Secondo ciclo 1. UDC e Forza Italia attaccano la bozza di decreto. da TuttoscuolaNews N. 185, 14 febbraio 2005
Tanto tuonò che piovve. All'interno della maggioranza i mal di pancia e le prese di distanza dalla bozza di decreto legislativo sul secondo ciclo, puntualmente riferiti da "Tuttoscuola" nelle scorse settimane, si sono trasformati in aperte critiche, che giungono, nel caso dell'UDC, alla formale richiesta di ritiro del provvedimento. E anche AN, che pure ha visto finora sostanzialmente accolte le sue richieste, sollecita una riunione di maggioranza (che si dovrebbe tenere tra una decina di giorni) per cercare un accordo che allo stato delle cose sembra, per usare un eufemismo, non facile. Il responsabile scuola dell'UDC Beniamino Brocca, dopo aver informato il segretario e vicepresidente del Consiglio Follini, ha infatti rilasciato una durissima dichiarazione con la quale fa sapere al ministro Moratti che l'UDC "ribadisce ancora una volta la propria contrarietà alle ipotesi recentemente avanzate che gettano la scuola in uno stato di totale confusione; che stravolgono il quadro complessivo di sviluppo del sistema educativo; che tradiscono lo spirito e la lettera della legge di riforma n. 53/2003". Per questo, continua Brocca, "si avanza la richiesta di ritiro immediato da parte del ministro Moratti della bozza di decreto legislativo" e la riprogettazione "da zero" del modello, che deve essere basato "sulla costruzione di un doppio canale autorevole ed equilibrato". Anche il Dipartimento scuola e università di Forza Italia rileva che la bozza di decreto legislativo sul secondo ciclo "presenta significative discordanze con la legge di riforma, al punto di vanificarne i propositi di cambiamento e di innovazione" e chiede sostanziali modifiche. "Spostare ulteriormente, come fa la bozza di decreto, il baricentro del ciclo secondario sul versante liceale, con l'inevitabile de-professionalizzazione dei diplomi tecnici e conseguente propedeuticità al proseguimento degli studi - sostiene Forza Italia - accentuerebbe i fattori di crisi del nostro sistema educativo, vanificando la domanda.
2. Se la maggioranza attacca, figurarsi l’opposizione L’opposizione, dal suo canto, si dichiara "perfettamente d’accordo con Brocca" (lo dice la sen. Acciarini, capogruppo DS in commissione Istruzione) sulla denuncia della totale confusione nella quale si trova oggi la scuola, ma dissente da lui sulla proposta del "doppio canale". Anche se in fondo la proposta del ministero non è lontanissima da quella contenuta nella legge n. 30 (Berlinguer). Anche la sen. Soliani (capogruppo Margherita in Commissione Istruzione) ha dichiarato che "questa bozza non passerà mai. La burocrazia del decreto è inaccettabile. La scuola superiore ha bisogno di un assetto stabile capace di assicurare ai giovani una base solida di conoscenze in cui cultura umanistica, scientifica, capacità tecnica ed operativa debbono incontrarsi e fondersi, e di garantire alle istituzioni scolastiche l’autonomia di proporre percorsi educativi in cui si realizza il diritto ad un’istruzione adeguata e differenziata, come diritto teso al pieno sviluppo della persona umana". Come si muoverà ora il ministro Moratti, che dovrà trovare un punto di sintesi tra richieste contrastanti, se non opposte, che provengono dall’interno della sua maggioranza, senza poter contare su una diminuzione dell’ostilità da parte dell’opposizione?
3. Confindustria: vogliamo licei più "vocazionali" Sì agli indirizzi del liceo tecnologico e di quello economico prefigurati nella bozza di decreto legislativo del MIUR. Anzi, se ne potrebbe aggiungere un altro (nel liceo economico), per il settore creditizio-finanziario. No, invece, ai piani di studio delineati dagli esperti esterni nominati dal Ministro, e poi rivisti dalla struttura tecnica del Ministero, perché lasciano troppo poco spazio alle materie professionalizzanti. Così si può riassumere un documento, datato 7 febbraio 2005, sottoscritto dalla Confindustria e da altre 10 associazioni datoriali, compresa la Lega delle Cooperative. Per quanto riguarda il sistema di istruzione e formazione, la proposta è quella di dare più tempo alle Regioni ("almeno cinque anni"), e di fare coesistere i suoi percorsi con quelli liceali tecnologici ed economici all’interno di "campus", ovvero "poli tecnologici ed economici". Persiste dunque la diffidenza delle principali associazioni imprenditoriali verso le Regioni, giudicate non in grado di assicurare il rilancio e la gestione di un’istruzione tecnica qualificata e competitiva. Ma emerge anche un giudizio seccamente negativo sulla "licealizzazione" degli istituti tecnici conseguente ai piani di studio predisposti dal Ministero: troppe materie, e soprattutto troppo poco spazio per quelle professionalizzanti. "Storia dell’arte e filosofia sono materie affascinanti", dice Gianfelice Rocca, vicepresidente di Confindustria con delega per l’Education in un’intervista al "Sole-24 ore", ma richiedono tempo adeguato: un’infarinatura superficiale non servirebbe a niente. Come a niente, anzi a danneggiare l’apprendimento dell’inglese, servirebbe la seconda lingua straniera. Via tutto questo pulviscolo di materie, dunque, e più spazio alle materie di base: "italiano, ing lese, matematica e le discipline specifiche di ciascun indirizzo".
