Stipendi e prestigio:

il disagio dei prof I più vecchi?

Gli insegnanti italiani.

Rapporto dell’Ocse su 25 Paesi: malessere uguale in tutto il mondo

«Servono salari competitivi, partecipazione e carriere dinamiche».

 

di Gabriela Jacomella da Il Corriere della Sera del 19/11/2004

 

La buona notizia è che l’Italia non è sola. La cattiva notizia è che non consola molto sapere che in 25 Paesi del mondo gli insegnanti si sentono esattamente come da tempo sostengono di sentirsi i docenti italiani: sottopagati, poco considerati, male impiegati. E vecchi. Soprattutto nel nostro Paese, quello con la percentuale più alta di over 50 nelle medie inferiori (54%), una cifra cresciuta verticalmente nell’ultimo decennio in tutte le scuole secondarie italiane. E’ l’immagine poco confortante che emerge da Teachers matter: attracting, developing and retaining effective teachers («Gli insegnanti sono importanti: attrarre, formare e trattenere docenti di qualità»), il rapporto dell’Ocse presentato ad Amsterdam in un convegno sul ruolo assegnato a prof e maestri nei vari sistemi scolastici. Per analizzare i punti critici del presente, con uno sguardo verso il futuro.

IL TURN OVER - L’indagine, realizzata tra il 2002 e 2004, prende le mosse da una riflessione di fondo: la preoccupazione espressa dagli stessi docenti sul destino della professione. E mai momento fu più propizio di questo, se si considera che la maggioranza degli insegnanti è stata assunta nella «grande espansione» degli anni ’60-70 ed è quindi vicina alla pensione (il 26% in media dei docenti delle primarie e il 31% delle secondarie hanno superato i 50 anni). «Una sfida di primo piano e un’opportunità inedita per molti Paesi» sostiene l’Ocse. Un numero altissimo di prof e maestri farà il suo ingresso nella scuola nei prossimi 5-10 anni, più di quanti non ne siano entrati nell’ultimo ventennio. E’ importante che l’insegnamento torni a essere una professione ambita. Altrimenti «la qualità della scuola entrerà in declino, in una spirale verso il basso che sarà difficile invertire».

MANCANZA DI RICONOSCIMENTI - Difficile attrarre personale di qualità, però, quando gli stipendi relativi degli insegnanti sono in calo quasi ovunque. La ricerca, ad esempio, per l’Italia equipara la paga di un docente di scuole superiori a quella di un tecnico informatico: con la differenza che, se un ragazzo non capisce la lezione, non si può aprire l’ hardware per dargli una controllata. Da qui la fuga dall’insegnamento dei laureati in materie scientifiche e tecnologiche (il nostro Paese tra l’altro è il primo per lunghezza dei percorsi di formazione, 8 anni in media per una cattedra liceale). Che, se si rivolgono ancora all’insegnamento, è solo per via della congiuntura economica sfavorevole alle aziende. Altra conseguenza: la femminilizzazione crescente - e anche qui l’Italia è in testa, a partire dalle primarie, oltre il 90% di presenze «rosa». Tutto questo a fronte di carriere statiche, riconoscimenti nulli e difficoltà crescenti, tra immigrazione, emergenze sociali, nuove tecnologie.

LO SCENARIO - Le conclusioni dell’Ocse sono nette: agire ora o perdere il treno della formazione. E accettare un crollo progressivo («meltdown scenario» lo chiamano) del ruolo e del valore degli insegnanti. Quindi, le proposte: maggiore partecipazione delle scuole alla selezione dei docenti, incentivi alla mobilità e alla formazione continua, orari e condizioni di lavoro flessibili, riconoscimenti di qualità (con investimenti economici mirati da parte dei governi) e coinvolgimento attivo degli insegnanti nelle politiche scolastiche, salari competitivi. In breve, un modello nuovo. Più flessibile, più selettivo, più al passo con la società. Necessario ovunque, ma soprattutto, forse, in Italia.