P a v o n e R i s o r s e

 

TRA FANTASMI E INTEGRAZIONE LUNGA,

UN ALTRO ANNO SCOLASTICO INIZIA

 di Aluisi Tosolini da Pavone Risorse del 18/9/2004

 

Mai come in questi ultimi mesi, dalla fine dell’anno scolastico al suo nuovo inizio, si è dibattuto di questioni "interculturali". E mai come in questi mesi estivi si è sentita la necessità di una più precisa definizione di una chiara visione politica sul presente e sul futuro della società multiculturale che è l’Italia.

Il tutto all’interno di un contesto sempre più cupo, segnato come è dal terrorismo globale e dalla crescente paura nei confronti dell’altro, dello straniero, visto molto spesso come nemico.

Alcuni fatti

Proviamo a ripercorrere velocemente alcuni degli eventi che hanno caratterizzato il mondo scolastico in questi ultimi tre mesi.

Il liceo Agnesi di Milano

Si inizia a giugno con il liceo delle scienze sociali Agnesi di Milano. Ricorderete: i media danno notizia che presso l’istituto sta per essere creata una classe di soli ragazzi e ragazze islamici, provenienti dalla scuola islamica di via Quaranta. Ne viene fuori un putiferio. Tutti lì a scandalizzarsi senza neppure sapere di che cosa si trattasse. Il direttore dell’ufficio scolastico regionale si rimangia l’entusiasmo iniziale e blocca tutto. Non prima di aver sostenuto che forse si potrebbe parificare e riconoscere la scuola di via Quaranta. Nel frattempo nessuno ha cercato di capire, di indagare, di andare al di là delle prese di posizione di facciata. L’ha poi fatto la rivista del mondo non profit VITA pubblicando il 16 luglio 2004 una approfondita inchiesta da cui si desume che…..

…che l’esperimento è gia in funzione presso l’istituto Gadda, che molti di quelli che sono intervenuti sui media lo hanno fatto a vanvera, che il percorso elaborato dal preside e dai docenti dell’Istituto Agnesi era tutto fuor che un processo di ghettizzazione e che, al contrario, si trattava di portare ad emersione una realtà che iniziava un percorso di dialogo con la società italiana. Insomma, il classico polverone montato più o meno ad arte da incompetenti e media che a parole si fanno paladini del dialogo ma che nella pratica sembrano proprio sabotare ciò che sostengono essere il loro scopo.

Per una ricostruzione del caso si veda il dossier curato dal Movimento studenti di azione cattolica. In particolare segnalo la posizione di Umberto Eco che, contrapponendosi a Claudio Magris, sottolinea come molto spesso "il meglio è nemico del bene" ed indica nella negoziazione il solo metodo che può condurre alla costruzione di un nuovo contesto sociale e di una nuova cultura capace di superare gli steccati di identità che si pensano irriducibili, cristallizzati ed immodificabili. Il paradigma delle negoziazione come modalità inclusiva nel metodo democratico che assume il dibattito, l’argomentazione, il confronto come unico possibile.

Brescia: l’idea delle quote

L’estate si conclude con la proposta del dirigente del CSA di Brescia che, in accordo con amministrazioni locali (a scanso di equivoci si tratta spesso di amministrazioni di centro-sinistra), presidi e prefettura, ipotizza di fissare quote del 10% di alunni stranieri nelle classi. Una delle ragioni sarebbe quella di evitare concentrazioni di alunni stranieri in alcune scuole a scapito di altre. Una volta superata la quota gli alunni in eccedenza avrebbero dovuto essere distribuiti presso altre scuole limitrofe. Anche in questo caso non se ne è fatto nulla: il ministero ha detto NO. La legge non lo consente. Per fortuna. L’idea delle quote è infatti estremamente semplicistica. Non tiene infatti conto di alcuni fattori estremamente significativi:

  1. in alcune zone dell’Italia (e anche della provincia di Brescia) gli alunni stranieri superano di gran lunga il 10% e pensare di spostare altrove (ma dove?) quanti superano la quota potrebbe richiedere un significativo allontanamento dei bambini dal proprio contesto sociale;

  2. il progetto delle quote tende a nascondere il fatto che molte scuole rischiano di diventare ghetti perché molti genitori "italianissimi" tendono a cambiare scuola ai propri figli in presenza di alunni stranieri. Nulla di nuovo in tutto ciò: è un classico del processo di costruzione di ghetti, studiato da secoli. Ma il problema non si risolve distribuendo gli alunni in giro per la città, sradicandoli dai propri contesti sociali, quanto piuttosto intervenendo sui genitori, sulla società, sull’opinione pubblica ribadendo nei fatti che i modi di vivere e gestire le città multiculturali sono ben altri. L’idea delle quote tende cioè a nascondere un problema di base, ovvero l’incapacità delle società italiane a pensarsi in chiave multiculturale, a fare i conti con la nuova struttura della società.

