Il metodo a spanne del ministro Moratti

 

di Marina Boscaino, da l'Unità del 12/11/2004

 

La scuola, si sa, è uno di quei campi in cui ciascuno sente di poter a buon diritto dire qualcosa: per il semplice fatto di averla frequentata. Perché è un’istituzione talmente immersa nel tessuto sociale che ci si sente autorizzati a non usare alcun tipo di cautela. Siamo tutti insegnanti o comunque siamo tutti in grado di valutare l’operato degli insegnanti. Ci arroghiamo il diritto di giudicarne preparazione, valutazione, carattere, scelte didattiche senza timore, qualunque lavoro noi si faccia. Non esiste in alcun altro campo un’ingerenza tanto massiccia e spregiudicata sulle scelte professionali: non un magistrato, non un medico, non un giornalista viene così apertamente vivisezionato nel suo operato, così facilmente contestato, messo in discussione, criticato. Esperti di scuola tutti.

Letizia Moratti, in nome di una falsa libertà di scelta, ha dato voce a questo desiderio di ingerenza di alcuni genitori nella sfera scolastica. Ma i veri esperti esistono e certamente sono loro gli unici - insegnanti e seri professionisti che si occupano di scuola - a poter valutare come meglio dirigere lo sforzo che un governo debba fare per migliorare la qualità del sistema dell’istruzione. Per migliorare la competenza dei docenti, che è spesso obiettivo di critiche, come ha evidenziato anche un’indagine dell’Istituto Cattaneo e dell’Associazione Treelle sulle opinioni degli italiani nei confronti della scuola superiore pubblicata qualche tempo fa. Per definire l’opportunità di favorire o meno l’insegnamento di determinate discipline (filosofia e latino sono in ultima posizione nell’indice di gradimento degli italiani; ma la matematica e le scienze non sono ritenute altrettanto fondamentali dell’inglese e dell’informatica). Per stabilire la possibilità che una nazione che voglia dirsi civile innalzi realmente l’obbligo scolastico a 18 anni, mentre gli italiani sembrano accontentarsi dei 15 anni (tra parentesi, la Moratti lo ha abbassato alla terza media). Per valutare se la scuola, come crede la maggior parte degli italiani, debba prevalentemente preparare per il mondo del lavoro o debba attrezzare gli studenti alla convivenza civile, al giudizio critico, all’impegno e allo sforzo per raggiungere obiettivi conoscitivi e di crescita.

«Gli elementi cognitivi messi a disposizione in questo quaderno» suggerivano i curatori di quell’indagine «possono costituire uno stimolo per chi elabora le politiche educative del Paese, e ciò in due sensi. In primo luogo, le riforme dei processi formativi possono essere ideate ed attuate in modo tale da avvicinarsi all’opinione pubblica, applicando in questo modo una logica di aderenza alla volontà popolare». Per quale motivo un giudizio dovrebbe essere considerato valido solo perché di molti? Per quale motivo una logica da panem et circenses, da “il cliente ha sempre ragione” dovrebbe prevalere sulla necessità di educare la collettività a principi universalmente ritenuti validi? Per quale motivo, infine, si dovrebbero assecondare preferenze e gusti di un’utenza che si rivela - sono dati di molti sondaggi - disinformata e poco attenta ai problemi della scuola? Meglio, forse, sarebbe considerare questi dati come un monito su come debba orientarsi una politica scolastica recuperata a un ruolo centrale nella vita politica e sociale del Paese. Nella costruzione di una scuola pubblica che per la sua sola esistenza ed efficacia, dissuadendo dal giudizio approssimativo, incarni caratteristiche e principi irrinunciabili. Convincendo anche gli scettici e i disinformati della sua centralità.

Dopo il clamore suscitato dall’irregolarità dell’inizio dell’anno scolastico, il silenzio è calato nuovamente sulla scuola italiana. Eppure molte sono le scuole dove ancora oggi non ci sono tutti i docenti in cattedra, con gravi ripercussioni sulla didattica e sull’orario. Il rapporto della società italiana con la scuola ha vissuto negli ultimi anni momenti raramente intensi grazie alla generosità dell’impegno soprattutto di una parte dei genitori che con fermezza hanno saputo orientarsi - scavalcando l’ipertecnicismo di alcune problematiche - su problemi in cui l’informazione - quando c’è - o è propagandistica o è imprecisa ed improvvisata. Ma molti ancora stentano a individuare nell’istruzione una problematica centrale su cui concentrare interesse, su cui cercare informazione.

La scuola italiana è criticabile e criticata. Lo era da prima che la Moratti si prodigasse per renderla indecente, per peggiorarne la qualità e la sostanza. E mai come in questo momento la scuola rappresenta un campo nel quale sarebbe fondamentale impegno e vigilanza di tutti noi. Perché, l’abbiamo detto e ripetuto, la scuola, la sanità, la giustizia riguardano tutti, dai neonati ai nonni. La scuola - investimento sul futuro - è un bene di tutti. Il precariato, il tempo pieno, l’obbligo scolastico, la professionalità dei docenti, le riforme, il problema degli alunni diversamente abili, la qualità dell`istruzione, il rapporto tra pubblico e privato: ognuna di queste questioni non si esaurisce in se stessa, ma chiama una serie di principi che le diverse parti politiche trattano secondo la propria impostazione politica ed ideologica. Insistere su una visione “politica” dei problemi che riguardano la scuola significa andare a individuare idee di società. Perché la scuola stessa è un modello di società. E l’idea di scuola che ciascuna parte politica propone rappresenta l’idea che essa ha della società. Sarebbe bello e opportuno che l’opposizione, nell’elaborazione di un programma comune, tenesse ben presente questo principio.