Foto di scuola con studenti
di Solomon Gursky da
La Voce del
28/10/2004
In dicembre verranno resi noti, a livello
internazionale, i risultati di Pisa 2003.
Il Programme for International Student Assessement è il più vasto
studio comparativo internazionale sul rendimento scolastico degli
studenti mai realizzato fino ad ora. Promosso dall’Ocse e affidato per
la gestione a un consorzio internazionale di istituti di ricerca,
coinvolge quasi tutti i paesi dell’organizzazione e molti altri che
non ne fanno parte. È organizzato in cicli triennali e si propone di
rilevare le competenze degli studenti quindicenni in comprensione
della lettura, matematica e scienze. In ciascuna delle rilevazioni (la
prima è stata realizzata nel 2000), l’attenzione è focalizzata su uno
di questi ambiti, con una parte di domande, numericamente meno
rilevante, anche sugli altri due.
La rilevazione del 2003 ha posto al centro le competenze in
matematica.
Un silenzio tutto italiano
Al di là dei rilievi e delle osservazioni
critiche di cui può essere oggetto, è comunque indubbio che, per
ampiezza e caratteristiche, Pisa rappresenta una fonte notevolissima
di dati sui sistemi scolastici. E offre l’opportunità di un confronto
di grande utilità per capire meglio quali caratteristiche di ciascun
sistema scolastico siano alla base di risultati migliori o peggiori in
tre aree fondamentali della formazione scolastica.
Non a caso, a partire dalla pubblicazione dei risultati di Pisa 2000,
in molti paesi si è sviluppata una discussione ampia e spesso aspra
sulla loro interpretazione, sulle cause dei livelli di rendimento
degli studenti considerati insoddisfacenti, sulle decisioni da
adottare per migliorare i sistemi scolastici. L’attesa per i risultati
di Pisa 2003 è già alta: ne sono prova il numero degli articoli
apparsi sulla stampa specializzata (ma non solo), i dibattiti
pubblici, le iniziative adottate in preparazione della presentazione
dei risultati.
In Italia, niente di tutto questo. Non è stato mai pubblicato
alcun rapporto sui risultati di Pisa 2000, niente si sa di che cosa si
intenda fare per la presentazione dei risultati di Pisa 2003. Molto
probabilmente, a parte qualche articolo sulla stampa a ridosso della
presentazione dei risultati internazionali, anche questa volta tutto
verrà messo in sordina.
Le cause di questo atteggiamento sono molteplici.
L’insofferenza del ministero
Ci sono cause di carattere politico,
legate alle scelte dell’attuale Governo e dell’attuale ministro
dell’Istruzione.
Pisa si rivolge agli studenti quindicenni, la fascia di età che nella
maggioranza dei paesi corrisponde alla fine della scuola dell’obbligo
(sarebbe meglio dire della scuola comprensiva, prima della
diversificazione degli indirizzi di studio). Nel nostro paese è stata
fatta la scelta di abbassare l’età in cui i percorsi di studio si
diversificano tra istruzione e formazione. Se a questo si aggiunge
l’anticipo dell’ingresso nella scuola primaria, i nostri studenti si
troveranno a scegliere tra istruzione e formazione professionale
intorno ai tredici anni-tredici anni e mezzo. Si capisce come Pisa
metta in luce, da questo punto di vista, una relativa anomalia
delle nostre politiche educative, decisamente controcorrente rispetto
a quanto avviene negli altri paesi cosiddetti economicamente avanzati.
In secondo luogo, Pisa ha l’ambizione di rilevare le competenze
necessarie ai giovani per affrontare attivamente e con successo la
propria vita di adulti e di cittadini. Non parte quindi dai curricoli
specifici delle materie così come sono insegnate nei diversi paesi, ma
dalla individuazione di alcune fondamentali competenze di base,
che tutti i cittadini dovrebbero possedere (di qui il concetto di “literacy”,
centrale in Pisa).
