Tanto parlare di assunzione di precari

e razionalizzazione del reclutamento.

Perché tanta inedita attenzione verso il reclutamento?

Perché questa improvvisa urgenza di parlare di precariato storico?

Il governo è finalmente davvero intenzionato a risolvere
queste fondamentali problematiche?

Ma soprattutto, perché questa attenzione adesso?

 di Antonio Pistillo, da Meridiano scuola del 28/2/2005

 

Tanto parlare di assunzione di precari e razionalizzazione del reclutamento.

Ultimamente, sui giornali specializzati e non, si fa un gran parlare della questione del reclutamento e del precariato nella scuola. Si sta dando un giusto risalto ad una questione che la redazione di MeridianoScuola da sempre ha segnalato come cruciale ed indispensabile per un effettivo risanamento della scuola italiana.

Purtroppo però questa attenzione non è, come ci si auspicherebbe, figlia di una nuova consapevolezza della pubblica opinione italiana. Malauguratamente non è infatti ancora arrivato il momento in cui gli italiani si sono resi conto dell’importanza di dare ai propri figli dei docenti seriamente preparati, adeguatamente remunerati, e serenamente inquadrati professionalmente. Infatti non si è ancora capito che queste sono le condizioni irrinunciabili per aumentare la qualità dell’insegnamento e, conseguentemente, il livello di apprendimenti, di abilità, di istruzione in generale degli studenti, e quindi della futura società italiana.

Il dibattito recente non è alimentato da questa elementare constatazione (che porterebbe ad una civile e rispettabile pretesa politica, e forse anche all’auspicabile rivoluzione culturale di cui da più parti si sente nel nostro paese bisogno). Essa non nasce dall’invocazione da parte dei genitori d’Italia di una dignità e qualità professionale per i nostri docenti per il bene dei loro figli.

Sfortunatamente la recente copertura mediatica non è neppure sollecitata dagli stessi interessati, la classe docente nazionale. Questa infatti, nonostante la grande potenzialità di pressione politica di cui dispone (per il suo fondamentale ruolo sociale), non è ancora riuscita a trovare una vera identificazione professionale e, conseguentemente, l’indispensabile unità di rappresentanza (fattore dovuto alle grandi differenze nei percorsi formativi e di reclutamento, e anche alla stessa retribuzione che ha costretto molti, per motivi di sopravvivenza, a non considerare l’insegnamento come una vera professione, ma piuttosto come un secondo mestiere o un’attività aggiuntiva all’interno del contesto economico familiare). Questa mancanza di unità e rappresentanza, ovviamente generata ad arte dalla classe politica preoccupata dal costituirsi di una corporazione tanto potenzialmente influente, non ha permesso fino adesso un’azione di moral suasion, di persuasione, delle proprie rivendicazioni, né nei confronti della classe politica (sempre più indifferente negli ultimi anni per ragioni principalmente economiche), né in quelli dell’opinione pubblica.

L’attenzione dimostrata dai mezzi di informazione verso il problema più pressante della scuola italiana, il precariato, non viene neppure dalle stesse redazioni dei mass media. Infatti, nel regime del libero mercato, anche l’informazione è assoggettata alle logiche economiche per cui, se i lettori e gli spettatori, come l’audience italiano ha dimostrato, non sono particolarmente interessati alla questione scuola, e se i pubblicitari non spingono su questo fronte (la scuola, la vera scuola, per sua fortuna e disgrazia, rimane ontologicamente avulsa dalle logiche mercantili), giornali, radio e televisione non daranno mai il giusto spazio alle problematiche scolastiche (eccezion fatta per gli argomenti più strettamente connessi alla cronaca della scuola, dal momento che essa rimane un luogo sociale presente nella vita di quasi tutti i cittadini).

Dunque perché tanto fremito mediatico sul maxi pensionamento che sta vivendo la scuola (dato perfettamente prevedibile, e da tempo previsto, per la sua natura matematica)? Perché tanta inedita attenzione verso il reclutamento? Se ne scopre solo ora l’importanza? Perché questa urgenza di parlare di precariato storico? L’aggettivo che lo definisce non ne precisa anche l’antichità del problema?

