Scuola, la riforma che non c’è.

Marina Boscaino, da l'Unità del 25 aprile 2005

 

Leggo e sento che molte scuole elementari si stanno opponendo al progetto di abrogazione dell'esame di V elementare, decidendo attraverso i propri organi collegiali (che hanno competenza su organizzazione e didattica) di non cambiare orientamento; iniziative che poco piacciono al Ministero. Leggo anche che gli esperti del settore si sono pronunciati in maniera del tutto differente, sostenendo o criticando l'opportunità del provvedimento.

Bisognerebbe essere studiosi di pedagogia, di scienza dell'educazione o conoscitori della psicologia dell'età evolutiva per prendere una posizione piuttosto che un'altra. E io non lo sono. Ma non lo sono - certamente - nemmeno la gran parte di coloro che hanno pensato la riforma Moratti (in particolare i contenuti del decreto attuativo 59/04, quello dedicato alla scuola primaria). Perché - si sia o meno d'accordo con i contenuti, e io non lo sono - questi signori non si sono preoccupati e continuano a non farlo del modo in cui quei contenuti vengono inseriti nella scuola italiana.

Sprovveduti e distratti? Forse. Ma soprattutto miopi amministratori delle finanze dello Stato: ignorano il basilare principio che una legge priva di copertura economica (oltre che viziata di per sé) non ha speranze di essere applicata in modo soddisfacente. Dove finisca l'ottimismo a tutti i costi e dove inizi la mala fede poco importa. Quel che conta è che, incuranti di questo non irrilevante presupposto, hanno licenziato da più di un anno un testo che ha rivoluzionato sulla carta la scuola primaria (e l'abolizione dell'esame di V ne costituisce un fatto quasi secondario) ma che in realtà ha solo creato un caos immenso nella scuola dei più piccoli. Perché l'ambiguità, le imprecisioni e certe omissioni ad arte su cui quel testo si basa hanno consentito da una parte ai collegi "dissenzienti" di evitarne parzialmente o del tutto l'applicazione; e hanno permesso al Ministero, d'altro canto, di evitare l'impatto violento che un' adesione completa avrebbe provocato dal punto di vista economico; dato che i soldi, come si diceva, non ci sono. Non ci sono per la formazione degli insegnanti.

L'invenzione del tutor, pur dettata da logiche di risparmio sul personale, avrebbe dovuto comportare un'adeguata formazione per coloro che, volendo assumere mansioni comunque non previste dal nostro contratto e violando il sistema di collegialità e di pari dignità della funzione docente, avessero deciso di accettare quel ruolo.

La libera scelta delle famiglie di servirsi di tutte le mirabili opportunità di orari alternativi previsti dalla riforma (una flessibilizzazione dell'orario che in realtà costituisce l'anticamera dello smantellamento del tempo pieno) si scontra il più delle volte con l'impossibilità per le scuole di mantenere le promesse fatte in sede programmatica: i laboratori non ci sono, non esistono; non ci sono gli insegnanti che se ne occupano; non ci sono le strutture necessarie.

Per inglese e informatica, due delle tre proverbiali i del Berlusconi-pensiero, sbandierate come prodigiose innovazioni (anche se in realtà venivano già insegnate in molte scuole elementari), non è stata stanziata una lira. Quello che non capiscono, i signori che hanno gettato la scuola italiana in questa situazione, è che dire non significa fare.

Allegare al decreto citato le Indicazioni nazionali sui contenuti delle discipline, compilate da una commissione anonima, non dovrebbe significare riformare i programmi. Loro le hanno buttate lì - "sono indicazioni… non sono programmi"…, quel dico e non dico, quel ci provo ma non so se ci riesco -, allegate appunto, quasi casualmente, quasi fossero garbati suggerimenti. Complice lo zelo servile di molte case editrici si sono trasformate nel disastro che tutti abbiamo oggi sotto gli occhi: libri di testo di terza elementare "riformati" che trattano fino alla preistoria; altri, tradizionali, che trattano la storia fino al Medioevo escluso. E così per le classi seguenti. E così per la geografia. Soprassedendo su tutti i rigurgiti di "antropologia cristiana" ai quali tutte le discipline dovrebbero tendere.

Cosa troveranno le insegnanti della prima media quando arriveranno da loro i primi "figli" della riforma Moratti, ammesso che il centro-sinistra non vinca e non spazzi via quest'incubo in un colpo solo? Bambini con conoscenze e competenze completamente diverse. Questa è la scuola delle differenze; delle differenze sociali e religiose; delle differenze legate a quanto più i genitori potranno pagare fuori da una scuola che offre sempre meno; e a quanto più potranno dire per infiorare il portfolio (sic!) del proprio figlio.

Ancor più triste è che i bambini saranno le prime vittime di queste differenze: chi avrà potuto frequentare la materna e chi invece sarà stato sconfitto da liste d'attesa interminabili; chi si sarà potuto iscrivere alla prima in anticipo, chi no; chi avrà avuto il tutor, chi invece si sarà salvato e avrà avuto maestre con specifiche competenze in specifiche discipline; chi avrà frequentato una scuola in cui le ore opzionali sono state impiegate positivamente e chi, costantemente, sarà stato infilato in una classe qualunque, perché i laboratori non hanno funzionato; chi avrà avuto 40 ore, chi 31, chi 27, chi, addirittura, il "tempo pieno modulare": spericolata alchimia di orari che prevede una stessa classe con bambini che fanno 40, 31 e 27 ore. E pazienza se l'attività didattica può svolgersi solo nelle 27 ore, l'orario comune; e che le restanti ore vengano trascorse in un onorevole dopo-scuola.

Cosa c'è di strano, quindi, se alcuni bambini faranno l'esame di V elementare ed altri no? Il decreto 59/04 non specifica che l'abrogazione dell'esame avrebbe avuto attuazione immediata. E le scuole in protesta contro le direzioni regionali e che si sono appellate ai Tar sostengono che l'abrogazione dell'esame di V interverrebbe a decorrere dall'anno successivo al completo esaurimento delle sezioni e delle classi; il che significherebbe che i bimbi che hanno fatto la V nel 2003/4, anno di emanazione del decreto, dovrebbero ancora sostenere l'esame. Una circolare ministeriale del dicembre 2004 prevede invece l'abolizione dell'esame dal corrente anno scolastico. Si tratta certamente di una prova che ha una profonda valenza rituale che chiude un ciclo. E' il segno di una conclusione e di un inizio, di un cambiamento di scuola, insegnanti, riferimenti, compagni, modi di rapportarsi, approccio con le materie.

Molti si sono appellati al fatto che la riforma Moratti, basandosi sull'unitarietà del ciclo primario (ex elementari e medie) non prevede più uno snodo cruciale tra V elementare e I media. Questo forse, quando, chissà. Speriamo mai.

Per il momento la situazione è quella cui ho accennato: una non riforma; un caos assoluto. Una frettolosa violenza alla scuola elementare più formale che sostanziale, ma per questo insidiosa.

Che con il "rispetto dei ritmi di crescita dei ragazzi" non ha veramente nulla a che fare.