Nella legge di riforma della scuola (Legge 53/2003) si dice
esplicitamente che la valutazione esterna può rilevare soltanto
conoscenze e abilità, ma non competenze (il cui accertamento è
demandato ai soli insegnanti). Si può discutere su quanto le prove
Pisa misurino effettivamente le competenze, ma questo rappresenta
sicuramente un secondo elemento di “insofferenza” verso l’indagine da
parte del nostro ministero. Un’insofferenza che si traduce nella
scelta di partecipare comunque a Pisa (come giustificare una eventuale
non partecipazione?), ma di limitare al massimo la sua
pubblicizzazione.
Più in generale, la politica educativa di questo Governo è stata fin
dall’inizio improntata da connotazioni fortemente “ideologiche”,
che mal si coniugano con una cultura della ricerca e della
sperimentazione. Non è un caso che i risultati di un’altra indagine
comparativa sulla comprensione della lettura degli studenti di nove
anni (realizzata dall’Iea – International Association for the
Evaluation of Educational Achievement) siano stati fatti passare
accuratamente sotto silenzio: come spiegare, infatti, a pochi mesi
dalla riforma, che la nostra scuola elementare, secondo il Governo da
riformare completamente perché inefficace, aveva consentito di
raggiungere risultati di eccellenza a livello internazionale?
Ci sono, però, anche ragioni che hanno origini
più antiche. Per decenni, le nostre politiche educative hanno guardato
con sostanziale distacco e sistematica non considerazione i risultati
della ricerca educativa. Ad eccezione di alcune brevi parentesi, le
ricerche comparative internazionali sono state sempre
sottovalutate, se non considerate con fastidio, perché a una lettura
spesso poco attenta e limitata alla superficie, avrebbero dimostrato
la debolezza del nostro sistema scolastico.
E a questo si aggiungono la mancanza di una cultura dell’accountability
in ambito politico, la debolezza della ricerca e della cultura
scientifica nel suo complesso, e di quella educativa in particolare.
Un’occasione per capire
Il risultato di questo scarto è duplice:
occasioni perdute per riflettere sul nostro sistema scolastico e
considerevole spreco di risorse.
Il paradosso è che spendiamo cifre più che rilevanti per raccogliere
masse di dati che non vengono utilizzati. Non solo non vengono
considerati dai nostri decisori politici, ma di questi dati si fa
normalmente un’elaborazione limitatissima. Invece, potremmo trarne
utili informazioni sull’insieme delle caratteristiche del nostro
sistema educativo, oltreché sul rendimento degli studenti in
specifiche aree disciplinari. È quanto avviene in tutti gli altri
paesi. Ed è proprio per questo che l’Ocse mette a disposizione i dati
delle rilevazioni Pisa immediatamente dopo la pubblicazione del
rapporto internazionale: per consentirne l’uso e per favorire lo
sviluppo di analisi specifiche più approfondite.
Va riconosciuto che, da questo punto di vista, oltre alla mancanza di
interesse da parte dei responsabili politici, si sconta una
sostanziale debolezza delle strutture di ricerca educativa nel nostro
paese. Per mancanza di competenze in alcuni casi (e su questo
l’attuale ministero ha responsabilità precise), per mancanza di fondi
in altri.
Sarebbe quindi auspicabile che la prossima
pubblicazione dei risultati di Pisa 2003 costituisse l’occasione per
iniziare a invertire questa tendenza. Il nostro ministero
dovrebbe finalmente capirne l’importanza, al di là di calcoli politici
di corto respiro, e su questi risultati dovrebbe aprirsi un dibattito
pubblico. Perché questo avvenga è necessario pubblicizzarli, renderli
disponibili, pubblicarli. Di più, sarebbe il caso di rendere
accessibili i dati stessi (non soltanto le loro elaborazioni) e gli
elementi che ne permettono l’analisi a livello di aree geografiche, di
indirizzi scolastici, di tutte le altre variabili utili a
interpretarli.
Si tratta di una ricchezza che non può essere considerata
patrimonio del solo ministero o dei soli ricercatori che hanno
condotto l’indagine.