IL FENOMENO.

GLI IMMIGRATI NELLE SCUOLE ITALIANE.

 

di Maria Grazia Mottola da Il Corriere della Sera del 10/9/2004

 

Nel 1993 gli studenti stranieri erano 30 mila, l’anno scorso 282.683. Dal 2002 al 2003 la crescita è stata di 50 mila ragazzi. La loro presenza non è omogenea: sono il 6,1% nel Nordest, il 5,7% nel Nord Ovest, il 4,8% al Centro, soltanto lo 0,9% al Sud.

Il numero degli studenti stranieri, dunque, è in costante aumento: sono il 3,5 per cento. Negli altri Paesi europei sono ancora di più: il 5% in Francia, il 10% in Germania, il 14% in Gran Bretagna, il 22% in Svizzera.

Il piccolo è fra gli studenti più giovani. La grande maggioranza degli studenti stranieri ha infatti meno di 11 anni: il 19% frequenta la scuola dell’infanzia, il 41% le elementari, il 24% le medie, il 16% le superiori.

Nelle scuole italiane sono presenti 191 delle 194 nazionalità esistenti al mondo. Il Paese più rappresentato è l’Albania (18% del totale degli studenti stranieri), seguito dal Marocco (15%), dalla Romania (10%) e dalla Cina (5%).

 

«Quote per gli extracomunitari nelle classi»

Brescia, il piano del dirigente scolastico:

«Record di alunni stranieri, le lezioni vengono rallentate»

 

DAL NOSTRO INVIATO
BRESCIA - Limitare la presenza degli studenti extracomunitari nelle singole classi bresciane. Accettarne in aula un certo numero, non oltre. E gli altri ragazzini distribuirli, in modo omogeneo, all’interno delle classi di tutti gli istituti, in modo che non si creino «concentrazioni» che possano mettere a rischio un buon livello di apprendimento per tutti, italiani e stranieri. Non è razzismo, spiegano, ma desiderio di far funzionare meglio la didattica. E’ l’obiettivo per le scuole dell’obbligo messo a punto dal dirigente scolastico provinciale Giuseppe Colosio, d’accordo con Prefettura e presidi. Il protocollo d’intesa dovrebbe essere perfezionato entro Natale, ma i tempi di realizzazione saranno graduali, dunque più lunghi. Un provvedimento preceduto da un’indagine statistica sull’immigrazione locale. Risultato? «Numeri impressionanti», secondo il dirigente Colosio. Che così spiega la necessità di introdurre «quote» per le iscrizioni extracomunitarie.

Nella città di Brescia la presenza di studenti stranieri supera il 10 per cento: 1.900 su circa 19 mila iscritti. A livello nazionale, invece, la provincia si colloca al quarto posto dopo Milano, Roma e Torino. Posizione destinata a scalare la classifica perché oggi un neonato bresciano su tre è figlio di immigrati. A far scattare l’emergenza iscrizioni, però, è il picco raggiunto nel Secondo Istituto Comprensivo, situato nel cuore del centro storico: settecento allievi, tra elementari e medie, il 48 per cento stranieri. Spaventati dalle cifre e, soprattutto, dalla possibilità di un rallentamento dell’andamento scolastico, alcuni genitori hanno addirittura ritirato i figli da scuola. E numerosi studenti italiani di quinta elementare, candidati a proseguire gli studi nelle medie dello stesso istituto, hanno preferito cambiare. Ad ammetterlo, amareggiata, è la direttrice Angelina Battagliola, in campo da 25 anni, già testimone negli anni Settanta dei problemi d’integrazione degli immigrati provenienti dal Sud Italia. «Ho vissuto problemi più gravi. Ma non ho mai assistito come oggi a un calo di iscritti bresciani - racconta -. Una questione di xenofobia? Non credo. Il fatto è che con l’introduzione del buono scuola in Lombardia molte famiglie si sono indirizzate alle private. E la regolarizzazione degli immigrati ha portato a molti ricongiungimenti dei figli. Insomma la città cambia, e le nostre aule si riempiono di stranieri».

