Iscrizioni e nuovi indirizzi.

Le incognite della scuola.

di Ermanno Paccagnini, da Il Corriere della Sera del 2/4/2005

 

Coi definitivi dati d'iscrizione alle superiori cresce il coro allarmistico per il fortissimo calo registrato dagli istituti tecnici milanesi di vario indirizzo (25% gli Itis rispetto al 2004-05; meno 8,3% e 12,5% per Itcg e Professionali nel triennio passato): tanto più a fronte d'un generale incremento di iscrizioni. Ma se è giusto concordare coi timori per il venir meno di competenze tecniche, c'è però un aspetto in questo mutamento di scelte che mi pare non sufficientemente sottolineato. Ossia: cosa può significare non tanto la diminuzione di iscrizioni ai tecnici (e neppure l'ormai consolidata corsa ai classici), quanto le forti percentuali d'aumento di iscrizioni ai licei scientifici. Son poi così lontano dal vero, se le ritengo un preciso e deciso segnale d'incertezza e insicurezza, se non addirittura un'incapacità o non-volontà di scegliere subito? Perché se è pur vero che il Regio Decreto del 6 maggio 1923 che li istituiva, lo faceva al «fine di sviluppare ed approfondire l'istruzione dei giovani che aspirino agli studi universitari nelle facoltà di scienze e di medicina e chirurgia, con particolare riguardo alla cultura scientifica», è altrettanto vero che negli ultimi decenni il liceo scientifico ha rappresentato una forma mediana di studi, frutto di compromesso. E non intendo con questo considerarlo un corso di serie B: tanto più che la recente inchiesta di Giancarlo Gasperoni (Diplomati e istruiti, Il Mulino 1996) definisce il nostro liceo scientifico «scuola di alta qualità».

Ma è un fatto che, dal punto di vista di chi vi si iscrive, si tratta ormai d'una scuola di compromesso, in cui si fa quel po' di tutto che consente poi di muoversi in questa o quella direzione senza eccessivo spaesamento. Né mi meraviglia che questo accada oggi, in un momento in cui a mancare di chiarezza è la stessa università, con le sue paraprogettualità inventate anno per anno, dai corsi di laurea triennali con titoli da teatro di varietà, molti dei quali senza iscritti (ben 107) o con iscrizioni minime (158 quelli con meno di 10 studenti), alle lauree specialistiche che spesso mettono in crisi i laureati tra non consequenzialità di studi e mancati riconoscimenti di crediti ove si cerchi tale più idonea continuità in altri atenei.

Una situazione d'incertezza peraltro in crescita, se penso a quanto sta per accadere alle ultime lauree quadriennali dalle prospettive certe: ad esempio, Scienze della formazione primaria, con le sue abilitazioni all'insegnamento in materne ed elementari grazie a un ben dosato mixer di cultura di base, discipline specifiche, laboratori e tirocini. Una certezza che ha fatto crescere ogni anno in misura esponenziale i propri iscritti. E poiché funziona, eccola destinata al sacrificio: a quel 3?2 carico, per gli studenti, di così tante incertezze.