Superiori: il decreto che verrà
da
Fuoriregistro del
28/10/2004
“Riforma delle superiori nei tempi della
delega”
dichiara il
ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, a margine della
presentazione dei risultati del sistema Nazionale di Valutazione.
"Si sta concludendo una fase preparatoria”, ha proseguito,
spiegando che sono alle ultime battute i lavori delle commissioni che
studiano i programmi per i licei. "Inziera' poi, intorno alla fine
di novembre - ha aggiunto - un percorso di consultazione molto
ampio con tutto il mondo della scuola e con le regioni che sono gli
attori principali per quanto riguarda la formazione professionale”.
Vogliamo credere al Ministro, anche se le
informazioni
che ci arrivano sul modo in cui il si sta preparando il decreto non ci
rassicurano molto.
Vogliamo crederle e, proprio per questo, intendiamo dare il nostro
contributo all’ ”ampio percorso di consultazione” raccogliendo
documenti, riflessioni e considerazioni prodotte in questi ultimi
anni, da quando cioè la legge 53 ha mosso i suoi primi passi.
Con un
incipit che, da
solo, era già un programma.
“Don Milani era solito ricordare che nulla è più ingiusto che fare
parti uguali tra disuguali. Dare di più e meglio a chi ha meno e
peggio è uno dei principi generali cui il Grl ha cercato di ispirare
la proposta di riforma del sistema educativo di istruzione e di
formazione. La giustizia intesa come equità non si promuove, infatti,
con l'uniformità distributiva, ma con la differenziazione
individualizzata degli interventi e dei servizi. Ciascuno deve essere
posto nelle condizioni di sviluppare al meglio le proprie capacità e
di trovare una pertinente valorizzazione delle proprie attitudini. Ciò
che vale per i soggetti, vale anche per le istituzioni, nel senso, ad
esempio, che le istituzioni del sistema di istruzione e quelle del
sistema di formazione non possono svolgere il loro servizio educativo
negando, o comprimendo, le specificità epistemologiche, metodologiche
e pedagogiche che le devono caratterizzare, bensì avvalorandole, per
porle a disposizione del massimo sviluppo possibile dei soggetti che
le scelgono”.
Un programma che ha preso forma con la legge delega in generale ed in
particolare con gli
articoli che
definiscono la separazione del sistema di Istruzione da quello della
formazione professionale,anche se la dicitura rimane sempre un po’
vaga, perché spesso è sostituita dall’espressione “Istruzione e
formazione professionale”.
Vaga l’espressione, ma chiare le intenzioni: in nome di don Milani,
ritornare alla scuola della professoressa destinataria della lettera
dei ragazzi di Barbiana.
Nonostante ciò, un grande silenzio sul destino che aspetta
l’istruzione superiore in Italia. Pesantissimo quello delle scuole,
interrotto solo da qualche intervento: quello degli esperti, degli
addetti ai lavori.
Vale la pena di segnalare, in questo scenario, l’impegno del
Coordinamento degli IPT di Brescia che, sul loro
sito,
raccolgono le notizie che filtrano dalle maglie strette degli ambienti
del MIUR, la frammentarietà delle quali è una riprova, se ce ne fosse
bisogno, del metodo Moratti che non è “divide et impera” bensì
“asconde et impera”
Vale però anche la pena ricordare che gli effetti della riforma erano
facilmente intuibili, come dimostrano gli interventi raccolti, nel
settembre del 2002, nello
speciale
Ritorno all’Istruzione … ovvero…. nella cui presentazione
leggiamo:
“All’inizio volevamo concentrarci solo sul destino che la riforma
Moratti riserva all’Istruzione professionale. Man mano che il lavoro
di preparazione procedeva ci siamo rese conto che non era possibile
separare questo pezzo di riforma dal disegno di insieme e dalla
domanda sul diritto al sapere.”
Un diritto al sapere che la riforma nega, prevedendo, come ha
successivamente sintetizzato
Antonio Valentino:
- canalizzazione precoce (dopo la terza media) e
sostanzialmente irreversibile
- canale formativo in cui sia assente una consistente presenza
della formazione culturale (saperi di cittadinanza di buon livello) e
della formazione tecnico-tecnologica e risulti prevalente la
dimensione addestrativa.
Il problema di fondo, per Valentino è quindi se sia “equa la
differenziazione dei destini di ragazzi tredicenni, o poco più,
costretti a scegliere tra due sistemi con finalità (soprattutto) e
articolazioni e percorsi molto diversi e connotati da una logica di
separazione ed esclusione”.