Eppure, nonostante le ore di superlavoro e le risorse non sempre sufficienti, al Secondo Istituto Comprensivo le iscrizioni non si rifiutano. Ma a livello istituzionale la situazione di concentrazione di stranieri crea allarme. «I numeri sono eloquenti - sottolinea l’assessore comunale alla Pubblica istruzione Carla Bisleri, centrosinistra -. La distribuzione degli studenti extracomunitari nelle scuole passa dal 48%, nel caso più eclatante, al 5-6% di altri istituti. Negli ultimi 10 anni, da quando faccio l’amministratore, ho visto quadruplicare le percentuali a scapito solo di alcune zone. Il fenomeno di percentuali squilibrate, inoltre, si sta registrando anche nelle materne. Questo non va bene. Rischiamo un’integrazione al rovescio».

La soluzione è già pronta nel cassetto del dirigente scolastico Colosio. Condivisa anche dall’assessorato. Livelli prestabiliti di studenti stranieri nelle varie aree della provincia, con un occhio particolare laddove i residenti extracomunitari sono più numerosi. «E’ una scelta necessaria per non creare disagi ai cittadini - spiega Colosio -. Le segnalazioni dei genitori infatti riguardano preoccupazioni sulla qualità dell’insegnamento. E mi risulta che ci siamo classi che addirittura superano il 70 per cento, con 11 etnie diverse. Noi troveremo il modo che non accada più. L’idea? Faremo come per i disabili. Mica finiscono tutti nella stessa classe».

gmottola@corriere.it

 

 

LA MAESTRA

«Quaranta etnie, insegno matematica con le favole»

 

DAL NOSTRO INVIATO
BRESCIA - Insegna matematica raccontando le fiabe. Con segni, immagini, scenette teatrali. La sua preferita è Cappuccetto Rosso. Che si fa mangiare dal lupo senza dire una parola. Una storia senza voce, utile a parlare di numeri a bimbi pakistani, cinesi, colombiani, moldavi, che spesso non capiscono l’italiano. Una didattica sperimentale che per Silvia Tavazzani, 37 anni, maestra al Secondo Istituto Comprensivo di Brescia, è ordinaria amministrazione. Una scelta per necessità.

Settecento allievi, quaranta etnie. Come si fa a lavorare?

«Si ricorre a tecniche di insegnamento innovative. Ma non mi scoraggio: la nostra è una scuola di frontiera dove si si è sempre fatta sperimentazione per l’integrazione. Prima con i disabili. Oggi con gli immigrati».

Quali sono le difficoltà?

«Le diverse nazionalità impongono codici di comportamento per comunicare con tutti».

Un esempio?

«Per chiedere di prendere un quaderno, bisogna afferrarlo, poi mimando il gesto, parlare lentamente».

E poi?

«Studiamo programmi personalizzati per i bambini. Ogni settimana noi maestri ci ritroviamo per concordare gli obiettivi minimi per ognuno. Su questi basiamo il nostro giudizio finale».

Un programma per ogni bambino. Non c’è da perdere la testa?

«Si fa fatica. Ma quando c’è la passione, si trova la forza di andare avanti».

Altre differenze rispetto a una scuola tradizionale?

«La classe con i banchi fissi e ordinati non esiste da noi. L’aula viene cambiata secondo le esigenze della lezione».

Quanto tempo impiegano i bambini a imparare l’italiano?

«Quattro-cinque mesi. Molti, però, frequentano i gruppi di accoglienza per 5 settimane prima di essere inseriti nelle classi. Ognuno comincia nella sua lingua. Ricordo un bimbo pakistano e uno dello Sri Lanka che chiacchieravano per ore. Sicuramente non si capivano, ma ora sono grandi amici».

Classi così eterogenee non mettono a repentaglio la qualità dell’insegnamento?

«Non credo. Ci sono famiglie italiane che hanno mandato da noi più di un figlio. Molti nostri ex alunni, anche stranieri, ora frequentano il liceo. Il problema della concentrazione, però, esiste».

 

Gra. Mot.