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Un presente difficile . . .
di Maurizio Tiriticco da
Scuolidea del
24/12/2005
L’avvio del nuovo millennio per la nostra scuola
è stato veramente funesto! Abbiamo avuto un ministro che, pur non
avendo nulla a che fare con la cultura dell’istruzione e della scuola,
con il suo Punto e a capo ha avuto la pretesa di varare una
riforma…epocale! Ma i risultati sono sotto gli occhi di tutti! Sono
cinque anni che le scuole sono in assoluta sofferenza! Sono vittime
sacrificali dell’improvvisazione e dell’approssimazione da parte di
un’amministrazione che, giorno dopo giorno, si è fatta sempre più
proterva e arrogante! Più dalle scuole si sono avanzate domande,
dubbi, perplessità, più dall’amministrazione si è risposto con
insofferenza, se non addirittura con tracotanza!
Tutti fummo sorpresi quando la signora Moratti
venne preposta al dicastero dell’Istruzione. Taluno pensò che, essendo
una valida manager, in una situazione così nuova per la nostra
amministrazione pubblica, in cui si incrociano ormai delicatissimi
processi di privatizzazione e di devoluzione, una persona simile – una
donna per di più – avrebbe dato una buona prova di sé! Tutto sarebbe
andato bene se il nuovo ministro, da esperto manager, si fosse
limitato a metter mano alle tante disfunzioni amministrative ed
organizzative di cui la nostra scuola soffre da tempo! Del resto, che
cosa ti aspetti da un manager? Ma… non è stato così!
Il ciabattino è voluto andare oltre la scarpa,
come ammonivano i Latini! Infatti, l’intenzione del ministro era ben
altra! Era quella di lasciare il suo nome alla storia! Il novello
Gentile – edizione della nuova destra democratica – si è detto: la
nostra Costituzione è stata riscritta nel suo Titolo V, ed occorre
renderlo esecutivo, per cui quale migliore occasione per riformare la
nostra scuola, pardon, il Sistema Educativo di Istruzione e
Formazione, dall’A alla Zeta? E a ciò si è aggiunta tutta la
prosopopea berlusconiana del faccio tutto mi, per cui…
diocenescampielibberi, come si suol dire! Invece, purtroppo, il
padreterno non ci ha né scampati né liberati!
Per una operazione così complessa come un
processo di riforma sarebbe stata necessaria una persona di ben altro
ed alto profilo! Il quale, comunque, avrebbe promosso la più ampia
consultazione possibile per verificare la bontà del suo disegno! Ma,
quando un illuminato da dio sa di essere nel giusto, chi lo può
fermare? Il ministro ha marciato come un panzer! Che necessità c’è di
ascoltare le scuole, gli insegnanti, le associazioni, i sindacati, la
ricerca pedagogica, tutti quei soggetti che la scuola la studiano, la
vivono, la fanno, quando c’è un uomo, pardon, una donna della
provvidenza che per divinazione sa solo lei come procedere? Così sono
saltati tutti quei correttivi, quegli equilibri che, invece, sono
l’anima e la forza di una democrazia. E che sono quanto mai necessari
quando si innesca un processo di riforma di un settore così importante
dell’intero sistema pubblico.
Così, se oggi le statistiche ci dicono che una
gran parte dei giovani fugge dall’iscriversi all’istruzione tecnica,
professionale, regionale per correre ai licei classici e scientifici,
non c’è da meravigliarsi! Sono cinque anni che il ministro
dell’istruzione va predicando che non tutti sono portati per la
scuola, che non tutti ce la fanno, e che, piuttosto che perdere i meno
dotati, è bene predisporre un canale formativo tutto per loro! E
allora, perché un giovane dovrebbe sentirsi da meno? Perché dovrebbe
scegliere un percorso di studi che lo stesso ministro definisce
“diverso”… anche se “di pari dignità”? Il fatto è che la pari dignità
ha poco senso a fronte di una concreta e tangibile diversità.
Così il ministro con un sol colpo ha stravolto
due principi: la Costituzione del 2001, che non parla affatto di due
canali, ma solo di due competenze legislative; e l’eguaglianza della
istruzione, sancita dalla Costituzione del 47!
. . . e un futuro possibile
Il nuovo anno ci porterà un altro governo e un
altro ministro dell’istruzione! Abbiamo tutti da chiedergli molto, ma
in primo luogo di avviare una larga consultazione con le scuole e con
tutti i soggetti che contano, perché sono loro che fanno giorno dopo
giorno educazione, istruzione e formazione – come vuole il dpr 275/99,
articolo 1 – pur se tra mille difficoltà!