L’articolo di Antonio Valentino riprende posizioni di
Maurizio Tiriticco,
il quale - richiamando quanto stabilito dalla riforma del titolo V
della Costituzione - sostiene che “La questione, allora, è impegnarsi,
sul terreno politico e parlamentare, perché:
1.
a) i principi fondamentali che presiedono alla legislazione
concorrente;
b) le norme generali sull’istruzione;
c)
gli standard dell’istruzione “tutta”; siano individuati e
descritti conformemente alle esigenze dello sviluppo culturale, civile
e professionale dei cittadini e del Paese, anche nello scenario
dell’Unione europea;
2. “tutta” l’istruzione e, conseguentemente, la
formazione professionale vengano fortemente valorizzate”.
“Come si debbano chiamare questi istituti superiori poco
importa: - ritiene a sua volta
Mario Ambel
intervenendo sul doppio canale e sul dettato del Titolo V, riformato,
della Costituzione - fondamentale è che siano capaci di orientare e
promuovere al proprio interno, di organizzarsi attorno a livelli,
durate, percorrenze e rientri differenti nonché a diverse esigenze
culturali e pre-professionali, che sappiano anche negoziare con gli
studenti percorsi formativi flessibili all’interno di solide opzioni
curricolari progettate e sperimentate. Che poi un tale sistema
scolastico sia europeo, nazionale, regionale, comunale o
circoscrizionale è francamente un problema che può appassionare solo
chi ha e alimenta una visione antagonista fra questi diversi livelli
istituzionali. Quel sistema scolastico è e deve rimanere
autonomamente istituzionale, semplicemente pubblico in quanto della
Repubblica, ovvero di tutti quei livelli purché sappiano interagire,
ciascuno per ciò che gli compete e, quindi, di nessuno di essi in modo
esclusivo, con buona pace di più o meno affrettate o condivise leggi
di revisione costituzionale, fatte o da farsi.”
Tre posizioni complementari con le quali abbiamo cercato di
sintetizzare il dibattito sul doppio canale. Che nel frattempo si è
allargato con
l’intervento
della Confindustria che prende posizione contro l’inserimento
dell’istruzione tecnica nel secondo canale e contemporaneamente contro
la sua
licealizzazione
e con la predisposizione del cosiddetto
modello lombardo
che, pur definendo i tecnici “laboratori di eccellenza” è in
quel canale che li situa.
Sul destino dell’istruzione professionale, così come è oggi
molto poco è
dato sapere.
Ed altrettanto poco ci rassicura il Ministro, che, in una
intervista
rilasciata a Repubblica il 14 maggio scorso, continua, ci sembra a
ragionare come se prima di questa riforma, la scuola vagasse in una
sorta di limbo.
"Uno dei criteri ispiratori della
Riforma è stata l'attenzione riservata agli studenti più bisognosi.
Per permettere loro di accedere ai gradi più elevati dell'istruzione,
abbiamo istituito - al termine della scuola dell'obbligo - il canale
di istruzione e formazione professionale, che non esiste nel nostro
paese in maniera strutturata al pari di tutti gli altri paesi europei.
E che peraltro ci viene richiesto dall'Europa fin dal principio degli
anni Novanta. Si tratta d'un percorso alternativo a quello
tradizionale, che - dopo un periodo di integrazione - può anche
sfociare nell'Università".
Non c'è il rischio che si tratti d'un canale dequalificato? Non a
caso quest'anno sono cresciute le iscrizioni ai licei: le famiglie
temono di mandare i propri ragazzi negli istituti professionali, dove
regna l'incertezza sui destini futuri.
"Potrei citare il caso della
provincia di Trento,
dove da due anni si sperimenta il "doppio canale" (istruzione liceale
e professionale) esattamente come viene concepito in base alla legge
53. I risultati sono incoraggianti: il doppio canale ha dato ai
giovani la possibilità di inserirsi in percorsi ai quali prima non
avevano accesso. C'è inoltre una buona possibilità di passaggio da un
canale all'altro: nel dettaglio, è stato registrato un salto più
frequente dall'istruzione professionale al liceo che viceversa".
L'istituzione del canale professionale contraddice in realtà un
fondamentale principio liberale che è colto dalla nostra costituzione:
quello di eguagliare i punti di partenza. A questo s'è cercato di
ottemperare in cinquant'anni di storia scolastica. L'ultimo grande
esempio è quello della scuola media unica, che elimina di fatto la
scuola dell'avviamento. Questa riforma non rischia di essere un passo
all'indietro?
"Potrei risponderle che la scuola così come è strutturata adesso
influisce in maniera molto scarsa sulla mobilità sociale. Noi in
Italia abbiamo la mobilità sociale più bassa che si possa immaginare:
un 6 per cento rispetto al 20 per cento registrato negli Stati Uniti.
