Gianfelice Rocca, vicepresidente di Confindustria, esprime preoccupazione per il progetto di riforma del ministero: «Attenti a non sperperare un patrimonio che rappresenta la spina dorsale del rapporto tra scuola e tessuto produttivo». «Ministro Moratti, la tecnica è da salvare». di Andrea Casalegno, da Il Sole 24 Ore del 10/2/2005.
ROMA - «Sostegno, ma con molta preoccupazione»: questa è la posizione di Confindustria, espressa dal vicepresidente con delega per l’Education Gianfelice Rocca, sulla riforma della scuola secondaria superiore proposta dal ministro dell’Istruzione Letizia Moratti. «Sostegno — spiega Rocca — perché la riforma contiene molte importanti novità, come l’alternanza tra scuola e lavoro, la possibilità di passare dall’istruzione scolastica a quella professionale e viceversa, e soprattutto il proposito di rafforzare quest’ultima, superandone l’immagine di canale educativo di serie B. E che ci sia urgente bisogno di riforme è confermato dall’ultima indagine comparata Pisa 2003, che colloca i quindicenni italiani, nelle prove di matematica, lettura, scienze e problem solving, nettamente sotto la media Ocse. Ma anche preoccupazione, perché la divisione, dopo l’obbligo, in due soli canali educativi, i licei da un lato, l’istruzione professionale dall’altro, affidata alle Regioni, rischia di cancellare la specificità dell’istruzione tecnica, vera spina dorsale del rapporto fra scuola e mondo produttivo, trascurando il grande valore educativo di una solida cultura professionale». Contro il pericolo, denunciato da molte parti, della “licealizzazione” degli istituti tecnici e commerciali Confindustria e altre dieci organizzazioni imprenditoriali (si veda il riquadro) hanno firmato un documento, consegnato ieri al ministro Letizia Moratti, in cui auspicano che siano «preservate le specificità professionalizzanti dell’istruzione tecnica» ed «evitata la dispersione dello studio in troppe materie, limitandosi a un’inutile infarinatura di nozioni superficiali». Secondo Gianfelice Rocca contrastare la tendenza alla dispersione è fondamentale. «Un sapere generico e superficiale non è vera cultura. Cultura è approfondimento: questo solo ci rende liberi nel mondo di oggi, perché capaci di competere creando innovazione. La cultura tecnica e commerciale, che sarà insegnata nei licei economici e tecnologici, ha una propria identità: l’acquisizione del metodo scientifico e la capacità di applicarlo in un contesto produttivo concreto. E vera cultura, cultura attiva, che non si conquista senza una forte concentrazione sulle materie di base che costituiscono la vocazione specifica di ogni singolo istituto». «Sarebbe del tutto controproducente — continua Rocca — ridurre le ore dedicate alle materie di base, come italiano, inglese, matematica e le discipline specifiche di ogni singolo indirizzo, per fare (poco) spazio a nuove materie genericamente “culturali”, pur affascinanti, come storia dell’arte o filosofia, ma che, con poche ore a disposizione, si ridurrebbero a dare un’infarinatura superficiale»». Analoga considerazione va fatta per le lingue straniere. «Conoscerne pochi rudimenti non serve a nessuno: una lingua è utile nel inondo del lavoro soltanto se la si sa usare con competenza. Oggi l’inglese è libertà, cioè capacità di muoversi e lavorare nel mondo. Ma l’inglese non si impara con poche ore di lezione: anche se, con la riforma, lo studio inizia fin dalla scuola di base, sono necessarie ore e ore di esercizio nei laboratori linguistici»». Non per nulla il documento degli imprenditori chiede di «elevare il monte ore delle discipline scientifiche» e sconsiglia «l’insegnamento di una seconda lingua comunitaria, se fosse a scapito dell’apprendimento della lingua inglese»». Gli industriali non sono, in linea di principio, contrari ad aumentare le materie ‘culturali”. «Purché — ribadisce Rocca — questo non avvenga a scapito delte materie fondamentali. Solo se siamo certi di aver raggiunto buoni risultati in queste ultime (risultati accertati da rigorosi metodi di valutazione), possiamo permetterci di investire risorse nelle materie aggiuntive. Ma è necessario introdurre in tutte le scuole un’abitudine alla valutazione continua che oggi manca. Per costruire cultura la qualità dell’apprendimento è ancora più importante dei singoli contenuti; e i risultati dell’indagine Pisa 2003 dimostrano che siamo ancora lontani dall’obiettivo. Concentrare lo studio sulle materie essenziali, e verificarne con rigore i risultati, è la ricetta dei Paesi che si collocano ai primi posti nelle prose internazionali. E a essa si ispira anche la riforma scolastica voluta dal presidente francese Jacques Chirac: francese, matematica e scienze dovranno essere il nucleo di base di ogni insegnamento. Le tabelle orarie proposte su Internet dal ministero dell’Istruzione seguono invece la tendenza opposta: aumentano le materie e riducono le ore di lezione per ciascuna, con l’ulteriore inconveniente di ridurre gli spazi di autonomia degli istituti scolastici. «Dobbiamo avere il coraggio — osserva invece Rocca — di dare fiducia alle scuole: poi il ministero verificherà i risultati e interverrà dove è necessario: irrigidire orari e programmi, scendendo fino ai dettagli. soffocherebbe l’iniziativa delle scuole migliori». Il vicepresidente di Confindustria chiede inoltre che la qualità della formazione professionale non sia pregiudicata. ma anzi elevata, dal passaggio alle Regioni (per questo il documento degli imprenditori chiede di realizzare il passaggio attraverso «una fase di transizione di almeno cinque anni»o e che il sistema di governo delle scuole si apra maggiormente alle forze economiche territoriali. Le due richieste convergono in una proposta concreta: «La creazione di poli teenologici ed economici, veri e propri campus, fisici o basati su accordi, in cui i licei scientifici e tecnologici e le scuole professionali si arricchiscano reciprocamente, a stretto contatto con le imprese e il territorio, utilizzando nel modo migliore gli spazi di autonomia». Questi poli, secondo il documento degli imprenditori, dovrebbero essere da un lato dei centri di ricerca applicata, come sono già da molti anni i migliori istituti tecnici, dall’altro dei «laboratori di innovazione curriculare e di didattica». Ma. viene spontaneo chiedersi, con quali risorse? Anche da questo punto di vista la riforma “a costo zero”’ rischia di essere impraticabile. |