Letizia come Margaret?/1. Perchè sì. da TuttoscuolaNews , N. 225, 19 dicembre 2005
Tempo di bilanci per l'avventura governativa di Letizia Moratti. Ora che ha annunciato ufficialmente la sua candidatura a sindaco di Milano, con il probabile abbandono della guida del MIUR a febbraio 2006, si può provare a riflettere sull'azione complessivamente svolta in questi quasi cinque anni da quella che molti hanno definito, con fantasia giornalistica, la "lady di ferro" del governo Berlusconi, paragonandola addirittura a Margaret Thatcher, protagonista (nel 1988) di una riforma epocale del sistema educativo inglese. Il paragone con la Thatcher, per la verità, si regge più sotto il profilo formale che su quello sostanziale, come si mostra più avanti. Però non c'è dubbio che rispetto ai ministri di lunga durata che l'hanno preceduta in viale Trastevere (Gonella, Gui, Falcucci, Berlinguer) la Moratti si è distinta per uno stile di governo più solitario e decisionista, meno incline, anzi per nulla incline alle mediazioni di tipo sia politico che sindacale. A livello politico si contano sulle dita di una sola mano le "riunioni di maggioranza" formalmente convocate per concordare le linee dell'azione governativa e quella dei gruppi parlamentari sui principali temi della politica scolastica, tanto che alcuni dei responsabili scuola dei partiti (soprattutto Brocca per l'UDC, ma anche Valditara per AN, e perfino Mario Mauro per Forza Italia) hanno più volte preso le distanze, o apertamente criticato, alcune scelte che maturavano a livello governativo: si ricorda, per esempio, la bocciatura del primo progetto di riforma, con i licei quadriennali, e le forti richieste di inserire gli istituti tecnici nell'area liceale, in forma di licei "vocazionali". Ancor più a livello sindacale la Moratti si è mostrata selettiva e riservata, per nulla disponibile agli interminabili "confronti" di altri tempi e ministri. Alla fine le sue mediazioni e concessioni ha finito per farle. Però facendole un pò calare dall'alto, o con brusche accelerazioni e conclusioni improvvise, che ne hanno accentuato il "look" decisionista e giustificato, almeno dal punto di vista comportamentale, l'accostamento alla figura di Margaret Thatcher. |