La CEI contro la "banalizzazione liceale" Anche la CEI (Conferenza Episcopale Italiana) ha preso posizione contro la "licealizzazione" dell’istruzione tecnica. Lo ha fatto attraverso un seminario organizzato la scorsa settimana dal Centro studi scuola cattolica (Cssc), un organismo di ricerca costituito per iniziativa della stessa CEI. Guglielmo Malizia, direttore del Centro, ha sostenuto che "la riproposizione nell’ambito dei licei dei vecchi istituti tecnici di fatto annullerebbe la natura innovativa della riforma" perché "renderebbe più difficile il successo formativo dei giovani, impedirebbe alle Regioni di svolgere un effettivo ruolo di governo del sistema dell'offerta formativa, darebbe voce alle componenti più retrive del mondo della scuola che mirano semplicemente a conservare il potere di un comparto - quello degli istituti tecnici e professionali - che genera la massima dispersione, dal 18 fino al 43% degli studenti iscritti". A sua volta Emilio Gandini, presidente dell'associazione "Forma", che raccoglie il 90% degli enti di formazione professionale di ispirazione cristiana, ha sostenuto che "insistere sulla licealizzazione porterebbe alla creazione di un soggetto ibrido, provocando una sorta di 'banalizzazione liceale' accanto a una 'povertà' professionale dei percorsi che non sarebbero in tal modo in grado di soddisfare le esigenze poste dalle imprese e dalle categorie professionali".
5. Ma il Ministero ha fatto autogoal Con argomenti analoghi a quelli svolti dalla Confindustria, ma conclusioni assai diverse, anche una "voce di dentro" del Ministero critica la bozza di decreto legislativo predisposta dallo stesso Ministero. La voce, anzi la penna, è quella di Domenico Sugamiele, stretto collaboratore del sottosegretario Aprea, che in un articolo pubblicato nel numero di febbraio di "Nuova Secondaria", rivista della quale Giuseppe Bertagna è caporedattore, scrive che "nella discussione e, soprattutto, nella implementazione dei documenti di riferimento del secondo ciclo (leggi schema di decreto e piani di studio, ndr) sono apparse prevalere posizioni di pura conservazione dell’apparato burocratico amministrativo". Nell’articolo, intitolato "La licealizzazione dell’istruzione tecnica: un autogoal", Sugamiele sostiene che la collocazione dell’ex istruzione tecnica nell’area liceale "appare in controtendenza con le esigenze del sistema produttivo e con la domanda diffusa di formazione". A differenza di Confindustria, che critica la bozza di decreto ma la ritiene emendabile in direzione del rilancio dell’istruzione tecnica in viste liceale, Sugamiele sembra dare per scontato che l’inserimento degli ex tecnici nel "sistema di istruzione", cioè tra i licei, ne altererebbe irrimediabilmente la fisionomia, portando il 70-80% della popolazione scolastica ad una sorta di "sovraqualificazione dequalificata". A suo parere (ma è anche quello del sottosegretario Aprea?) è "impensabile che la formazione tecnico-professionale non sia inserita nella programmazione regionale, da una pa rte, e nelle politiche di sviluppo locale dall’altro".
6. Le ipotesi in campo: poli o campus? Le posizioni in campo nel dibattito sul secondo ciclo sono chiare. Il ministro Moratti è chiamato a scegliere tra tre ipotesi. La prima è quella di una sinistra che chiede di non cambiare nulla perché la riforma peggiorerebbe l’esistente. Non sarà sicuramente seguita. La seconda è, in subordine, quella elaborata dalla struttura tecnica ministeriale, sostenuta da Confindustria con significative convergenze anche sindacali. Avremmo i licei statali generalisti, quelli con il latino e la filosofia; i licei statali vocazionali senza latino e filosofia, ma con laboratorio, in sostituzione degli attuali istituti tecnici e infine l’istruzione e formazione professionale regionale con i corsi di qualifica triennali o di diploma quadriennali, ed eventualmente con il quinto anno integrativo per gli esami di stato. In altri termini, due sistemi, con il primo che comprende percorsi di "serie A" e di "serie B", e il secondo con percorsi di fatto residuali e di "serie C" (anche se Confindustria, con la proposta di costituire i cosiddetti poli formativi, consiglia di riunire i licei vocazionali di serie B con i percorsi dell’istruzione e formazione professionale di serie C). La terza posizione è quella del campus, che l’associazione professionale Diesse, esprimendo posizioni non lontane da quelle di Forza Italia, così riassume: "l’idea del campus implica la riorganizzazione delle scuole esistenti attualmente in un territorio (licei, istituti tecnici, istituti professionali, Cfp e apprendistato) in un sistema educativo unico, articolato al proprio interno in un sottosistema dei licei e in un sottosistema dell’istruzione e formazione professionale"; ovviamente licei che sono licei, con latino e filosofia, e istituti dell’istruzione e formazione professionale di 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9 anni che sono di istruzione e formazione professionale. Una cosa è certa: le tre proposte non si equivalgono, esprimono tre diverse ideologie sociali e teorie pedagogiche, hanno una loro compiutezza ed organicità che porta a renderle tra loro incompatibili. Quale arriverà in fondo? |