Il futuro della scuola dell’infanzia:

riaprire l’agenda (chiusa).

di Loretta Lega, da ScuolaOggi del 27/8/2005

 

Un pesante silenzio è sceso sulla scuola dell’infanzia italiana. Dopo gli squilli di tromba degli anni novanta (con l’impegno sui Nuovi Orientamenti, i progetti di sperimentazione Ascanio ed Alice, le promesse di un riconoscimento definitivo del carattere di “prima scuola”), la scuola dell’infanzia vive con disincanto la stagione della “riforma” avviata con la legge 53/2003. Oltre ad aver messo all’angolo Orientamenti, quelli del 1991, unanimemente apprezzati, l’unico elemento di novità si presenta come molto discutibile. Si tratta del doppio anticipo: quello dei bambini di 2 anni e 4 mesi alla “materna”; quello dei bambini di 5 anni e 4 mesi all’elementare. Esclusa dagli esperti e dai pedagogisti, la proposta è diventata troppo in fretta legge (tanto è vero che stenta ad essere applicata) e gli stessi genitori appaiono molto tiepidi nei confronti di tale possibilità. Comunque, si manifestano differenze fortissime nelle scelte delle famiglie, che sembrano dipendere più da fattori contingenti (l’esistenza o meno di asili nido, la presenza di una scuola materna qualificata, la comparazione dei costi, la vicinanza delle strutture), piuttosto che convinzioni ben maturate a favore dei bisogni “personalizzati” dei propri figli.

Il rischio è che l’anticipo tenti di rispondere a domande sociali reali (come è la richiesta di servizi educativi per i bambini al di sotto dei tre anni), senza effettive garanzie di qualità della risposta che si offre. Pensiamo ad esempio agli “anticipi” nella materna. Tutto sembra essere lasciato al caso (ci sono posti liberi? Il Comune è d’accordo?) senza un serio ripensamento delle condizioni di accoglienza per bambini di età così delicata. Ad esempio, in fatto di spazi (esistono gli “angoli morbidi?), di tempi di cura per l’autonomia (dall’uso dei bagni ai pasti), di personale adeguato (nei rapporti numerici e nelle competenze). Sarebbe stato necessario sperimentare seriamente tutto ciò, mentre allo scadere dei tre anni “sperimentali” (2005-06) nulla sta avvenendo, anzi non c’è nemmeno certezza di quanti bambini al di sotto dei tre anni frequentino oggi le scuole dell’infanzia (statali, comunali, paritarie e private). E nessun serio confronto è stato promosso sui modelli organizzativi che consentirebbero di rispondere alla domanda delle famiglie (dai nidi alle sezioni “ponte”-primavera, ai servizi educativi alternativi). La stesso ANCI (l’associazione dei Comuni italiani) chiede una seria verifica prima di dare il via libera definitivo all’anticipo.

Anche la “fuga” dei 5enni verso la scuola primaria (ma il fenomeno riguarda solo alcune regioni del Sud) sembra mettere in crisi l’identità pedagogica e la credibilità della scuola per i bambini dai 3 ai 5 anni. Quasi a rimarcare il suo essere “servizio residuale” rispetto al ventaglio di scelte private delle famiglie. Con il paradosso che nelle città del Nord (con tassi di natalità in incremento e immigrazione in espansione) spesso non si è in grado di accogliere le richieste di frequenza, mettendo a rischio un principio che sembrava ormai una conquista irreversibile. Ma si sa, come scrive candidamente il Ministero nella circolare annuale sugli organici, la scuola dell’infanzia non è obbligatoria, quindi… si tenga le liste d’attesa.

Questa fotografia della “scuola reale” ci dice quali siano le esigenze per la “generalizzazione” e la “qualificazione” della scuola dell’infanzia (belle parole al vento che si trovano nelle leggi). Occorre riconoscere la frequenza alla scuola dell’infanzia come “diritto all’educazione” (andrà scritto a caratteri cubitali in una nuova legge), con le necessarie coperture finanziarie, con un dignitoso e condiviso progetto culturale che ne metta al sicuro il suo carattere pienamente educativo.

Un utile punto di partenza e di discussione può essere rappresentato dalla proposta di legge di iniziativa popolare sui servizi educativi 0-6 anni, ora approdata in Parlamento a cura della Consulta infanzia DS – G.Rodari.
Nel frattempo, però, la scuola “militante” non può attendere con le mani in mano il suo futuro “riscatto”. Anche perché una “buona” scuola dell’infanzia già esiste in molte realtà e va “scoperta”, valorizzata, aiutata. Lo Stato, le Regioni (che ora hanno iniziativa legislativa), i Comuni, le Università, le associazioni, devono fare la loro parte.

Tre ci sembrano gli spazi di lavoro praticabili dalle scuole e dagli insegnanti:
- consolidare il curricolo nei diversi ambiti disciplinari (dai saperi ai campi di esperienza), nella prospettiva del raccordo in continuità con la scuola che viene dopo (gli istituti comprensivi sono un “potenziale” ancora tutto da scoprire per costruire insieme il curricolo verticale);
- sviluppare una autonoma capacità di organizzare il contesto educativo (con un buon uso dei tempi, della flessibilità, delle compresenze, delle relazioni);
- curare la professionalità docente, attraverso la formazione in servizio, il coordinamento pedagogico, una didattica orientata all’innovazione e alla sperimentazione.

Questi aspetti richiedono però che siano garantite, a livello normativo, alcune condizioni per il miglioramento del servizio. Occorre, in altre parole, che siano finalmente definiti gli indicatori di qualità che devono essere assicurati da tutte le scuole del sistema integrato (quello avviato con la legge 62/2000 sulla parità), in fatto di:
- standard orari ottimali (es. una fascia di 35-40 ore settimanali);
- rapporti numerici compatibili con la qualità di buone relazioni educative;
- garanzia di fasce pregiate di “compresenza” tra i docenti;
- qualità dell’edilizia, degli ambienti e delle attrezzature;
- profili professionali del personale educativo e di assistenza.

Siamo convinti che il mancato successo formativo, che tanto ci preoccupa quando “esplode” a 14-15 anni (con disagio, dispersione, scarsa motivazione e cattivi risultati dei nostri adolescenti), si contrasta solo con una scuola di qualità per tutti i bambini, a partire dai 3 anni. Allora, è tanto più necessario che si torni a parlare (nei documenti, nelle proposte, nelle leggi finanziarie) della nostra scuola dell’infanzia.
Insomma, è l’ora di riaprire l’agenda degli impegni concreti, troppo incautamente chiusa dagli attuali governanti.

 

Loretta Lega (Assessore alle Politiche educative del Comune di Forlì)