Un patrimonio da difendere

L’avvenire dei ricercatori

di Gaspare Barbiellini Amidei da Il Corriere della Sera del 10 Ottobre 2004

 

Non si scambi per indifferenza o per rassegnazione la pacatezza dei ricercatori milanesi durante questa fase della protesta contro le ipotesi di riforma che corrono, talune lette o riferite con qualche fraintendimento. Se le iniziative sono state più contenute che altrove, è questione di metodo e di pazienza. A Roma si sta ancora trattando, non c’è nulla di definitivo e il pragmatismo induce a premere piuttosto che a rompere. Ma nella sostanza questa metropoli, con la sua decina di atenei, è la più interessata a un sistema universitario innovato in sintonia con le aspettative delle ultime generazioni, destinate a fornire la docenza di domani e già coinvolte nell’insegnamento attuale, in maniera più o meno precaria e sottopagata. La parziale didattica, in sostanza gratuita, è un dono che i ricercatori fanno alla collettività. Dagli esami alle quasi-lezioni la macchina delle lauree è debitrice in notevole porzione nei confronti dei ricercatori. In una logica che è anche di potere altrui, essi danno assai più di quel che possono aspettarsi. Ma sarebbe riduttivo considerare il tema soltanto dal punto di vista delle speranze e delle delusioni di diverse migliaia di (ex) ragazzi . Sul tavolo non c’è soltanto il destino di lavoratori intellettuali dall’incerta carriera. C’è il rischio di uno scialo di intelligenze. Milano non può permettersi la delusione dell’intera sua docenza universitaria dei prossimi decenni, una riforma della ricerca universitaria che non fosse condivisa dai ricercatori nascerebbe povera di forza propulsiva.

Con 105 miliardi annui Milano realizza un decimo del Prodotto interno lordo di tutta l’Italia, l’intero Paese convoglia verso l’istruzione universitaria appena lo 0,9 per cento del Pil. La ricchezza che la metropoli produce non torna quindi indietro a finanziare lo studio dei suoi figli. E’ un ciclo diseconomico. Investire una quota insufficiente dei ricavi nella ricerca è formula autolesionistica per quello che è proprio il maggior distretto di ricerca.

Il disagio dei ricercatori deriva in parte da un deficit di comunicazione. Il coinvolgimento nella fase normativa può essere maggiore. Il riformatore può giovarsi di un contatto più frequente, sburocratizzato e alleggerito dalle liturgie corporative. Svecchiare gli apparati, eliminare le piccole rendite di posizione e le incrostazioni di nicchia, dai giovani possono venire più sostegni che resistenze. Servono però altro clima, fiducia reciproca e minore politicizzazione. Non è davvero fra i giovani ricercatori che prospera la pigrizia intellettuale, precarizzarne il futuro sarebbe un errore, che non è nelle intenzioni della Moratti. Ci vorrebbe anche qualche ricercatore nel palazzo, fra i consiglieri e fra i dirigenti. Oggi non c’è aria da ’68, questi professori di domani hanno voglia di non perdere e non far perdere tempo, sanno che Milano si gioca il suo avvenire sul loro avvenire. Il margine di intesa c’è se lo si vuole vedere. Gli slogan non si addicono ai laboratori.