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Se la ricchezza coincide con l'istruzione . . .

editoriale di Rosario Pesce da Territorio Scuola dell'11/8/2005

 

Da una recente indagine Istat si ricava che le famiglie meridionali, nel corso dell'ultimo anno scolastico, abbiano speso in termini percentuali, ovvero in rapporto al proprio esiguo budget mensile, molto più di quanto non abbiano fatto i più ricchi nuclei familiari settentrionali, con un incremento valutabile intorno al 3% rispetto al dato del precedente anno 2003-2004.

Questo elemento statistico, se da un lato è estremamente confortante, in quanto rassicura noi tutti circa il futuro dell'istituzione scolastica, soprattutto pubblica, nelle aree meridionali, per altro verso è l'indicatore della povertà di quel nostro Mezzogiorno, dove l'istruzione e' vista talora come un utile investimento, in assenza tanto più di altre risorse ed opportunità economiche, e talaltra è individuata come mera – e pressoché unica – alternativa alla disoccupazione tout court.

Quanti istituti di istruzione secondaria superiore e quante università del nostro Sud si affollano di studenti disinteressati, che individuano in quelle sedi una comoda e relativamente poco costosa area di parcheggio, tanto più utile in regioni dove ne' lo Stato ne' l'iniziativa privata sono in grado di assicurare posti di lavoro in numero almeno sufficiente?

La scuola è sempre stata, sin dai primi decenni successivi all'Unità nazionale, la risorsa primaria del Sud: quante intelligenze, formatesi nell'area dell'antica Magna Grecia, sono state poi costrette ad emigrare al Nord o in altri Stati europei, allo scopo di trovare un lavoro che risultasse premiante dei cospicui sforzi intellettuali propri e di quelli altrettanto ingenti, di natura per lo più finanziaria, delle proprie famiglie?

Alla luce di questi dati, a distanza di circa due secoli, la condizione del Sud non è purtroppo mutata: in quell'area ristagna ancora tantissima disoccupazione, che e' soprattutto – come oggi viene definita – di tipo "intellettuale".

Negli anni Sessanta e Settanta dello scorso secolo, il contingente di docenti, pronto ad assumere servizio nella scuola pubblica delle regioni settentrionali, era composto in gran parte da giovani intellettuali meridionali, destinati ad essere ingiustamente denigrati da una società – quella nella quale andavano a vivere e a lavorare – che era animata nei loro confronti da risentimenti ancestrali, dai quali scaturivano i peggiori pregiudizi di tipo razziale.

La scuola, quindi, può essere oggi ancora la principale risorsa del Mezzogiorno? Quale futuro, in termini sia economici che soprattutto di mobilità sociale, può assicurare a chi decide di seguire il lungo e faticoso percorso, che porta al conseguimento di un titolo di studio di istruzione superiore?

Quanto conviene ad un adolescente intraprendere un iter così accidentato? Quando la classe dirigente italiana (politici, accademici ed imprenditori) avvierà una seria ed approfondita riflessione in merito, premiando gli sforzi di chi ha sinceramente creduto nella cultura come primario, se non esclusivo, fattore di emancipazione, e di chi, in particolare in qualità di docente o comunque di operatore scolastico, svolge una funzione delicatissima ai fini del miglioramento giornaliero del vivere sociale?