Per i prof crisi d’autorità anche in Italia».

Il leader dei presidi: i genitori contribuiscono a delegittimarli.

di Raffaello Masci da La Stampa  del 25/4/2005

 

ROMA - La storia della bambina irrequieta ammanettata dai poliziotti, in America, è da brivido: si capisce. Ma anche quella dell’insegnante inglese, sbeffeggiata dai ragazzini, non scherza. E in mezzo, a voler scorrere la cronaca di questi ultimi anni, c’è la polemica sugli psicofarmaci ai bambini irrequieti, e quell’altra sugli insegnanti troppo vecchi (età media 50 anni), innescata da un’indagine della Uil sull’età pensionabile, ma che ha evidenziato anche il problema dei crescenti attriti generazionali tra i banchi di scuola.
Ne parliamo con Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale presidi nonché della Cida (la confederazione dei dirigenti d’azienda): un’esperienza quasi quarantennale nella scuola e una visione approfondita di tutta la realtà nazionale.

Intanto, professore, in Italia c’è un problema di conflitto latente tra insegnanti e alunni, foriero di esiti tipo quello accaduto in Inghilterra?

«A memoria non mi ricordo di nulla di simile, ma questo non significa che episodi del genere non possano accadere. La questione, insomma, esiste. La scuola di massa è stata una grande conquista, ma alcuni “effetti collaterali” se li è portati dietro. Sui banchi sono finiti ragazzi che non avevano “vocazione” per lo studio. Il numero degli insegnanti è cresciuto rapidamente a scapito della selezione attitudinale. Il risultato è che nella scuola qualcuno non ci voleva stare e qualche altro non era adatto a lavorarci. L’attrito può sorgere».

Non sarà anche che il termine «disciplina» suona ormai come una parolaccia?

«Ah, non c’è dubbio. Disciplina e repressione sono state usate come sinonimi, nella scuola, per molto tempo, e, dato che nessun educatore che si rispetti vuole fare il repressore, molti miei colleghi hanno anche abdicato al loro ruolo di costodi della disciplina, intesa come ordine intrinseco della scuola».

Una ricerca della Uil-scuola segnalava il problema dell’invecchiamento della classe docente: più della metà ha superato i 50 anni. Non ci sarà anche una questione di incomunicabilità alunni-docenti acuita dall’allargamento della differenza di età?

«E’ possibile che rispetto alla scuola di 30 anni fa il gap generazionale sia aumentato, ma non credo che il problema sia questo. E’ semmai entrata in crisi l’autorevolezza dei docenti: agli studenti della mia generazione mai sarebbe saltato in mente di mancare di riguardo a un insegnante, e chi lo faceva era consapevole di violare una regola fortemente condivisa».

Dopo «disciplina», un’altra parolaccia: «autorità».

«Fare un discorso su autorità e autorevolezza ci porterebbe, temo, lontano. Le dico però una cosa, semplice e comprensibile: già sarebbe molto se il ruolo e l’autorità dell’insegnante non venissero delegittimati dai comportamenti di alcuni genitori. Se un docente richiama, anche blandamente un allievo, scatta immediatamente la protesta dei genitori. Frasi come “non stare a sentire quella cretina della tua maestra” sono mortali per il prestigio della scuola. Vogliamo poi parlare delle bocciature? Se uno si azzarda a bocciare qualcuno (bisognerà pur farlo, qualche volta), scattano ricorsi che ti inchiodano per mesi in tribunale. E così, tra il genitore e il docente, il ragazzo fa una furbissima gimkana che lo sottrae sistematicamente alle sue responsabilità».

C’è una scuola di pensiero che classifica l’irrequietezza come malattia, da affrontare quindi con psicofarmaci. Non potrebbe essere, non dico una prassi, ma una delle possibilità da tenere in considerazione?

«Guardi, è meglio che né io né lei ci prendiamo querele per aver parlato male di qualche farmaco. Sono un insegnante e le dico che spesso i ragazzi che appaiono irrequieti sono semplicemente annoiati: non trovano interesse né motivazione nella scuola. Forse l’indirizzo di studi che hanno intrapreso non risponde alle loro attese. Per questo è importante un serio lavoro di orientamento scolastico e una flessibilità nei percorsi formativi, affinché nessuno si trovi a disagio nella scuola che frequenta».
Ma non ci vorranno anche insegnanti più preparati a gestire gli adolescenti?

«Sì, ci vogliono, tant’è che il sistema scolastico sta provvedendo attraverso le scuole di formazione per docenti, ma non facciamoci illusioni: episodi come quello inglese, forse, potrebbero darsi anche nella migliore delle scuole possibili. Stiamo pur sempre parlando, non di meccanica, ma di rapporti tra persone».