RIFORMA E FOTOCOPIE.

Portfolio, applicazione difficile.

di Paolo Fallai, da Il Corriere della Sera del 14 febbraio 2005

 

Non si riesce proprio a superare questa sensazione di incertezza. In questi giorni, tra le scuole e le famiglie, avviene quello scambio istituzionale di informazioni e di impressioni: è un «come va?» che per decenni si è ridotto all’asciutta semplificazione dei voti su una pagella. Per qualche anno ha cercato poi una forma nelle «schede di valutazione» e infine dovrebbe trovare una sua nuova dimensione nel vagheggiato «portfolio» introdotto dal ministro Moratti, protagonista di una delle riforme più annunciate e finora meno attuate della storia scolastica del nostro Paese. Non è questa la sede per discutere su efficacia, logica e contenuti di questo «portfolio» che ad alcuni ispira diffidenza a partire dal nome. Ma come si fa a ignorare il fatto che - per la prima volta - i bambini romani non avranno un sistema uguale di valutazione: dipende dalla scuola, dall’insegnante, perfino dai fondi perché stampare queste lunghe schede costa molto e certi istituti non possono permettersi neanche queste spese.

L’inchiesta che pubblichiamo oggi disegna uno scenario semplice e inquietante: la nuova scheda valutativa è adottata da un 15 per cento delle scuole romane, il 60 per cento si è attenuto alle prudenti indicazioni ministeriali che invitavano ad usare i requisiti minimi di queste schede. Il 25 per cento, infine, ha proprio rifiutato il nuovo strumento e si è affidato alle vecchie schede di valutazione, semplicemente fotocopiandole. Non è uno spettacolo tranquillizzante.

Soprattutto in una situazione che ha visto arrivare gli ultimi insegnanti nelle scuole romane solo in queste settimane, a metà anno scolastico. Soprattutto quando il precipitare delle risorse a disposizione della scuola pubblica costringe presidi, direttori, singoli docenti a inventare ogni giorno piccoli miracoli. E i genitori sempre più spesso a mettere le mani al portafogli.

Così la travagliata applicazione della riforma assume, nelle esperienze di alcune scuole, aspetti grotteschi: come l’istituto del Casilino dove le lingue straniere sono sì diventate due, ma l’insegnante di francese è arrivata a gennaio inoltrato e ha dovuto prendere subito 15 giorni di congedo.

E non sembra privo di fondamento lo sconcerto mostrato dagli insegnanti che vengono chiamati periodicamente a riferire lo stato di applicazione di una riforma che non sono stati chiamati - né periodicamente, né episodicamente - a discutere dei suoi contenuti.

Mentre le famiglie cercano di comprendere quale criterio di valutazione abbiano scelto gli insegnanti dei loro figli, e gli insegnanti si sforzano di comunicare al meglio con i genitori, quello che appare più urgente è non lasciare sola la scuola pubblica al «fai da te» e alla rassegnazione.