Oggi sit-in di protesta a Cagliari

 

 di Giancarlo Ghirra da L'unione Sarda del 20/9/2004

 

Tutti a scuola, 230mila studenti dai due anni e mezzo in su, e ben 35 mila fra docenti (25 mila), e dipendenti della pubblica istruzione tornano stamane sui banchi, ma raramente si è vissuto in Sardegna uno stato di tensione come quello attuale. Non bastassero i prezzi assurdi di libri e strumenti di studio( «l’aumento medio è a Cagliari del 12 per cento», denuncia Peppino Loddo, dirigente Cgil), si parte con una sorta di contestazione a tutto campo del ministro Moratti e dei suoi rappresentanti in terra sarda, su tutti il dirigente regionale Armando Pietrella. E per la prima volta da qualche decennio in qua si ritroveranno uniti a gridare i loro numerosi no sindacati di tutte le sigle: Cgil, Cisl, Uil, Snals, Cobas, Gilda, Css. Alle 10,30 i docenti della provincia di Cagliari si ritroveranno per un sit-in in viale Regina Margherita, di fronte alla direzione scolastica regionale, con bis pomeridiano per chi la mattina abbia fatto lezione.

Numeroso l’elenco delle doglianze dei maestri e professori, respinte (quasi) tutte con sdegno dal dirigente regionale Armando Pietrella.

Prima di tutto c’è la denuncia dei lavori in corso in ben 1650 edifici, che renderà problematico l’avvio delle lezioni. Ma è la riforma Moratti a non piacere. «Da un anno e mezzo in qua - spiega Enrico Frau, segretario provinciale Cisl - denunciamo la scelta di smantellare la collegialità dell’insegnamento, evidente nella figura del tutor. Si prevede infatti che uno degli insegnanti venga scelto dal collegio dei docenti , che gli consegnerebbero un orario più lungo rispetto agli altri, un ruolo giuridicamente ( e in prospettiva economicamente) superiore rispetto ai colleghi. Nascerebbe una figura fuori dal contratto e gerarchicamente al di sopra dei colleghi, alla quale sarebbero riservati anche i rapporti con le famiglie».

Ecco perché le scuole, almeno a leggere un documento unitario dei sindacati «sono attraversate da tensioni e situazioni conflittuali causate da intimidazioni da parte dell’amministrazione scolastica, che minaccia di procedere disciplinarmente nei confronti degli insegnanti che si rifiutino di attuare la riforma».

Spiega meglio Giancarlo Della Corte, dirigente dei Cobas ma anche dirigente scolastico della scuola Alagon: «C’è un’agitazione diffusa, un dissenso corale verso le scelte governative, soprattutto ma non soltanto nelle scuole elementari, dove attraverso il tutor si tenta di tornare al maestro unico. Come forma di reazione, i collegi dei docenti si stanno rifiutando di indicare un tutor, un insegnante prevalente con orario di 18 ore i e un ruolo superiore ai colleghi, con buona pace della collegialità. Si tratta di una figura inesistente nei contratti, alla quale verrebbero affidati anche i rapporti con le famiglie e la valutazione degli allievi attraverso la stesura del cosidetto portfolio, termine inglese per indicare competenze e obiettivi raggiunti dagli allievi. Davanti alla rivolta degli insegnanti, il dirigente regionale reagisce minacciando provvedimenti disciplinari. Ma che senso ha una scuola dove chi insegna non è convinto di ciò che fa, non è consenziente?».

Bella domanda da rivolgere a Letizia Moratti e ai suoi tagli contro quali tuonano da tempo precari e non. «Attaccare la scuola significa minare il welfare, lo stato sociale - dice ancora Frau - negando ai più poveri ed emarginati il diritto a costruirsi un futuro attraverso lo studio».

Fra gli emarginati difesi dai sindacati al primo posto i precari, professori spesso in attesa di immissione in ruolo da dieci, dodici, sedici anni. «Stanno succedendo cose folli-attacca Peppino Loddo, segretario regionale Cgil - con l’apertura di un anno scolastico a forte rischio. Hanno immesso in ruolo appena 460 docenti, il 18 per cento del necessario. Sabato scorso, due giorni fa, stavano ancora convocando insegnanti ai quali attribuire nomine annuali, una procedura che si è sempre conclusa entro il 31 luglio. E c’è il rischio di una pioggia di ricorsi per quanto riguarda i 1.700 supplenti annuali. Insomma, le nomine non sono né sicure né stabili, molte classi partiranno senza i loro insegnanti, tante, troppe, li vedranno cambiare da qui al primo gennaio».

Si profila una situazione di grande precarietà. Parola terribile, insieme al termine tagli. «Sì, in Sardegna quest’anno sono stati tagliati cinquecento docenti, che si aggiungono ai cinquemila degli ultimi sei anni. Cala così - attacca Loddo - la qualità dell’insegnamento, si nega il tempo pieno, si negano docenti di sostegno ai portatori di bandicap».

Colpisce la totale mancanza di sintonia, la vera e propria incomunicabilità, fra sindacati e dirigente scolastico regionale, che contesta persino le cifre fornite dalle organizzazioni dei lavoratori. Ma i sindacalisti aggiungono altri elementi al quadro già disastroso, a partire da un incremento della dispersione scolastica, della quale, ancora una volta, viene indicata come responsabile Letizia Moratti. Rosamaria Maggio, presidente della sezione cagliaritana del Cidi (Centro di iniziativa democratica degli insegnanti) contesta l’abrogazione dell’obbligo scolastico che ha portato numerosi ragazzi ad abbandonare gli studi scolastici per orientarsi sulla formazione professionale in età precoce. «Il risultato è che quarantamila in Italia, e ben duemila ragazzi in Sardegna hanno abbandonato la scuola , scegliendo la formazione, secondo il doppio canale previsto dalla controriforma Moratti . Per contrastare questa deriva abbiamo chiesto alla Regione un decreto salvastudenti, indipensabile proprio come quello salvacoste. Non siamo disponibili a tacere mentre nelle noste città si leggono cartelli nei quali è scritto se la scuola ti fa male, puoi venire alla formazione professionale, , il tutto condito da un cerotto trasversale. La nostra Regione ha competenza esclusiva sulla formazione, ci deve aiutare a sconfiggere una deriva che ci riporta indietro di quarant’anni».

Se le contestazioni sono fondate, siamo quasi al disastro, con abbandoni e dispersione, pendolarismo, carenza di servizi e scuole fatiscenti che l’Unione europea ordina di chiudere se non saranno a norma entro fine anno. «Tutto ciò fa intravedere un attacco alla scuola pubblica - denunciano coralmente i sindacati - e la fine del diritto allo studio per i giovani economicamente e scoailmente svantaggiati, ai quali viene al massimo riservata la formazione professionale».

Armando Pietrella, rappresentante del governo, giura che non è così, che le critiche nascono soltanto da un concentrico attacco politico al ministro Moratti. I fatti diranno chi ha ragione. Di sicuro la riforma in corso (con scuola dell’infanzia, ex materna, anticipata a due anni e mezzo ed elementari a cinque e mezzo) ha fatto un piccolo miracolo: ha creato l’unità sindacale nella scuola, ameno a Cagliari provincia, facendo schierare sullo stesso fronte confederali e autonomi, Cobas e Gilda con Uil e Cisl, autonomi dello Snals con la Cgil. Non è un risultato di poco conto, è comunque una notizia.