La guerra del tutor La destra e la sinistra. da TuttoscuolaFocus del 9/2/2005
Come cambia il mondo. Sulla partita aperta dell’introduzione della figura (o funzione) del tutor all’interno della scuola italiana (primo ciclo) si sta assistendo ad una specie di rovesciamento dei tradizionali parametri di identificazione della "destra" (almeno quella di ispirazione liberal-democratica) e della "sinistra" (almeno quella di tradizione marxista-statalista). Succede che l’attuale maggioranza e governo di centro-destra si trovino ad assumere in materia una linea in qualche modo centralista-giacobina, che si riassume nell’affermazione del primato della legge di riforma generale (in questo caso il decreto legislativo sul primo ciclo) sull’autonomia delle singole istituzioni scolastiche e sulla contrattazione sindacale. Mentre l’opposizione di sinistra si trincera in difesa del decentramento e della competenza delle scuole a decidere non solo se attivare o meno la figura/funzione del tutor, ma anche se rifiutare in toto la riforma, riconfermando i piani di studio, i libri di testo e i POF pre-Moratti. In nome e a difesa della legge 59, del DPR 275/1999 (Regolamento dell’autonomia) e del nuovo art. 117 della Costituzione, che l’autonomia delle scuole sancisce. Insomma, il confronto in atto, al di là della questione del tutor sì, tutor no, tutor come (oggetto della trattativa sindacale in corso), sembra mettere a confronto due concezioni diverse dell’innovazione, in cui quella più centralista-statalista, cavallo di battaglia della sinistra storica in nome dell’equità, è ora sostenuta dal centro-destra, mentre la visione policentrica, deistituzionalizzata, partecipativa dei processi innovativi, è sostenuta dalla sinistra. L’anomalia è ancora più evidente se si pensa che esattamente un anno fa, con il governo che non era riuscito a varare il decreto legislativo sul primo ciclo in tempo per il nuovo anno scolastico, il Miur cercava di utilizzare il più possibile gli spazi offerti proprio dall’autonomia per avviare i processi di riforma, confidando sull’adesione degli istituti, e molti sindacati protestavano contro l’invito alle scuole di utilizzare l’autonomia didattica ed organizzativa, considerandolo un modo capzioso per far passare surrettiziamente la riforma. Come cambia il mondo...
Oltre la destra e la sinistra La confusione è senza dubbio notevole, ed è probabilmente accentuata dal fatto che sulla politica scolastica entrambi gli schieramenti puntano ad acquisire vantaggi elettorali. Così i toni appaiono spesso forzati, legati agli attuali ruoli di governo e opposizione. Il rischio è che essi siano strumentali, e che magari, a maggioranza e minoranza invertite, anche le argomentazioni cambino, e magari si rovescino, col ritorno di "destra" e "sinistra" a lidi più tradizionali. Ma non sarebbe meglio cercare di individuare, se non una terza via, almeno un minimo terreno di convergenza strategica? Per esempio: non sarebbe il caso di ridurre all’essenziale le "Indicazioni Nazionali", ora a giudizio di molti confuse e pletoriche, definendo per il momento a livello centrale pochi e chiari standard di apprendimento per le diverse discipline ai vari livelli? E non sarebbe meglio, dopo aver chiarito centralmente quali sono i livelli di apprendimento attesi, lasciare alle scuole di decidere autonomamente le forme organizzative della didattica? E quale insormontabile difficoltà ci sarebbe (se non derivante dal fumus della politique politicienne) ad accettare l’idea che nel team dei docenti ce ne sia uno che si fa carico delle varie funzioni tutoriali, come vuole il decreto legislativo, e che magari quell’uno non sia sempre lo stesso per tutti gli allievi della classe? Il centro stabilisce che la funzione va esercitata. Le istituzioni scolastiche, la comunità docente, decidono chi la esercita. Soluzioni di buon senso, che a noi non sembrano né di destra né di sinistra. Però utili a far uscire la scuola da una guerra che rischia di non essere vinta da nessuno. |