  3. chi è lo straniero? L’idea delle quote rischia di cristallizzare l’evoluzione di un soggetto entro la gabbia identitaria dello "straniero". Esemplifico: nella quota dell’ipotetico 10% chi ci sta dentro? Ovvero: chi è alunno straniero? Lo è Abdul di 6 anni, nato in Italia da una famiglia tunisina e che ha frequentato prima il nido e poi la scuola dell’infanzia a Brescia? O lo è solo Irina, neo arrivata per ricongiungimento familiare dalla Moldavia? E per quanto rimane straniera Irina? E la bambina indiana di sette anni adottata da una coppia italiana dove andrà a finire? E’ straniera? E’ italiana? In che zona delle quote si colloca?

  4. da ultimo l’idea delle quote lascia intravedere l’incapacità delle scuole di gestire la nuova situazione multiculturale. Il che è, per un verso falso e un altro verso assolutamente vero. E’ falso se si tratta di un giudizio sulla capacità delle scuole dell’autonomia di rispondere alle sfide della società multiculturale. E’ vero se si considera il fatto che alle stesse scuole il ministero ha spesso tagliato le risorse che permettono di gestire la nuova situazione. E non parlo solo di insegnanti facilitatori e di mediatori culturali. Spesso si parla proprio di insegnanti tout court. Un esempio. Alcuni giorni fa, a Piacenza, durante la conferenza stampa di presentazione del progetto di costruzione in rete di un protocollo di accoglienza comune per tutte le dieci scuole dell’autonomia del comune, tutti i dirigenti scolastici concordavano nel sottolineare il rischio che nei prossimi giorni alcuni alunni immigrati si trovino senza classe. Il motivo è semplice: nessun rifiuto quanto piuttosto il fatto che le classi sono piene, stracolme, zeppe e non si sa dove mettere gli alunni che stanno arrivando a seguito dei ricongiungimenti familiari. E allora? Dividere le classi ad anno scolastico iniziato? E con che risorse? Con quali insegnanti?

E in mezzo ….una assenza sempre più preoccupante

E fra questi due fatti… lungo tutta l’estate si sono rincorsi dibattiti sul velo, sull’islam più o meno moderato con cui dialogare (ma si potrà scegliere con chi dialogare? Ed è ancora dialogo un incontro in cui si definiscono a proprio piacere le caratteristiche dell’altro con cui dialogare?), sul rischio che gli stranieri importino in Italia il terrorismo globale… Il tutto condito da sondaggi, studi, miriadi di dati sull’evoluzione multiculturale della società italiana, articoli su come le scuole si attrezzano, resoconti di esperienze e progetti innovativi ormai presenti in quasi tutte le realtà della nostra società.

L’unica cosa che non si è vista (e non si vede da tantissimo tempo) è una pubblica ed argomentata posizione del ministero dell’istruzione. Il ministero (che come è noto dovrebbe soprattutto definire linee guida per tutto il sistema formativo italiano) ha una sua idea su come governare i processi formativi nella società multiculturale oppure si limita ad intervenire ex post solo per bloccare quelli che considera eccessi?.

A che vale continuare ad appellarsi genericamente al dialogo ed alla educazione alla cittadinanza se non si dice che oggi è proprio il concetto di cittadinanza a dover essere rivisto, rivisitato alla luce della cittadinanza multiculturale?

Mi rendo conto che nella maggioranza che oggi governa il paese, e nella stessa opinione pubblica italiana, su questi temi ci si scontra quotidianamente. Ma non è, questo, un buon motivo per tacere. Significa rinunciare alla radice all’idea che la scuola educa. Che la scuola ha il compito di aiutare i ragazzi e le ragazze di oggi a vivere con pienezza, coscienza e consapevolezza, il proprio tempo.

E se la scuola non fa questo… a che serve?

I fantasmi e l’integrazione lunga

E’ nella scuola, infatti, che la nostra società si gioca il proprio futuro. Nella scuola e nel mondo del lavoro, ovvero nei luoghi dove le diverse culture, le plurime identità, le persone concrete che sono altra cosa rispetto alle "culture", si incontrano ed imparano a convivere scoprendo che le differenze non vietano di giocare assieme. Di studiare assieme. Di lottare insieme per obiettivi comuni. Di scoprire quotidianamente identità e differenza, ciò che unisce o ciò che differenzia.

E’ qui che si gioca l’integrazione lunga, quella quotidiana, faticosa, silente, che non fa notizia ma costruisce nuova socialità.

E’ in questi luoghi di comune interazione che ognuno di noi conosce gli altri, relativizza i fantasmi del nemico che nascono dalla non conoscenza e dalla proiezione sull’altro delle proprie paure e delle proprie angosce. E’ in questi luoghi di mediazione e di negoziazione che si costruiscono i cittadini di domani.

Far di tutto per evitare l’incontro costruendo comunità chiuse, ghetti, incompatibilità, fantasmi,… significa lavorare per un futuro scontro violento.

Vivere nel quotidiano la fatica dell’integrazione lunga significa invece superare lo stereotipo dello straniero e dell’autoctono per giungere ad una nuova dimensione della cittadinanza.

Questo fa ogni giorno la scuola. Questo vorrebbe continuare a fare.

Magari all’interno di un quadro condiviso, pubblico, argomentato e discusso assieme.

Ma è proprio questo che manca.