IL SISTEMA SCOLASTICO ITALIANO E LA DEVOLUTION
di Cassandra da
Scuola oggi del
25/10/2004
Il filo conduttore della politica scolastica del
governo, dopo l’approvazione da parte della Camera dei Deputati
dell’art.34 del disegno di legge di modifica della Costituzione,
potrebbe facilmente identificarsi nella schizofrenia
legislativa,sintomo evidente della mancanza di una strategia
complessiva e di una di linea politica costruita sulle esigenze del
momento delle varie componenti politiche della maggioranza
governativa.
La scuola e più in generale il settore dell’istruzione e della
formazione è stato inserito tra gli obiettivi prioritari del programma
di governo e continua ad essere anche in base a recenti affermazioni
del Presidente del consiglio uno degli snodi fondamentali per
l’attuazione del programma della coalizione: la riforma Moratti è
stata presentata come lo strumento che finalmente consentirà
all’Italia di avvicinarsi agli altri paesi europei, elevando la
qualità dell’offerta formativa ed assicurando competitività al Paese.
Eppure l’analisi dei provvedimenti finora emanati dal Governo e la
devolution recentemente approvata hanno in comune solo la schizofrenia
legislativa, giustificabile con le diverse posizioni presenti nelle
forze politiche della coalizione di governo, che affida alla
competenza esclusiva delle regioni interi settori dell’istruzione e
contemporaneamente, con l’approvazione della legge Moratti (l.53/2003),
afferma un nuovo centralismo dello Stato, negando qualsiasi ruolo ai
governi territoriali, puntando a costruire un forte asse
Stato-istituzioni scolastiche e dimenticando non solo i più ampi
poteri legislativi delle regioni, già operanti in base alla riforma
costituzionale introdotta dal vigente titolo V, ma anche lo stesso
principio dell’autonomia scolastica oggi di rilevanza costituzionale.
Il nuovo testo di riforma della costituzione, la c.d. devolution,
attribuisce alle regioni la competenza esclusiva sull’organizzazione
scolastica, la gestione degli istituti scolastici e di formazione, la
definizione della parte dei programmi scolastici e formativi
d’interesse specifico della regione, con l’effetto di realizzare
programmi formativi molto diversi, dando spazio a localismi o
subculture locali.
Provincialismo culturale e disgregazione del sistema nazionale unico
d’istruzione.
Sono questi gli effetti e gli obiettivi della modifica costituzionale?
Per rispondere partiamo dal contesto di riferimento. Il recente
rapporto dell’ocse indica che l’Italia è ancora un paese molto al di
sotto della media europea, nonostante tre anni di un governo che
ancora dichiara come obiettivo prioritario il riallineamento agli
standards europei .
Il dato più significativo è che siamo un paese con il 38% di
analfabeti, dove solo il 10% della popolazione è in possesso di laurea
contro una media ocse del 32%.
L’obiettivo di Lisbona 2000 appare lontano: l’attuazione di politiche
di riqualificazione e di potenziamento dell’istruzione e formazione
professionale come strumenti rilevanti per conseguire la coesione
sociale ed economica dei vari paesi non sembra sia stato realizzato,
anzi in alcuni casi si è rinunciato a priori a perseguirlo (centri di
educazione degli adulti) per mancanza di risorse finanziarie assorbite
anche dalla riforma, che ha puntato fin ora tutto sull’anticipo della
scuola materna (irrealizzabile senza il concorso degli enti locali, a
cui tale scelta è stata imposta) e sull’introduzione della figura del
maestro tutor nella scuola elementare.
Nel frattempo la questione dell’integrazione degli studenti stranieri
ha assunto proporzioni molto più rilevanti ed insieme ai tanti
problemi di organizzazione, anche metologica di una azione formativa
efficace, pone contemporaneamente l’esigenza di trasmettere valori che
identifichino una comunità e che consentano di aprirsi ad una cultura
europea.
A ciò si collega la questione dei lavori atipici, l’aumento della
precarietà del lavoro che determina una condizione in cui i pubblici
poteri dovrebbero assicurare all’individuo adeguati canali di
formazione e di mobilità sociale in modo da consentire che la
precarietà lavorativa non diventi una gabbia e sia data alla maggior
parte la possibilità di cambiare attività lavorativa.
Ovviamente la questione è collegata alla competitività anche economica
del Paese.
Ma costituisce un investimento per il futuro, preoccupazione che
sembra del tutto estranea a questo governo. Eppure l’investimento
nella qualità del capitale umano è quello che rende di più per la
società e l’economia, forse è l’unico in grado di garantire a tutti
una chance e contribuire a realizzare una società nella quale tutti
abbiano un’opportunità di crescita e di successo.