Se si vanno a leggere le notizie più recenti, ci si accorgerà che scaturiscono direttamente dalle dichiarazioni di personaggi politici. E’ la maggioranza che sta portando il problema alla ribalta dei mezzi di informazione. E’ dunque lo Stato, con i suoi rappresentati al potere, che pare si stia facendo carico di questa attenzione e che stia aprendo il dibattito.

Se si guarda alle dichiarazioni, non si può che condividere la preoccupazione che pare star dietro queste dichiarazioni.

Grazie al decreto che disciplina l'accesso alla professione di docente “Avremo insegnanti più qualificati e più giovani", ha detto il Ministro Moratti, "e, attraverso la programmazione, potremo dare loro certezza del posto di lavoro”. "Il Miur", ha affermato il Ministro Moratti, "sta studiando con il Ministero dell'Economia e con il Dipartimento della Funzione Pubblica misure che ci consentano di assorbire nei prossimi cinque anni tutto il precariato storico”.

Queste dichiarazioni compaiono significativamente nel sito del Ministero della Istruzione, dell’Università e della Ricerca, come a confermare le tesi di una genesi mediatica di tipo governativo.

Dunque parrebbe che il Ministero si sia infine accorto della necessità di svecchiare e arricchire la classe docente con l’immissione di docenti più giovani e più formati, e di inquadrare finalmente quella enorme parte di docenti ormai da anni nella scuola sprovvisti di un contratto a tempo indeterminato. Ovviamente una dichiarazione di intenti del genere dovrebbe confortare ogni persona che abbia a cuore la scuola e la società italiana.

La maggioranza, attraverso la proposta Valditara (AN), parla di riassorbimento del precariato storico attraverso un piano di assunzione quinquennale che vedrebbe una tranche di immissioni già a settembre 2005 (50 000 unità), settembre 2006 (30 000), e le restanti immissioni nel triennio consecutivo.

La proposta ha trovato il consenso di sigle sindacali come SNALS e GILDA, e di quasi tutte le rappresentanze dei precari (ad eccezione di ANIEF, una delle associazioni che rappresentano gli insegnanti con specializzazione per l’insegnamento). Questo favore delle associazioni è stato espresso nonostante la maggioranza chieda ai precari come contropartita il dilazionamento degli scatti di anzianità. Il governo, attraverso le dichiarazioni del Ministro Moratti, riportate dal sito ufficiale del Ministero, afferma di voler applicare tale proposta.

Ma al di là dell’eticità di chiedere ulteriori rinunce ad una categoria già tanto umiliata (categoria che al contrario meriterebbe dei premi e non delle penalizzazioni), c’è da chiedersi perché il Sen. Valditara parli di una proposta da presentare al governo quando sarebbe sufficiente applicare una legge già esistente (n.143/04) che già dispone di un piano triennale delle assunzioni nel comparto scuola.

Se poi si va a leggere il decreto legge in attuazione della legge 52/2003, che disciplina l'accesso alla professione di docente, approvato il 26 febbraio in prima lettura dal Consiglio dei ministri, si vedrà che l’architettura che vi sta dietro riprende in maniera quasi identica l’organizzazione delle SSIS (scuole di specializzazione universitaria): approfondimento disciplinare, contenuti pedagogico-professionali, periodi di tirocinio nelle scuole, numero programmato e ripartiti tra le Università di ciascuna Regione in misura pari al numero dei posti che si prevede di coprire per concorso nelle scuole statali della Regione stessa, accesso tramite selezione, raccordo tra università e scuola, esame di Stato finale con valore abilitante, programmazione dei posti a cadenza triennale in base a previsioni che tengono conto del numero dei posti di insegnamento, del numero degli alunni, anche disabili e del turn-over del personale docente.

Come si può vedere queste sono le stesse condizione all’interno delle quali si sono mosse negli ultimi 6 anni le Ssis, che dunque possono in qualche modo reclamare una forte paternità nei confronti di questo nuovo canale formativo.

Alla fine di un siffatto iter, i docenti, formati e abilitati, verranno assegnati, secondo l’ordine della graduatoria del corso-concorso, alle scuole della Regione, dove svolgeranno un periodo di un anno di insegnamento con contratto a termine, sotto la supervisione di un tutor (c’è da chiedersi quale tutor, ma la domanda aprirebbe altri tavoli di discussione che per economia di questo intervento non apriremo) e coordinati dal Centro di ateneo responsabile. Alla fine di questo ulteriore anno di lavoro-praticantato, i neo-docenti dovrebbero stipulare un contratto a tempo indeterminato.

