I maestri: serve comunque. Il ministero: non ha senso.

Elementari, rivolta per l’esame.

di Gabriela Jacomella, da Il Corriere della Sera del 22/4/2005

 

Le date, per i piccoli alunni della romana «Pietro Maffi», sono già decise: 15 e 16 giugno. Un tema e un problema di matematica, e poi un’ultima interrogazione con i maestri, prima di prendere il volo verso l’avventura delle medie. Esame di quinta elementare (oggi primaria). Peccato che, quell’esame, per la legge non esista più. Abrogato, a partire da quest’anno. E allora, che succede? Succede che in alcuni istituti della Capitale, ma anche in alcune scuole milanesi, si stanno preparando delle prove «sostitutive», anche se prive di valore legale. A chi chiede il perché di tanta fatica, per giunta in chiusura di un anno che, con la riforma ormai a regime, non dev’essere stato dei più riposanti, docenti e dirigenti danno una risposta unanime: «Vogliamo sancire un momento di passaggio, che per i bimbi rimane speciale». Un’iniziativa che, nei fatti, resta nell’ambito della legittimità, ma che al Miur non piace granché, «non è giustificabile, anche dal punto di vista didattico-pedagogico», sbotta Silvio Criscuoli, direttore generale per gli ordinamenti scolastici al ministero di Viale Trastevere. L’idea di mantenere vivo un «rito di passaggio» cozza contro una riforma «che ha costruito l’unitarietà di un ciclo, sia pure tenendo distinti i due segmenti di primaria e secondaria di primo grado, proprio per rispettare i ritmi di crescita dei ragazzi». E che sbagli chi continua a considerare la quinta (ex) elementare come uno snodo cruciale, lo sostiene anche Alessandra Cenerini, presidente dell’Adi (l’Associazione docenti italiani, da anni in prima fila nella ricerca sul sistema educativo): «Il vero passaggio è tra prima e seconda media, non a caso in Spagna la primaria dura sei anni. Il problema semmai è la continuità tra le due scuole. Ci vuole un rito di continuità per gli insegnanti, non di discontinuità per gli studenti». «Che poi, l’esame era già morto da tempo», Sergio Govi, tra le firme di Tuttoscuola , storica rivista specializzata del settore, ricorda che «già Berlinguer aveva previsto l’abrogazione dell’esame, e nessuno ha pianto quando è avvenuto davvero; posso capire la nostalgia, ma di formativo in questa esperienza anomala non vedo davvero nulla».

«A meno che - è Criscuoli, ora, a riaprire il dibattito - non si tratti di prove di valutazione complessiva della resa del servizio scolastico, da usare, sia chiaro, solo all’interno della scuola». Come all’istituto Cavalieri di Milano, dove è allo studio «una prova anonima sulle competenze generali dei bambini, per avere un dato storico, senza che compaia sulla certificazione personale», come spiega il vicepreside Domenico Franzetti. «Ma è importante che le prove siano nazionali, con una comparazione rigorosa dei risultati - ribatte la Cenerini -. Molti istituti boicottano le prove dell’Invalsi (l’Istituto per la valutazione del sistema scolastico), ma la scuola italiana ha bisogno di essere valutata in maniera obiettiva. Non certo del vecchio esame di quinta, dove tutto veniva fatto "in famiglia"».