In secondo luogo, poniamo al ministro che verrà
alcune priorità:
-
cancellare quella invenzione dell’anticipo che
ha costituito un duro colpo contro la scuola dell’infanzia. Questa
scuola si chiama dell’infanzia perché in primo luogo è per i bambini
dai 3 ai 6 anni, non per le mamme, altrimenti avremmo potuto
continuare a chiamarla scuola materna. La sua consistenza formativa e
la sua originalità non nascono dal caso, ma da esperienze che vengono
da lontano e che hanno condotto a quegli Orientamenti del ’91, a
fronte dei quali le altisonanti Indicazioni nazionali per i piani
personalizzati delle attività educative nella scuola dell’infanzia
sono solo un grossolano e scorretto suntino, ovviamente da cancellare.
Inserire bambini inferiori ai 3 anni in una scuola che non è fatta per
loro è un errore pedagogico. Ma un manager queste cose non può
saperle;
-
andare incontro alle esigenze delle madri e
delle famiglie: il che è una iniziativa validissima e attesa; quindi
occorre incrementare il numero e la qualità formativa dei nidi; questi
non dipendono dal ministro dell’istruzione, quindi si dovrà agire di
concerto con gli enti locali, se si vuole giungere ad una contestuale
generalizzazione dei due sistemi formativi, i nidi e le scuole per
l’infanzia;
-
provvedere, con una iniziativa dell’intero
governo, affinché a tutti i giovani sia garantito un diritto/dovere di
istruzione (non anche di formazione) della durata di 10 anni, ovvero
fino ai 16 anni di età, da compiersi all’interno del sistema
scolastico le cui norme generali (art. Cos. 117, c. 2, n) sono di
competenza dello Stato. Ciò comporterà che: a) venga delineato un
curricolo verticale dai 6 ai 16 anni di età, da realizzarsi nel primo
ciclo di istruzione e nei primi due anni del secondo ciclo di
istruzione; b) venga riordinata l’organizzazione curricolare e
didattica verticale e orizzontale dei bienni degli istituti secondari,
nella quale coinvolgere direttamente le istituzioni scolastiche
autonome, le quali opereranno anche, se del caso, con il concorso
delle istituzioni formative regionali; c) vengano delineati gli
standard degli apprendimenti di uscita dai bienni con i quali
procedere alla certificazione delle concrete competenze acquisite
dagli alunni; d) in ordine all’innalzamento dell’istruzione ai 16 anni
di età, venga riscritta la normativa relativa all’apprendistato
(occorrerà anche correggere l’articolo 2 del Codice civile che
sancisce la capacità lavorativa ai 15 anni di età);
-
riscrivere totalmente e con una nuova
intestazione sia le Indicazioni nazionali per la scuola primaria che
le Indicazioni nazionali per la scuola secondaria di primo grado,
considerando la dovuta distinzione che corre tra i livelli essenziali
di prestazione (art. Cos. 117, c. 2, m) del servizio da osservarsi da
parte delle istituzioni scolastiche autonome e gli obiettivi specifici
di apprendimento relativi alle competenze degli alunni (art. 8, c.1, b
del dpr 275/99) in quanto standard nazionali; redigere ex novo le
Indicazioni nazionali per il biennio conclusivo del diritto/dovere di
istruzione di 10 anni con la debita distinzione tra livelli essenziali
di prestazione e standard terminali;
-
adoperarsi perché, una volta giunti alla
definizione di standard nazionali, sia possibile adottare criteri di
valutazione affidabili, attendibili, validi e condivisi. In tal modo
saranno possibili procedure valutative certe sia a livello della
singola istituzione che a livello del Sistema nazionale di
valutazione. Tali livelli di certezze renderanno superflue operazioni
di tutoring e portfolio introdotte nelle scuole del primo ciclo. Per
il secondo ciclo, l’adozione di un portfolio, indubbiamente corretta
sia per la complessità e pluralità di percorsi e competenze che per le
implicazioni con i profili professionali anche in chiave di dimensione
europea, è totalmente da progettare, considerando vacuo e
approssimativo quanto contenuto nelle Indicazioni nazionali per il
secondo ciclo di istruzione, sistema dei licei;
-
adoperarsi perché venga garantito il
diritto/dovere di istruzione e formazione di 2 anni, da concludersi
nel sistema di istruzione o nel sistema di istruzione e formazione
professionale regionale entro il 18° anno di età con il conseguimento
di una qualifica;
-
adoperarsi per un riordino del sistema di licei
ed una loro ridefinizione, in modo che siano definiti solo i percorsi
