. L’università si ribella «I nostri quattro perché». di Raffaello Mascida La Stampa dell'11/11/2004
ROMA Al ministero nessuno parla ufficialmente. Nell’agenda del ministro non sono fissate iniziative particolari che si possano configurare come risposta ai punti sollevati dai manifestanti (stato giuridico dei docenti, precarizzazione dei ricercatori, taglio dei finanziamenti, diritto allo studio). Non sono fissati neppure degli incontri con sindacati o con delegazioni, almeno fino allo sciopero del 15, poi si vedrà. La linea è quella di «tirare dritto». «Il metodo che il ministro si è dato - spiega un dirigente del ministero - è quello di ascoltare tutti prima di ogni iniziativa legislativa, ragionare quindi su una bozza di proposta, e decidere. Da quel punto in poi le cose hanno un iter che è quello previsto per i provvedimenti di legge, ddl o decreti che siano». E dunque che ne sarà del ddl di riforma dello stato giuridico dei docenti universitari, che è al centro di tutte le proteste? «Il ministro - è la risposta - non ha intenzione di ritirarlo. Ci crede e lo porterà avanti fino all’ultimo». Con buona pace delle università in subbuglio e della stessa Crui (la conferenza dei rettori) che lo ha molto criticato. C’è poi la questione dei ricercatori: quelli che sono in organico (e che spesso non sono più giovanissimi) non perdono il posto, ma vogliono un ruolo docente che li sottragga ad una condizione di marginalità, sottesa dalla definizione «ruolo ad esaurimento». Poi ci sono le nuove leve che ambiscono ad entrare nel sistema e non vogliono, invece, emigrare. «Il ministro - è la risposta - sta lavorando assiduamente per allargare la base dei giovani da inserire nei ruoli di ricerca». Ieri stesso da viale Trastevere è stato diffuso un comunicato nel quale si parla di 982 progetti approvati e finanziati con 137 milioni di euro: «Queste sono le risposte concrete che il ministro intende dare». Ma alla fine ogni vertenza potrebbe essere facilmente composta, se non fosse d’intralcio la questione delle questioni, e cioè quella dei finanziamenti, sia per la scuola che per l’università. Se - per esempio - il sistema universitario potesse avere quei 4-5 miliardi in 5 anni, probabilmente ci sarebbero risorse sufficienti per tutto: per i ricercatori, per le borse Erasmus, per allargare il numero dei dottorati, per le residenze universitarie che consentirebbero un’effettiva mobilità degli studenti (e quindi una vera possibilità di scelta tra le varie sedi messe in concorrenza). Per quanto riguarda la scuola poi, se arrivasse una cifra almeno doppia e negli stessi tempi, ci sarebbero soldi per adeguare agli standard europei le retribuzioni dei docenti (+15%), per sopperire alle carenze edilizie degli edifici scolastici, per investire sulla qualità della didattica e le tecnologie. «Il ministro ha molto presente anche questo problema. Siamo però di fronte alla coperta corta - dicono al ministero -. Ma se anche i sindacati facessero la loro parte, tutto sarebbe più agevole. E’ noto che il ministro ha deciso per intanto di ristrutturare la spesa, assegnando al personale non più il 94% del budget com’è oggi, ma l’85%. Basterebbe aumentare anche di un solo punto il rapporto docente-allievi, che da noi è quasi il doppio che nel resto d’Europa, e mettere un tetto agli insegnanti di sostegno. Ma ogni volta che si parla di queste cose, ecco manifestazioni e proteste. Così anche il possibile sfugge immediatamente». |