Così è se vi pare

 di Vittorio Lodolo D`Oria da Proteo Fare Sapere del 19/9/2004

 

Tra i dipendenti pubblici, la categoria professionale più esposta a sviluppare patologie psichiatriche risulta essere quella degli insegnanti. A sostenerlo è uno studio pubblicato dall’autorevole rivista bimestrale La Medicina del Lavoro e ripreso oltralpe dalla redazione della testata Le Monde. Neanche a farlo apposta, la notizia giunge - al milione di docenti e agli otto milioni di studenti con relative famiglie - proprio alla ripresa del nuovo anno scolastico.

E’ la prima volta in assoluto che una rivista medico-scientifica prospetta un simile rischio professionale per la categoria che, secondo l’opinione corrente, è sempre stata ritenuta la più “riposata”. Stando a 3.447 accertamenti d’inabilità al lavoro per motivi di salute il disagio mentale colpisce i docenti con una frequenza pari a due volte quella degli impiegati, due volte e mezzo quella del personale sanitario e tre volte quella degli operai.

A differenza delle altre categorie – sostiene la ricerca che sarà reperibile per fine Settembre all’indirizzo www.fondazioneiard.org - la prevalenza di tali affezioni tra i docenti è altresì in costante aumento (dal 44.5% del triennio 92-94 al 56.9% del 2001-03) da quando furono abolite le baby-pensioni con la riforma Amato del 1992. La severità della prognosi ha indotto i Collegi medici a sancire l’inabilità all’insegnamento nel 90% dei casi (27% temporanea e 63% definitiva), a riprova della gravità delle condizioni psicofisiche dei docenti esaminati.

A differenza dei dati riferiti alla popolazione normale dove, secondo il recente studio dell’OMS, le donne fanno registrare un’incidenza doppia di patologie ansioso-depressive rispetto agli uomini, docenti maschi e femmine si ammalano nella stessa misura, a significare che la professione arriva addirittura ad annullare la cospicua differenza tra i sessi. Mentre non si evidenziano differenze significative di disagio mentale tra docenti di scuola materna, elementare, media e superiore, a discapito dei docenti c’è anche il rischio di sviluppare tumori, superiore di 1.5-2 volte rispetto ad operai e impiegati, e non è da escludere che ciò sia almeno in parte dovuto all’esaurimento psicofisico. Un quadro a tinte fosche imputabile, almeno in parte, all’inerzia che accompagnò i risultati della ricerca - per alcuni versi profetica - svolta nel lontano 1979 dalla CISL assieme all’Università di Pavia. Già allora emerse che il 30% di 2.000 insegnanti del milanese faceva ricorso agli psicofarmaci al fine di far fronte all’usura psicofisica della professione.

 

Ora che la Medicina del Lavoro ha scoperchiato il vaso di Pandora sulle reali condizioni di usura psicofisica degli insegnanti, oltre ad affrontare il disagio dei giovani, si deve pensare a quello dei docenti. A tuttoggi non esiste alcun tipo di supporto o assistenza psichiatrica (da intendersi come prevenzione, diagnosi, orientamento alla cura e reinserimento al lavoro) per i docenti vittima dell’usura mentale. I dirigenti scolastici non sanno a chi rivolgersi per gestire il fenomeno ed esercitano la loro creatività, improvvisandosi talvolta psichiatri e formulando azzardate ipotesi diagnostiche, oppure trasferendo il malcapitato per incompatibilità ambientale. Altri manager della scuola preferiscono confinarlo in una biblioteca, minacciandolo di sanzioni disciplinari se non chiede il trasferimento “spontaneamente”, oppure lo inviano a visita medico-collegiale alla ASL competente, sperando in un improbabile pre-pensionamento.

La patologia del soggetto, che non esce dal circuito scolastico anche per ignoranza dei medici sul mondo della scuola e relativo disagio professionale, vede aggravarsi la prognosi rendendo invivibile l’ambiente di lavoro con inevitabili conflitti, minacce e denunce nei confronti di colleghi, dirigente, studenti e genitori. Senza un supporto medico diviene inoltre impossibile “agganciare” i casi più delicati che, pur abbisognando di cure, si trincerano dietro un’ostinata negazione della patologia. Appare invero evidente che il fenomeno, in costante aumento dal ’92, è direttamente proporzionale all’anzianità di servizio. Non si capisce pertanto perché istituzioni e sindacato, seppure informate del problema, non inseriscano l’argomento all’O.d.G. delle riforme scolastica e previdenziale. Le parti sociali avrebbero inoltre l’obbligo statutario di approfondire il tema, appurando l’ipotesi della causa di servizio per alcune affezioni psichiatriche riportate dai loro iscritti.

 

Anche il settore medico-scientifico dovrebbe fare la sua parte indagando l’entità del fenomeno ed erudendo i medici del lavoro (medici competenti ai sensi della 626/96) in merito al rischio professionale dei docenti. Lo stesso dicasi per i medici di famiglia che, spesso, si limitano a terapie sintomatiche a base di antidepressivi. Non è certo un caso – piuttosto una pericolosa disattenzione collettiva - se abbiamo dovuto attendere il 2004 per vedere ipotizzata la correlazione tra disagio mentale e professione docente ma in fondo fu con un osservazione occasionale che la silicosi venne riconosciuta quale patologia professionale dei minatori.

 

A nulla poi servirebbe intervenire su chi soffre se non si pensasse anche di fare prevenzione su chi abbraccia la professione ex-novo e su coloro che sono in una fase di stress relativo noto ai più sotto il nome di burnout. Pertanto, in attesa che le istituzioni si attivino – solo Lombardia e Veneto al momento sembrano porre timidamente attenzione alla questione - la Fondazione IARD ha attivato appositamente l’Area Scuola e Sanità, che propone un azione su tre livelli – prevenzione, supporto e orientamento alla cura - proponendo servizi e attività per medici e insegnanti (servizi di prevenzione, counselling, formazione, orientamento alla cura) e per dirigenti scolastici (formazione, gestione medico-legale, reinserimento lavorativo).

 

Insomma, non resta che augurare davvero buon anno scolastico nuovo a tutti.

 

vittorio.lodolodoria@fastwebnet.it