Soluzioni all'italiana.
di Grazia Perrone, da
Fuoriregistro del
2/4/2005
La “leggenda
metropolitana” che attribuisce alla
Moratti il (de)merito di aver “privatizzato” la scuola statale è dura
a morire. Alla Moratti, al contrario, va riconosciuto il merito di
aver evidenziato – coniugandole in “chiave” liberista – le
contraddizioni delle norme (recepite anche nei CCNL) “partorite” in
regime di concertazione e “perfezionate” dai governi di
centrosinistra.
E’ una genesi che parte da lontano e, più precisamente, dalla
privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego introdotta
dall'articolo 2 della legge n. 421 del 23 ottobre 1992 con il
conferimento della delega al Governo per organizzare e regolare i
rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni secondo la
disciplina del diritto civile.
All'epoca, nei confronti della riforma che nessuno si è mai sognato di
chiamare controriforma,
non erano mancati autorevoli dissensi, tra cui una pronuncia
sfavorevole del Consiglio di Stato.
Nell'imminenza dell'approvazione della legge il Consiglio di Stato
aveva precisato che l'attività di gestione dei rapporti di pubblico
impiego, funzionale al principio del buon andamento della pubblica
amministrazione, non poteva essere considerata paritaria con quella
dei privati e quindi doveva essere retta da norme di diritto pubblico
(adunanza plenaria del 31 agosto 1992).
Si è, quindi, scelto una "soluzione
all'italiana"
Con la legge 421 venne introdotta, secondo una tesi largamente
condivisa in dottrina, la distinzione tra rapporto organico e rapporto
di servizio: il primo consistente nella preposizione a un pubblico
ufficio regolato da norme pubblicistiche a tutela dell'interesse
pubblico e il secondo organizzato con regole di diritto privato.
Così l'articolo 2 comma 2 del decreto legislativo 29/93, in attuazione
della delega, ha stabilito che i rapporti di lavoro dei dipendenti
delle amministrazioni pubbliche "sono
disciplinati dalle disposizioni delle Sezioni II e III, Capo I, Titolo
II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti
subordinati nell'impresa, in quanto compatibili con la specialità del
rapporto e con il perseguimento degli interessi generali nei termini
definiti nel presente decreto".
La riforma ha introdotto anche la distinzione tra attività
di direzione politica e quella di direzione amministrativa, con
l'attribuzione ai dirigenti di autonomi poteri di gestione.
Sulla base di questo principio la legge-delega 421/92 ha stabilito che
l'attività negoziale delle pubbliche amministrazioni, in occasione
delle trattative riguardanti i contratti di lavoro, non fosse condotta
da responsabili politici di governo ma, per garantire la necessaria
competenza tecnica, fosse affidata ad apposito organismo dotato di
personalità giuridica denominato Aran - Agenzia per la rappresentanza
negoziale.
I negoziati con le rappresentanze sindacali condotti dall'Aran
producono effetti - aventi valore cogente erga omnes - anche nei
confronti delle pubbliche amministrazioni interessate che, al fine
dell'entrata in vigore degli accordi, non devono più emettere atti di
ricezione.
Dalla riforma sono state previste varie attività di controllo del
governo centrale per mantenere lo svolgimento della contrattazione
nell'ambito tecnico: controllo della spesa pubblica relativa al
personale, adozione del regolamento per l'organizzazione e
funzionamento dell'agenzia, emanazione di direttive per l'azione
contrattuale e autorizzazione alla sottoscrizione dei contratti
collettivi.
Il primo contratto collettivo del comparto scuola è stato sottoscritto
dai sindacati scuola con l'Aran il 4 agosto 1995 e contiene delle
“perle” difficilmente replicabili quali la
fine degli scatti economici biennali
(sostituiti dai cd. “gradoni” settennali) e l’aggiornamento coatto
per poter maturare, in anticipo, il diritto alla maggiorazione
stipendiale.
Alcune di queste “storture”,
puntualmente denunciate dal sindacalismo di base – escluso, però, da
tutti i gradi di contrattazione in virtù della legge 29/93 – saranno,
poi, sanate dal contratto del ’99 che porta “in
dote" il cd. concorsaccio ed una “nuova”
figura professionale.
Il dirigente scolastico,
al quale, in coerenza con la legge 59/97, articolo 21, il decreto
legislativo 29/93, articolo 25-bis, comma 5, conferisce la facoltà di
"avvalersi di docenti da lui
individuati" e non più dal collegio
dei docenti come stabilito dai decreti delegati del '74. A chiarirlo,
in modo formale ed inequivocabile, è la circolare n. 295 del 30 agosto
2000, che il ministro della Pubblica istruzione Tullio De Mauro ha
voluto firmare di persona, data la delicatezza delle questioni in essa
contenute e suscitando un’accesa polemica sul "modo" con il quale il
dirigente scolastico (che, nel frattempo, è diventato “datore di
lavoro”) dovrebbe scegliersi i propri collaboratori, collaborazione
che, in sé, nessuno gli contesta. In altre parole: può farlo legibus
solutus o rispettando qualche parametro e/o consultando qualche altro
organo democratico?
Alla fine ha prevalso una soluzione all'italiana avallata dal ministro
che potrei sintetizzare così: il dirigente scolastico non deve
rinunciare alle proprie prerogative né congelarle.
Ma imporle.
Per ora - nella disamina della scuola che si fa azienda con
responsabilità bipartisan - mi fermo qui.