Per la Suprema Corte le diatribe «tipiche della conflittualità scolastica»
 non sono passibili di condanna.

Se lo studente insulta il prof non è reato.

Sentenza della Cassazione: la reputazione dei docenti
non è offesa dalle accuse degli allievi «anche se sono prive di fondamento».

da Il Tempo del 13 novembre 2004

 

ROMA — Gli studenti possono accusare, anche per iscritto, i loro insegnanti. Anche se le accuse si rivelano «infondate» non costituiscono reato. Lo sancisce la Corte di Cassazione che ha annullato la doppia condanna per diffamazione inflitta ad uno studente del Liceo classico «Campanella» di Reggio Calabria. Per la Suprema Corte, le accuse, per quanto possano «offendere» la reputazione dei docenti devono essere inquadrate nelle «battaglie ricorrenti nella vita scolastica» e vanno pertanto considerate alla stregua di una «tipica diatriba della conflittualità scolastica», non passibili di condanna.

Il caso: Gabriele P., studente di liceo, era stato condannato dal Tribunale reggino per il reato di diffamazione «per avere scritto al provveditore agli studi e alla preside dell'istituto una lettera offensiva della reputazione di due prof (Filomena V. e Caterina M.) indicate come le persone che avevano cercato di convincerlo a dare battaglia alla preside in consiglio d'istituto e che lo avevano poi denigrato e perseguitato anche con valutazioni negative del profitto scolastico». Accuse troppo gravi anche per la Corte d'Appello di Reggio Calabria che, nel novembre 2003, aveva confermato la condanna nei confronti dello studente dopo avere sentito le insegnanti offese e sulla base anche della «ammissione della falsità delle accuse» sollecitate in un certo qual modo «anche dalla preside».

Contro la doppia condanna, Gabriele P. ha protestato in Cassazione, facendo notare che la pena era eccessiva considerato anche il fatto che le accuse lanciate alle due docenti erano state, per così dire, «suggerite dalla stessa preside». La Quinta sezione penale ha dato pienamente ragione allo studente annullando senza rinvio la sentenza impugnata «perchè il fatto non istituisce reato». Scrive il relatore Angelo Di Popolo che il fatto va inquadrato «nella comprensibile e normale esagerazione enfatica delle contestazioni critiche degli studenti nei confronti degli insegnanti».

Alla luce di questa considerazione, piazza Cavour osserva che anche se «l'offesa è consistita nella falsa affermazione di pressioni indebite e di comportamenti persecutori nella valutazione del rendimento scolastico», si è comunque trattato di un «riferimento ad una sensazione meramente soggettiva dello studente, connaturale peraltro - tollera la Suprema Corte - al normale contesto di situazioni ricorrenti nell'ambiente e nella vita scolastica».