La grande sfida della scuola è proprio quella di eliminare le
differenze sociali di partenza".
Ma allora perché non fare un biennio unico dopo la scuola media?
"Questo è un nodo delicatissimo, su cui stiamo riflettendo con molta
serietà. Il profilo del secondo ciclo - nella diversa articolazione di
licei e formazione professionale - sarà un profilo unitario. Questo
significa che nella formazione professionale dovrà essere fortemente
rafforzata quella componente dei saperi di base che attualmente non
c'è. Quindi si dovrà arrivare a una sorta di convergenza nei primi
anni, tale da poter consentire più agevolmente il passaggio da un
canale all'altro".
Il profilo del secondo ciclo - nella diversa articolazione di licei
e formazione professionale - sarà un profilo unitario:
riprendiamole, le parole del Ministro, prima di fare un salto indietro
nel tempo.
E’ la primavera del 2003, ed a
Fiuggi, si
riuniscono “250 esperti ” (secondo indiscrezioni dirigenti
scolastici esclusi quelli dell’area professionale ) per definire i
profili degli otto indirizzi liceali individuati nella riforma della
scuola: artistico, classico, linguistico, economico, musicale e
coreutico, scientifico, delle scienze umane, tecnologico.
Il
documento nel
quale i profili sono delineati suscita molte perplessità.
“E’ un ritorno a Gentile? ” si chiede
Paolo Citran .
Quel Gentile, “che voleva aristocraticamente poche scuole ma buone, la
scuola che aveva il compito di formare la classe dirigente, la scuola
più potentemente formativa, quella che sola permetteva l’accesso a
tutte le facoltà universitaria, era il Liceo classico.”
“Se si tratta di indietreggiare per saltare meglio, io non avrei paura
a cogliere qualche idea forte che appartiene al passato, a condizione
di sapersi liberare dalle angustie che la storia si è incaricata di
rivelare, anche sul conto dei più grandi.“ gli risponde
Luciano Corradini
, difendendo quel documento.
“Un documento giustamente molto criticato - scrive
Pasquale D’Avolio
- che sembra non tener conto di tutto il
dibattito che da almeno trent’anni ha interessato il mondo scolastico;
il concetto di licealità infatti non può essere quello di
Aristotele, per il semplice fatto che la nuova polis non è
l’Atene del IV secolo a.C. Si resta allibiti di come una
megacommissione abbia trascurato alcuni semplici eventi di
questi ultimi anni (la globalizzazione, la multimedialità, il pensiero
“complesso” ) per riproporci una immagine della cultura liceale
davvero datata ... Cosa si deve intendere per licealità nel
secolo che è appena iniziato? E’ indubbio che il momento
concettuale o dell’astrazione è caratteristico della licealità,
mentre nel percorso professionale si tende a privilegiare quello
procedurale. Le competenze non possono non essere diverse: così è
indubbio che nell’istruzione liceale ci debba essere una prevalenza
dell’analisi, del pensiero lineare dichiarativo su quello modulare e
contestuale. Sottolineo la prevalenza e non l’esclusivismo,
come purtroppo avviene ancora oggi in molte realtà scolastiche,
soprattutto nei Licei”.
“Così ragionando – risponde
Maurizio Tiriticco
- non si finisce con il riproporre, anche se in
altra forma, quella dicotomia contro la quale lo stesso D’Avolio è
fortemente critico, e che è chiaramente descritta nel tanto contestato
documento di base sui Licei? Laddove chiaramente si dice che nel liceo
il fare è funzionale al pensare, mentre nell’istruzione e nella
formazione professionale il pensare è funzionale al fare!?”
Di theoria e di tèchne – le due parole
chiave del documento sui licei – discutevano D’Avolio e Tiriticco,
intanto che - come ci informa
Tuttoscuola -
la tecnostruttura del Ministero che si occupa di istruzione secondaria
superiore (dirigenti, ispettori, personale comandato) e' stata
formalmente investita del compito di formulare proposte in vista della
predisposizione del decreto legislativo riguardante il sistema di
istruzione, e delle relative “Indicazioni nazionali ”, sulla
falsariga del percorso gia' seguito per il primo ciclo .
Anche per i licei, quindi, tutor, portfolio, piani di studio
personalizzati, OSA e PECUP. E la riduzione delle ore curricolari (di
quali discipline?), e i laboratori. E un ultimo anno del quale non si
riesce ad immaginare la natura.
Dubitiamo molto dell’ampiezza della consultazione promessa dal
ministro. Siamo invece certi che il decreto prossimo venturo, più che
dividerla, la scuola, finirà – se applicato – per scompaginarla.
Tutta.