile così il ripristino, nella scuola superiore, degli orari
attuali e lo spostamento delle ore a scelta di studenti e genitori in
una fascia opzionale successiva alle 30 obbligatorie?
Secondo me sì e no.
Il sì è spiegabile con un mutato atteggiamento del MIUR nei confronti
della riforma e delle sue possibili conseguenze elettorali al ribasso,
per cui sulla scuola superiore si va coi piedi di piombo e si tenta un
coinvolgimento del popolo della scuola assolutamente mancato in
precedenza; col duplice intento di smorzare l’opposizione e contenere
la falcidia dei tagli che sarebbero conseguiti alla conferma di 27 ore
obbligatorie anche alle superiori.
Il no è invece il risultato di un calcolo politico-sociale, un
tornaconto finanziario, una convenienza.
Chi utilizza infatti attualmente l’offerta extrascolastica
pomeridiana, costituita da corsi di ogni tipo (sportivi, musicali,
hobbistici, ricreativi, associativi,…)? Le famiglie che spingono i
propri figli a fare esperienze di tipo diverso, o che mirano a
coltivare i propri geni. I ragazzi per lo più accettano di buon grado
queste proposte, oppure manifestano proprie propensioni e corrono a
destra e a manca, dopo la scuola, a svolgere attività di ogni tipo.
Perché questo settore uscisse dalla minorità in cui si trovava e
occupasse lo spazio che si merita ogni iniziativa privata, bisognava
che calasse l’offerta pubblica di stato, da cui la diminuzione
dell’orario obbligatorio a 27 ore e l’aggiunta di 3/6 ore opzionali da
spendere nel mercato libero.
Funziona questo schema anche dopo i 14 anni? Evidentemente no : i
ragazzi sono più autonomi, non seguono le mire genitoriali e, se
dipendesse da loro, farebbero meno scuola possibile, e fuori della
scuola fanno quel che più gli aggrada; altro che seguire corsi e
corsetti!
Veniva perciò meno l’esigenza del mercato e dunque conveniva lasciare
inalterato l’orario scolastico obbligatorio, spostando l’opzionalità
oltre.
Pensate un po’ se il governo avesse scelto questa strada anche per la
scuola primaria.
Se avesse offerto alle famiglie ore opzionali oltre l’orario
obbligatorio delle 30 ore settimanali.
Se gli orari scolastici pre-riforma fossero restati invariati!
Pensate che sarebbe successo tutto il casino che è poi invece
avvenuto?
Questa della riduzione oraria, assieme alla scelta del tutor, è lo
scoglio più grosso contro cui si infrangerà la riforma Moratti.
Sarebbe bastata una maggiore previdenza per evitare danni che ora si
evidenziano sempre più.
Ma, come abbiamo sempre detto, la riforma Moratti non mira a
migliorare la scuola italiana, perché è mossa da una profonda
ideologia classista ed economicista.