Burn out e terapia Intervista al dottor Nicola Ghezzani, in esclusiva per Meridiano Scuola. di Rosa Maria Lombardo da Meridiano scuola del 4 ottobre 2004
Il dottor Ghezzani , psicologo,che abbiamo imparato a conoscere attraverso i suoi articoli sul burn out, pubblicati da Meridiano Scuola, ritorna con un'altra intervista nella quale cerco, insieme a lui, di definire un possibile percorso di cura del burn out, e quindi di recupero della qualità della vita, e di reinserimento del docente nella scuola.
D: Dottor Ghezzani, davanti ad una situazione di burn out, in cui il docente si rivolge alla psicoterapia per un aiuto, è opportuno allontanarsi dalla scuola e dall'insegnamento o sarebbe più opportuno pensare trasferimenti temporanei ad altre attività ma evitare il congedo protratto? Le chiedo questo perché spesso i docenti che cominciano a prendere congedo per malattia e si trovano in una situazione di burn out, difficilmente rientrano in servizio, e il prepensionamento diventa una sorta di tappa obbligatoria e conclusiva di un tragico incidente di percorso. R: Nella mia esperienza di psicoterapeuta ho constatato che il burn out nella professione docente è caratterizzato da una dinamica psicologica molto precisa e ricorrente. Da una parte l’insegnante chiede a se stesso moltissimo; ingannato da una ideologia che presuppone che il suo compito sia la scolarizzazione totale, la creazione ex novo dell’uomo ideale, egli si prodiga in molteplici attività, in direzione del conseguimento del massimo risultato per tutti gli alunni. In questo egli è anche vittima dell’idea astratta che se pure gli alunni partono da condizioni diversissime (diversità o deficit linguistici; famiglie disadattive; disturbi del carattere come l’ADHD; handicap di ogni genere) egli deve comunque portarli tutti alla stessa meta. Dall’altra parte, però, l’insegnante soffre di penosi e nascosti sentimenti di inadeguatezza. Talvolta si tratta di problemi personali, ma sempre più spesso questi sentimenti dipendono invece dalla realtà lavorativa. A fronte dell’enorme impegno che gli viene richiesto, egli si sente trattato come un dipendente statale di serie B. In più egli registra costantemente la dissociazione fra gli obiettivi che in teoria dovrebbe raggiungere e i risultati effettivamente conseguiti. Quando dalla comparazione deduce che la colpa è dell’istituzione egli si riempie di una rabbia impotente, che sfocia in ansie più o meno strutturate e in disturbi psicosomatici. Quando dalla comparazione, invece, deduce d’essere lui il responsabile del mediocre risultato conseguito, allora va in depressione. Posto questo quadro psicodinamico di base, è evidente, allora, che l’allontanamento dall’attività docente viene immancabilmente percepito dall’insegnante o come un’esclusione attiva e persecutoria o come il segno definitivo della propria rivelata incapacità. In entrambi i casi questa soluzione finisce per produrre grave depressione. Conviene, dunque, che se di allontanamento deve trattarsi, sia solo per periodi brevi e si abbia cura di pensare per tempo ad un buon reinserimento.
D: Quindi un trattamento ben condotto porta ad una totale remissione dei sintomi psicosomatici? R: Di solito sì. Il trattamento deve essere portato avanti con due strumenti paralleli. Deve essere innanzitutto psicoterapico, perché il soggetto deve comprendere appieno le dinamiche di autoinganno e autosvalutazione che sono alla base del suo disturbo; quindi sociopsicologico, nel senso che occorre predisporre per lui un accurato lavoro di ricollocamento.
D: E risulta opportuno anche un approccio di tipo educativo, più strettamente pedagogico, che al tempo stesso consenta alla persona di sviluppare abilità sociali, competenza emotiva e uno stile cognitivo più fluido, problematizzante anche? R: L’approccio psicopedagogico dovrebbe avere la finalità di educarlo ad una gestione più morbida e sottile della vita emotiva. Nelle persone affette da burn out ho riscontrato sempre una modalità emotiva diretta, unilaterale, “seria” nel senso più drammatico del termine; mentre nelle organizzazioni sociali complesse occorre saper relativizzare.
D: In media quanto tempo può servire ad una persona (il docente nel nostro caso) per superare la fase di crisi che sta vivendo? R: Ovviamente, la guarigione dipende dalla gravità del disturbo che il soggetto ha sviluppato e dagli strumenti di “decifrazione” di cui dispone. Esistono casi di burn out in personalità deliranti, e queste situazione hanno un decorso lunghissimo. Ma la gran parte dei casi si esaurisce nello spettro dell’ansia acuta e della depressione. In questi casi può esser sufficiente un periodo che va da alcuni mesi a un paio d’anni.
D: Cosa prevede un trattamento di psicoterapia per una persona che ha i sintomi psicofisici del burn out? R: In questo caso, in verità piuttosto frequente, occorre una buona collaborazione col medico. Dal punto di vista psicologico, il trattamento è lo stesso che si adopera nei casi di ansia grave e di disturbo da attacchi di panico.
D: Da quanto detto fin da ora è possibile ipotizzare che il burn out sia l'effetto di una condizione di sofferenza psicologica che ha delle cause ben precise ed è contestualizzabile e non uno stato di follia che colpisce come un virus modificato? R: I dati* parlano da soli: l’evidenza di disturbi emotivi e della personalità a carico di personale docente è in costante aumento: si va dal 44.5% del triennio 92-94 al 56.9% del 2001-03. Secondo una recente ricerca, i Collegi medici in questi casi hanno sancito l’inabilità all’insegnamento nel 90% dei casi (27% temporanea e 63% definitiva), a riprova della gravità delle situazione. Senza dubbio, l’ambiente lavorativo è nel caso del burn out un concausa determinante. L’ambiente, se studiato nelle sue valenze ideologiche e sociologiche, rivela sempre di essere ad alto potenziale patogeno.
Conclusione Dottor Ghezzani, nel congedarmi da lei e da questo interessante scambio voglio ringraziarla anche a nome della redazione. Mi sembra di potere concludere questa intervista, che ancora un volta rilascia a Meridiano Scuola in esclusiva, con una nota di positività poiché se è vero che il burn out sconvolge la vita di chi vi incorre d’altra parte è pur vero che una corretta informazione sul fenomeno lo rende una fase di passaggio o di crisi che possono caratterizzare la vita di una persona. Come ogni crisi diventa un’occasione di cambiamento, di crescita , seppure dolorosa di cui non possiamo non tenere debitamente conto. E’ importante , d’altra parte,riconoscere la gravità e la serietà di questo fenomeno per il quale, ci auguriamo, si riesca a costruire una rete di intervento in cui la sinergia degli approcci ne prevenga la comparsa e affronti efficacemente i casi già presenti a tutto vantaggio del benessere della professione docente e della sua immagine e percezione nel sociale. Come sempre rimandiamo i lettori ad ulteriori approfondimenti, anche sui temi dell’ansia e del panico, a cui il dottor Ghezzani ha fatto riferimento, e di cui ha trattato ampiamente sul sito http://www.psyche.altervista.org/
Rosa Maria Lombardo * I dati sono stato ricavati dall’articolo”Insegnanti a rischio di follia” pubblicato da Repubblica.it il 14 settembre 2004" |