In tale contesto contemporaneamente il Parlamento si occupa di
modificare lo stato giuridico degli insegnanti, istituendo una
carriera del personale docente definita per legge, articolata in tre
livelli professionali. In sostanza si crea un nuovo albo
professionale, con organismi di gestione autonomi, dal quale le scuole
potranno attingere per assumere direttamente il personale docente .
Così viene meno, contemporaneamente, il principio del concorso sancito
dalla stessa carta costituzionale e la regola della contrattazione del
rapporto di lavoro, con la definitiva esclusione del personale docente
dal resto del pubblico impiego.
Le spinte contrapposte che in tal modo si ripercuotono nella scuola
possono determinare incertezze e destabilizzazione a volte anche
disinteresse negli operatori della formazione.
Ciò può indurre a sottovalutare gli effetti che si potrebbero
determinare con l’introduzione delle nuove modifiche costituzionali,
che sono invece rilevanti e potranno determinare rilevanti modifiche
sull’operare concreto dell’attività formativa.
Il dato più rilevante dal punto di vista degli effetti è che le
modifiche costituzionali proposte vedono un’istruzione che perde la
sua funzione unificante, l’ordinamento scolastico abbandona la sua
funzione storica di garanzia di unitarietà ed universalità, minando il
principio della solidarietà nazionale, che dovrebbe essere valore
unanimemente condiviso ed esercitato.
Con la devolution si tende a realizzare un processo inverso: si
incentivano i localismi regionali che possono determinare anche
processi di ideologizzazione della scuola (programmi decisi solo dalle
regioni). L’esclusività della competenza regionale può incrementare le
identità locali, creando culture in opposizione tra loro, volutamente
contrapposte e aggravare, attraverso la leva della gestione
dell’organizzazione scolastica, situazioni di disparità.
Inoltre, la domanda di partecipazione e coinvolgimento fortemente
avanzata dal mondo della scuola e dai movimenti nati per la difesa
della scuola pubblica, sistematicamente ignorate dal governo e dalla
Moratti, sono di nuovo calpestate.
>Ma oltre ad ignorare ogni forma di possibile democrazia partecipata
si ignora il diritto alla formazione, come diritto sociale e quindi
come diritto alla cittadinanza e all’uguaglianza sostanziale. L’azione
dei diversi governi territoriali potrebbe pregiudicare i diritti di
cittadinanza o diversificarne in concreto il loro contenuto
Se ciò si dovesse realizzare in concreto si determinerebbe un palese
contrasto con la prima parte della Costituzione (artt. 33 e 3) laddove
si sancisce il diritto all’uguaglianza ed il dovere dei poteri
pubblici di rimuovere situazioni di ostacolo all’esercizio del diritto
all’istruzione.
E allora qual è il motivo per cui si introducono modifiche che
eliminano le possibilità dello Stato di svolgere, anche attraverso
l’istruzione, il ruolo di ammortizzatore sociale, modifiche che
potenzialmente possono negare l’universalità dei diritti fondamentali
e si introducono meccanismi a livello di competenze che possono
determinare forti possibilità di disuguaglianza.
Anche azionando la leva della tutela dell’interesse nazionale,
competenza attivabile esclusivamente dallo Stato, sarà molto difficile
assicurare a tutti un determinato livello d’istruzione, considerato
che il potere legislativo della Camera dovrebbe essere esercitato,
proprio in virtù delle modifiche proposte, da un’assemblea
parlamentare condizionata se non ricattata dal governo. Dipende quindi
dalle scelte politiche del Capo del Governo e quindi dalla sua
maggioranza politica.
In definitiva si potrebbe dire che questa riforma della Costituzione
abbandona la strada della dislocazione dei compiti e delle funzioni
(decentramento amministrativo e titolo V) per intraprendere quella
della differenziazione dei diritti, con incremento delle
disuguaglianze e con la paradossale conseguenza, proprio in virtù
della ricordata schizofrenia, che la stessa riforma, con il suo
centralismo spinto, anche oltre ciò che è consentito dalle norme
vigenti (v. sentenza Corte Cost. 13/2004), andrebbe automaticamente
rimessa in discussione con tutti i sui provvedimenti attuativi emanati
o ancora da emanare.
Una sola considerazione conclusiva: se l’ incremento delle
disuguaglianze è il vero obiettivo, legittimo perché portato avanti
dell’attuale maggioranza, lo stesso va dichiarato e non può
determinare un aumento dei centri di spesa ed un ingovernabilità del
sistema che qualsiasi governo è tenuto ad assicurare.
Deve essere ben chiaro però che così la scuola diventa il luogo dove
le differenze socio culturali di partenza non hanno alcuna prospettiva
di essere superate, una scuola che non rimuove le differenze ma,
cristallizzandole, crea un sistema d’istruzione assistenziale per
alcuni ed elitario per altri.