Alunni stranieri, purché non siano di serie B. di Elio Gilberto Bettinelli, da ScuolaOggi del 3/2/2005
I dati sugli esiti scolastici degli alunni immigrati presentati nel precedente articolo, in occasione della pubblicazione quasi contemporanea del Rapporto nazionale e della ricerca lombarda “Insieme a scuola 3”, consentono di avanzare ulteriori approfondimenti e ipotesi.
í Nei percorsi scolastici degli alunni immigrati la scuola secondaria di II° grado rappresenta al momento la fascia di maggiore sofferenza e difficoltà. In Lombardia risulta essere in ritardo scolastico il 65,3% degli studenti stranieri. Inoltre il divario fra i tassi di bocciatura degli italiani e degli stranieri è di 16,10 punti a svantaggio di questi ultimi, ben superiore alla media nazionale di 12,56. Quindi se in Italia l’anno scorso è stato promosso il 72,66 degli alunni stranieri, in Lombardia la percentuale scende al 68,23: quasi un alunno straniero su tre non ce l’ha fatta. Anche i dati relativi alle interruzioni di frequenza sono emblematici di percorsi incerti e a rischio: il 26% gli alunni stranieri ha interrotto gli studi entro i primi due anni a fronte del 9,11% degli italiani.
A livello nazionale
risulta poi che dei circa 45.000 alunni presenti ben il 43,74%
frequenta classi
del primo anno
e la percentuale è significativamente decrescente dal primo
all’ultimo anno di corso. Questa situazione è conseguenza di almeno
due fattori: - La graduale espansione delle presenze di alunni stranieri a partire dai primi anni: alla scuola secondaria di II° grado arrivano sempre più alunni stranieri già secolarizzati in Italia cui si aggiungono molti neo-arrivati per ricongiungimento familiare; - La forte selezione che colpisce gli alunni stranieri insieme alla scelta ampiamente diffusa di inserire gli alunni neo-arrivati in classi inferiori rispetto sia all’età sia alla scolarità effettivamente raggiunta nel paese di origine: il 65,1% degli alunni del primo anno sono in effetti senza precedente scolarizzazione italiana. Sembrerebbe che la difficoltà di rilevare e valutare le competenze scolastiche già possedute al fine di considerarle come eventuali crediti formativi da un lato, la precarietà e la saltuarietà delle misure di sostegno all’apprendimento messe in campo dall’altro, costruiscano percorsi scolastici accidentati, rallentati, incompleti, per di più non sempre corrispondenti alle attitudini dei ragazzi. Ricordiamo che a livello nazionale oltre il 40% degli studenti stranieri frequenta istituti professionali, a fronte del 20% degli italiani. In Lombardia poi vi è un ulteriore 40% presente negli Istituti tecnici.
í Se a livello nazionale il divario fra gli alunni italiani promossi e quelli stranieri risulta subire leggere variazioni da un anno all’altro, rimanendo comunque su livelli che non consentono di segnalare un’evoluzione positiva del fenomeno, quando si passa a esaminare la percentuale degli alunni stranieri in ritardo scolastico in Lombardia – 30,8% considerando tutti gli ordini e gradi scolastici - non si può non rimanere colpiti dal fatto che essa è peggiorata rispetto alla rilevazione del 1999/2000 quando era del 25,9% e pareva in netto miglioramento in confronto alla prima rilevazione regionale del 1995/96, quando raggiungeva il 33%. Il ritardo scolastico si costituisce in buona parte fin dal momento dell’arrivo degli alunni immigrati che vengono inseriti in classi inferiori rispetto alla loro età anagrafica. Le spiegazioni che possono essere prese in considerazione fanno riferimento in primo luogo al notevole aumento degli alunni stranieri verificatosi negli ultimi anni e alla loro diffusione in zone prima non interessate dal fenomeno. L’inserimento degli alunni neo-arrivati in classi inferiori rispetto all’età può essere allora la conseguenza sia all’impreparazione delle scuole sia alla scarsa conoscenza della normativa (che ricordiamo definisce come “norma” l’inserimento dell’alunno immigrato nella classe corrispondente all’età anagrafica) da parte degli operatori scolastici. Tuttavia ritengo che si debbano considerare altri fattori fra i quali un calo, un venir meno generalizzato dell’attenzione all’integrazione scolastica degli alunni stranieri, in particolare da parte del Ministero e dell’Amministrazione Scolastica nelle sue diverse articolazioni. Non è un caso che la normativa al riguardo sia ferma alla fine degli anni novanta (l’articolo 45 del DPR 394 del 1999) e che gli interventi più significativi risalgano addirittura alla metà dello scorso decennio. Il mancato aggiornamento delle norme, l’assenza di nuovi input che tengano conto della nuova fase in cui è entrata l’immigrazione oltre che del nuovo quadro ordinamentale della scuola che si va delineando a seguito della legge n. 53 del 2003, il fatto che gli insegnanti del primo ciclo del sistema di istruzione siano impegnati a districarsi nella rete, piena di nodi, della riforma in corso, sono tutti elementi che possono spiegare una calo di tensione e l’adozione di misure “facili”, quali l’inserimento in classi inferiori, per affrontare il problema. E’ vero che sono stati avviati piani di formazione degli insegnanti, individuate ed erogate risorse economiche alle scuole in zone a forte flusso migratorio (questa è però una misura prevista dal contratto del personale della scuola), continuati i monitoraggi e soprattutto molte scuole hanno continuato a lavorare con impegno e creatività. Ma si sono verificati anche tagli consistenti di organici e risorse professionali, discontinuità e incertezze nel finanziamento delle leggi 40 e 285 cui attingono gli enti locali per sostenere i progetti territoriali, “occultamento” della tematica nei documenti della riforma dove non si trovano riferimenti alla presenza di alunni con cittadinanza non italiana, all’intercultura ecc. In tutto ciò sono evidenti le responsabilità politiche di un andamento, a essere benevoli, schizofrenico o, più probabilmente, di sottovalutazione quando non di disinteresse. Da più parti si afferma giustamente che è tempo di agire perché la situazione è ormai conosciuta, anche grazie alle ricerche e ai monitoraggi sin qui realizzati. Si tratterebbe dunque di “parlare meno” di scuola multiculturale e di operare maggiormente nella direzione di favorire le pari opportunità. Un invito carico di buon senso ma non del tutto convincente se proviene dai responsabili politici e tecnici dell’Amministrazione Scolastica anche perché esplicitare la realtà multiculturale, non sottacerla nei documenti e nelle norme aiuta a non farla passare in secondo piano e sostiene chi intende veramente impegnarsi e agire.
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