Dopo la denuncia al «Corriere» del presidente dell’Accademia della Crusca,

l’esclusione dalle conferenze stampa dei commissari scatena la polemica.

Un coro di «no»

al declassamento dell’italiano in Europa.

di Ivo Caizzi , da Il Corriere della Sera del 19 febbraio 2005

 

DAL NOSTRO INVIATO
BRUXELLES - E' diventato un caso politico, culturale e istituzionale il problema della penalizzazione della lingua italiana nella Commissione europea e della perdita complessiva di prestigio dell'Italia in Europa, sollevato dal Corriere della Sera . Dopo le interrogazioni parlamentari di vari eurodeputati italiani del centrodestra e del centrosinistra, le critiche di personaggi autorevoli come il presidente dell'Accademia della Crusca, Francesco Sabatini, e le proteste dell'Associazione internazionale dei giornalisti accreditati a Bruxelles (Api), il ministro degli Esteri Gianfranco Fini ha invitato la prossima conferenza dei direttori degli istituti italiani di cultura all’estero a «mettere a punto ulteriori strategie per la promozione della nostra lingua nel mondo». La Farnesina ha poi sollecitato un chiarimento al presidente della Commissione europea, il portoghese Josè Manuel Barroso, tramite l'ambasciatore presso l'Ue di Bruxelles Rocco Cangelosi. Il portavoce di Fini, Pasquale Terracciano, aggiunge: «Abbiamo anche chiesto che la questione venga affrontata a brevissima scadenza dal Coreper», che è il comitato dove gli ambasciatori a Bruxelles dei 25 Paesi Ue trattano gli affari comunitari per conto dei rispettivi governi.

In discussione non ci sono più soltanto l'esclusione dell'italiano dalle conferenze stampa dei commissari nei giorni diversi dal mercoledì (quando è ancora garantita la traduzione di tutte le principali lingue dei Paesi membri) e la decisione di Barroso di nominare sei portavoce francesi, cinque tedeschi, cinque britannici e nessun italiano. Il dibattito si sta estendendo al complesso delle situazioni che evidenziano il ridimensionamento del peso politico, culturale e istituzionale dell'Italia in Europa: di cui l'emarginazione dell'italiano nella Commissione e il minor numero di posti importanti assegnati agli italiani nelle istituzioni comunitarie sono solo alcuni degli indicatori più evidenti. Un altro esempio spunta dalla Scuola europea di Bruxelles finanziata dalla Commissione e dai governi, che ha visto l'Italia tra i suoi fondatori tanto da venire denominata in latino Schola Europaea . Il previsto affollamento conseguente all'allargamento dell'Ue a 25 membri ha reso insufficienti le sue sezioni di italiano, le uniche disponibili a Bruxelles nonostante sia italiana la principale comunità d'immigrazione in Belgio. Oggi così esistono possibilità quasi illimitate per studiare in francese, molto ampie per la lingua inglese, sufficienti per i tedeschi (che tra l’altro hanno il confine nazionale a portata di pendolarismo), mentre le poche classi in italiano, pur pagate dai contribuenti, sono di fatto riservate ai figli degli eurocrati e dei diplomatici (a causa di incredibili discriminazioni di casta e di censo nelle iscrizioni). Famiglie italiane a volte rinunciano a trasferirsi nella città epicentro delle attività comunitarie proprio per l'assenza di una scuola nella lingua madre: lasciando liberi spazi professionali, che a Bruxelles vengono occupati sempre di più da francesi, britannici e tedeschi.

Le reazioni in Italia hanno comunque già messo in imbarazzo Barroso e il suo portavoce-capo, la francese Françoise Le Bail, diretta responsabile dell'esclusione degli italiani dal suo ufficio e della penalizzazione dell'italiano a vantaggio del tedesco, imposto come nuova lingua stabile della sala stampa (in aggiunta alle tradizionali inglese e francese). Le Bail starebbe frettolosamente cercando un italiano da nominare suo vice, che non sembra però una soluzione sufficiente a un riequilibrio con i 5-6 portavoce degli altri tre grandi Paesi. Inoltre, in una dichiarazione a un'agenzia di stampa, è apparsa meno determinata a privilegiare il tedesco, che in una lettera di pochi giorni fa all'Associazione internazionale dei giornalisti di Bruxelles ancora difendeva come necessario per far funzionare la sua «innovazione» linguistica in sala stampa: incentrata sul ridimensionamento dell’italiano.