Il progetto sembrerebbe la panacea a tutti i mali della scuola italiana. Ma c’è da chiedersi: perché un progetto così simile a quello precedente (e per 6 anni adeguatamente realizzato) delle Ssis? Perché, nonostante anche le ssis avessero la stessa struttura (selezione, formazione teorico/pratica altamente professionalizzante, esame finale abilitante, e numero programmato per il fabbisogno), queste ultime hanno abilitato migliaia e migliaia di insegnanti che si sono semplicemente aggiunti agli altri precari? Perché creare un nuovo canale di reclutamento molto simile al precedente quando quest’ultimo aveva già dimostrato la sua efficienza e qualità? Perché il governo non ha fatto nulla fino adesso di concreto per mettere ordine tra i canali di reclutamento (sempre il governo sta aggiungendo persino ulteriori porte d’accesso alla professione grazie ai recenti corsi riservati)? Perché gli abilitati Ssis non sono diventati di ruolo e questi nuovi abilitati dovrebbero sperare di diventarlo dopo appena un anno dall’abilitazione?

In questo intervento pongo dunque sostanzialmente due quesiti: perché il governo dice di voler studiare una proposta per assorbire il precariato quando basterebbe applicare la legge n.143/04? Perché il governo ha creato con questo decreto un nuovissimo canale di reclutamento quando ne esisteva già uno nuovo (la Siss è operativa soltanto dal 1999) e molto simile al presente progetto, ritenendolo capace di razionalizzare il reclutamento quando il precedente non ne è stato capace?

La risposta più ovvia potrebbe essere che il governo si sia accorto di quello che da tempo tutti gli operatori più accorti alle esigenze di una scuola di qualità dicono, e cioè che vanno assorbiti tutti i precari fino ad esaurimento delle cattedre effettivamente disponibili e di quelle che si stanno creando come conseguenza del turn over, e che è fondamentale un tipo di reclutamento più formativo e razionale.

La risposta ingenua potrebbe essere che il governo voglia davvero dare una soluzione concreta a questi problemi.

Ma la mia ultima domanda è: perché solo adesso?

La coalizione di centro-destra è al governo da quasi 4 anni. Fino adesso il lavoro del governo è stato nel segno contrario. Nonostante un primo momento di dichiarata professione di meritocrazia nella scuola (si vedano i 30 punti agli insegnanti con specializzazione che volevano essere un bonus per la qualità formativa tanto auspicata), il governo, pressato dagli interessi corporativi, e da calcoli elettorali di alcune parti della stessa coalizione, ha subito abbandonato tale progetto scrivendo una serie di note ministeriali, decreti e quanto altro, che hanno solo portato ulteriore confusione e ingestibilità nel sistema del reclutamento. Sempre in questi quasi 4 anni di legislazione, nonostante le cifre sbandierate dal Ministero, le immissioni di ruolo sono state minime in rapporto all’entità del precariato sempre più crescente.

Perché questi buoni propositi solo a fine legislatura?

Anche il centro-sinistra, nel suo ultimo periodo al governo, aveva agito in maniera simile: creazione di un canale nuovo (Ssis) che garantiva a parole un numero di abilitati programmato in base all’effettivo fabbisogno (dopo 6 anni quegli abilitati sono tutti ancora precari), una legge di assunzione di 30 000 precari (effettuata poi dal governo attuale, ma l’iter legislativo, ricordiamolo, è stato portato avanti dal precedente governo con la legge 23 marzo 2001, n. 117), che avrebbe messo di ruolo tutti gli abilitati con le precedenti pratiche abilitanti (di cui gran parte ancora aspetta l’immissione).

Adesso il centro-destra fa un’operazione del tutto simile, anche questa verso la fine della propria legislatura.

Si vogliono nuovamente creare delle aspettative?

Aspettative di immissione di ruolo per i precari storici (le immissioni più grosse, guarda caso, sarebbero previste per settembre 2005, subito dopo le elezioni regionali, e per settembre 2006, dopo le legislative), e aspettative per chi vuole seguire un percorso formativo universitario per insegnare dal 2008 (le stesse aspettative tradite di chi ha frequentato la Ssis).

Siamo semplicemente in campagna elettorale?

Le mie, ovviamente, sono solo domande.