di reale istruzione senza interferenza con percorsi di istruzione e
formazione professionale la cui competenza è regionale. Tutta la
questione, comunque, deve essere demandata al tavolo della Conferenza
Unificata Stato-Regioni;
-
in via immediata, provvedere ad una
riqualificazione dell’attuale esame di Stato conclusivo dei corsi di
studio di istruzione secondaria superiore (ex esame di maturità)
mediante due provvedimenti: a) ritorno alle commissioni miste di cui
all’articolo 4, c. 1 della legge 425/97; b) definizione di un modello
di diploma che certifichi le competenze acquisite dal candidato, come
indicato dall’articolo 6 di detta legge; è opportuno ricordare che
l’attuale modello di diploma, di cui al dm 450/98 “ha carattere
sperimentale e si intende adottato limitatamente agli anni scolastici
1998/99 e 1999/2000”. La cosa strana è che lo stesso articolo 6 ci
ricorda che la certificazione è necessaria perché occorre tener conto
“delle esigenze di circolazione dei titoli di studio nell’ambito
dell’Unione europea”;
-
assumere concrete iniziative per promuovere il
valore e il peso che le istituzioni scolastiche autonome devono avere
in ordine alle decisioni che si assumono a livello nazionale e
regionale; studiare forme e modi di rappresentatività delle
istituzioni scolastiche nella consapevolezza che solo una partecipata
condivisione delle scelte di politica scolastica può consentire la
progettazione e la realizzazione di interventi di educazione,
formazione e istruzione sul territorio, mirati allo sviluppo della
persona umana, come si evince dall’articolo 1 del dpr 275/99; in tale
ottica occorre riequilibrare i rapporti tra scuola e famiglia: ambedue
hanno ruoli educativi precisi e distinti, che non possono
assolutamente confusi a detrimento dell’una o dell’altra. Le richieste
delle famiglie in materia di istruzione non possono essere prevalenti
(dlgs 59/04, art. 7, c. 2) nei confronti delle scelte responsabilmente
assunte dai professionisti dell’istruzione che operano nelle
istituzioni scolastiche;
-
promuovere, a livello di Conferenza Unificata
Stato-Regioni tutte le possibili iniziative per giungere ad una
equilibrata distribuzione di competenze e risorse tra i diversi
soggetti istituzionali per realizzare quanto prescritto dal Titolo V
della Costituzione; adoperarsi perché la competenza dello Stato in
materia di istruzione non sia pervasiva della materia istruzione e
formazione professionale di competenza delle Regioni; adoperarsi
perché le Regioni assumano per intero un compito che, anche se
oneroso, la Costituzione ha loro affidato, nella prospettiva di una
progressiva ridistribuzione di poteri dal centro alla periferia.
Può sembrare un ultimo codicillo, ma in effetti
non lo è. Quell’enunciato della legge 53, art. 2, C. 1, b, secondo il
quale “sono promossi il conseguimento di una formazione spirituale e
morale, anche ispirata ai principi della Costituzione”, è offensivo
per la nostra scuola repubblicana, per tutta la sua storia, per la
nostra stessa Costituzione dalla quale il nostro Sistema educativo
trae, dal ’47 in poi, tutti i principi di quell’etica civile che
sostanzia e caratterizza una scuola pubblica e aperta a tutte le
culture. L’enunciato della legge tradisce una visione della scuola che
non valorizza la persona in quanto tale, interrelata solidalmente e
responsabilmente con mille altre persone diverse, ma che la enfatizza
e la isola indipendentemente dal contesto in cui è tenuta ad
esprimersi e ad operare. Quelle finalità sono estranee alla scuola
della nostra tradizione repubblicana. E’ opportuno tornare a quelle
finalità che così egregiamente hanno sempre introdotto i Programmi
ministeriali di un tempo. Il fatto che la stagione dei Programmi sia
finita per sempre non significa affatto che certe finalità debbano
anch’esse decadere!
Queste, a nostro avviso, sono le iniziative da
prendere – almeno le più importanti – dal governo che verrà. E’ da
valutare come procedere operativamente e formalmente, al di là e al di
qua dei roboanti proclami che siano soliti leggere: abrogare la
Moratti! D’accordo, ma ci sono i tanti come , i quando e i perché che
vanno valutati con estrema attenzione, per evitare di aggiungere
pasticci a pasticci e correre il rischio di liquidare in via
definitiva quella scuola che tutti, invece, vorremmo tanto salvare,
innanzi tutto con il suo contributo fattivo, che è la PRIMA COSA che
conta!