Da Siena l'ennesima denuncia dei rettori. Migliaia di giovani studiosi
vanno oltreoceano e ci restano. Ciascuno è costato allo Stato 500 mila euro

Italia, un Paese senza ricerca

agli Usa regaliamo 5 miliardi all'anno.

Il più basso numero di ricercatori (quasi tutto nel pubblico)
e investimenti ai minimi termini: "Parliamo di Cina, ma il disastro è qui"

Angelo Melone, la Repubblica del 12/12/2005

 

SIENA - La stima è per difetto, ed è di un medico e ricercatore italiano che ora dirige un centro di eccellenza di trapianti a Philadelphia: "Facendo un calcolo approsimativo - dice Ignazio Marino - l'Italia regala ai ricchi Stati Uniti 5 miliardi di euro all'anno attraverso le migliaia di giovani ricercatori che lasciano il nostro paese per andare a lavorare oltreoceano". Una cifra paurosa, diecimila miliardi di vecchie lire.

E, d'altra parte, il conto è presto fatto: al momento della laurea o della specializzazione uno studente è costato allo Stato almeno 500mila euro. Che così escono dai confini, quasi sempre per non tornare.

La riflessione del chirurgo italiano si ritrova tutta nell'allarme lanciato all'Università di Siena sullo stato della ricerca in Italia. Le cifre sono agghiaccianti, e si possono tradurre in un concetto semplice e disarmante: il nostro paese è in declino, non è il solo ma perde sempre più terreno nell'innovazione e sta tarpando le ali al mondo della ricerca: cioè si sta privando dell'unico strumento per risalire la china.

In Italia c'è il più basso numero di ricercatori d'Europa: sono settantamila, per due terzi nel settore pubblico o nelle università. In Francia sono 170mila, in Germania 270mila (ma a rapporto inverso, la maggioranza è nelle imprese): è come aver già spento il motore. Interventi per riaccenderlo? Basta guardare le cifre: facendo un confronto nello stesso lasso di tempo, la spesa pubblica per la ricerca è stata di 14 miliardi di euro in Italia, 47 i Francia, 76 in Germania.

Attualmente il nostro paese investe in questo settore essenziale per il suo futuro 129 euro per abitante: l'Inghilterra 338.

Eccolo qui, tradotto in cifre, il cuore del declino italiano. Le hanno fornite molti dei partecipanti ad un confronto su ricerca e innovazione promosso a Siena dal presidente della conferenza dei rettori Piero Tosi. Da Enrico Letta a Carlo E. Ottaviani della StMicroelectronics, dal presidente della Fondazione Montepaschi - Mussari - a Bruno Tabacci i toni non cambiano. Fa notare Ottaviani:

"Osserviamo con miopia la scena mondiale. Si parla tanto di Cina, ma sfugge che quel paese già spende più dell'Italia in ricerca, e anche qui con stipendi molto più bassi: è su questo fronte che avremo i maggiori problemi".

Lo Stato assente, distratto. "Non è una litania, in questo caso", dice Mussari che con la sua Fondazione insieme a università ed enti locali ha dato vita a Siena a una struttura che si occupa di rapporti tra università e imprese. "In Italia l'80% delle imprese è sotto i dieci dipendenti, non possono fare ricerca. Ci hanno spiegato che bisognava lasciar fare al mercato e alle sue virtù, per scoprire ora che in Francia teorizzano e praticano l'intervento pubblico per il progresso delle imprese. I governi si prendano le loro responsabilità: decidano quali sono gli obiettivi, ci mettano i soldi e gli altri investitori inizieranno ad andargli dietro con chiarezza, non in ordine sparso come adesso".

E per capire quale sia la differenza di attenzione allo sviluppo della ricerca basta un solo caso. StMicroelectronics è un esempio ricorrente per il polo tecnologico fondato in Sicilia in collaborazione con l'università di Catania. Eppure all'orizzonte c'è una tentazione francese. Racconta Ottaviani: "Abbiamo un centro di ricerca ad Agrate, tutto a spese nostre. Se lo trasferissimo negli stabilimenti di Grenoble lo Stato francese parteciperebbe al 25%. La tentazione è forte: va bene credere nelle idee ma bisogna anche pensare ai dividendi degli azionisti".

La leva per uscirne? Per tutti, l'università. Che per ora viene però manovrata in direzione opposta. Ecco l'analisi del rettore Tosi. In Italia ci sono pochi laureati, ma il 25% a tre anni dalla laurea è ancora disoccupato.

Gli investimenti sugli studenti sono la metà di quelli dei nostri partners europei, che puntano anche sulle strutture per i giovani e per aiutarli finanziariamente negli studi. In Italia si spendono 75 euro all'anno per studente.

"Cosa ci facciamo? - dice Tosi". E lancia la sua proposta: "Abbiamo bisogno di molti più investimenti e di indirizzi chiari su dove puntare. Le università faranno i loro, programmi e chiediamo una agenzia centrale di valutazione che scelga e decida dove investire. Attualmente vedo con preoccupazione ripopolarsi i corridoi del ministero di persone, anche di rettori, a caccia di finanziamenti: un segnale drammatico".

E intanto, raccontano, Il Pentagono ha finanziato docenti per scrivere sceneggiature televisive che abbiano al centro il mondo degli scienziati, e gli indiani stanno lavorando a un satellite che andrà in orbita solo a scopi propagandistici: invogliare i giovani alla ricerca.