"Il Riformista" è il giornale dell’ala riformista dei Democratici di Sinistra
che fa capo all’onorevole Massimo D’Alema. Con questo articolo di Cominelli,
 il giornale strizza inequivocabilmente l'occhio al Ministro Moratti
e alla sua riforma della scuola.
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Ultimi in Europa eppure ci piace lo status quo. - .

Il pre-emptive strike contro la Moratti.

Il 15 novembre i sindacati e il centrosinistra in piazza
per affossare la riforma della scuola.

 di Giovanni Cominelli da Il Nuovo Riformista dell'11/11/2004

 

Il 28 marzo 2003 è stata varata la legge numero 53 di riforma della scuola. Alla legge-delega dovevano seguire, entro 24 mesi, i decreti legislativi di attuazione. Due sono stati già approvati: il primo ciclo (facoltà di anticipo dell’iscrizione, alfabetizzazione informatica, lingua inglese, tutor, portfolio delle competenze) e il servizio nazionale di valutazione del sistema educativo e degli apprendimenti. Due sono all’approvazione: il diritto/dovere e l’alternanza scuola-lavoro. Due sono in elaborazione: i livelli essenziali in materia di istruzione e formazione professionale, la formazione iniziale e il reclutamento degli insegnanti, l’articolazione del ciclo dell’istruzione superiore nel canale liceale e in quello dell’istruzione e formazione professionale. Contro questo processo di riforma si sono scagliate con furore ideologico nel Parlamento, nelle scuole e nel paese le forze di centro-sinistra. Lo faranno anche il 15 novembre prossimo, in appoggio a uno sciopero generale indetto dai sindacati di categoria. La piattaforma dei quali rivendica l’apertura immediata della trattativa contrattuale, maggiori investimenti per la scuola statale, la salvaguardia degli organici, le immissioni in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili ma, soprattutto, ribadisce il giudizio negativo sulla legge 53, il rifiuto della proposta di tutor definita dall’atto di indirizzo che gerarchizzerebbe la funzione docente e romperebbe la collegialità, l’opposizione alla proposta di devolution della scuola alle Regioni, prevista dal nuovo Titolo V, e la netta contrarietà a qualsiasi intervento legislativo di definizione dello stato giuridico del personale della scuola. Non che dispongano di un progetto alternativo, dopo aver fatto a pezzi con le loro mani quello di Luigi Berlinguer. L’unica alternativa al tentativo di cambiare la situazione presente è quella di mantenere fermamente immutata la situazione presente. L’essenza della piattaforma è la richiesta di maggiori posti di lavoro, benché il rapporto insegnanti/alunni sia di 1 a 9,5 (in Europa è di i a 15, nei paesi dell’Ocse i a 17), il rifiuto delle carriere e della modifica di uno stato giuridico che risale al 1974 e, non detto, ma decisivo, la pretesa di far ricadere sotto la contrattazione sindacale privata ogni aspetto della riforma scolastica, che, viceversa, è di competenza del Parlamento, perché riguarda il paese e i cittadini come tali.

Si tratta con tutta evidenza di un progetto conservatore, che difende gli interessi degli addetti. Quanto agli utenti e al paese dovranno rassegnarsi. Intanto, il 38% dei quindicenni dichiara di considerare la scuola «l’ultimo posto dove vorrebbe stare». Il numero dei dispersi è in crescita. L’età media degli insegnanti oscilla attorno ai 49 anni. Le valutazioni internazionali degli apprendimenti essenziali dei quindicenni, confermate dai progetti-pilota di valutazione dell’Invalsi, ci collocano da anni ai gradini più bassi delle classifiche dei paesi Ocse. La scuola funziona così dal 1962, altre riforme non se n’è più viste. Ma lo sciopero del 15 non è solo un prevedibile ribadimento di posizioni conservatrici. Vuole lanciare soprattutto un pre-emptive strike. Il ministro Moratti sta arrivando con affanno alla soglia dell’ultimo anno di governo, costretta nella cruna dell’ago del decreto legislativo, che costituisce l’essenza e l’esistenza della riforma stessa: quello che deve, entro il marzo 2005, articolare il ciclo superiore nei due percorsi formativi dei licei e dell’istruzione e formazione professionale. Lo scenario desiderabile è quello di un sistema, nel quale metà dei ragazzi stia nei licei e l’altra metà nel sistema di istruzione e formazione  professionale, fortemente potenziato sul piano culturale e formativo. Il modello è quello finlandese: dopo nove anni di percorso comune, avvia i ragazzi su due strade, reciprocamente collegate da sentieri e passerelle. La Finlandia è prima nella graduatoria mondiale dei sistemi educativi. Lo scontro che si trascina sotterraneo da mesi vede due protagonisti, convergenti su una piattaforma opposta, che prevede la licealizzazione universale del ciclo superiore e l’integrazione povera e laterale del sistema della formazione professionale: insomma, «il sistema formativo integrato». Si tratta dei sindacati, con annesso centro-sinistra e della burocrazia scolastica. Quanto alla Confindustria, si muove in modo contraddittorio e oscillante. Alle spalle di tutti sta il paradigma gentiliano che continua a dominare la cultura italiana e il senso comune: quello del liceo classico. Tutti gentiliani: di destra, se lo si vuole riservare solo ai ricchi. Di sinistra, se lo si vuole estendere a tutti. Leggere, per credere, tra i tantissimi guru licealisti della cultura italiana, per ultimi Pietro Citati e Umberto Galimberti su Repubblica. Sembra di essere tornati nella Germania di fine Ottocento, quando la grande tradizione idealista, reazionaria e nazionalista, sosteneva la scuola della Kultur e il movimento socialdemocratico impose vittoriosamente la scuola dell’Arbeit. I nostri due corifei della Kultur, credono, ahinoi, di essere progressisti. Di qui la corsa inarrestabile degli anni ‘90 alla licealizzazione degli istituti superiori, con il moltiplicarsi delle ore e degli indirizzi (quasi settecento), con l’irrigidimento dei programmi e con l’aumento dei fallimenti formativi e la burocrazia scolastica è angosciata dall’avvio del federalismo, teme di perdere potere e soldi a favore delle Regioni, qualora almeno la metà del sistema finisse sotto il loro controllo. La Confindustria continua a sognare i diplomati degli anni ‘60 che uscivano con saperi e  professionalità comparabili a quelli degli ingegneri, ma che erano e sono pagati molto meno. Nell’attesa diffidente - non del tutto infondatamente - che le Regioni istituiscano il 4° e 5° anno dell’istruzione e formazione professionale, Confindustria si aggrappa ai licei. Ovviamente dai licei passeranno immediatamente alle Università e costeranno assai di più. Conclusione: l’impasto tra la vecchia cultura gentiliana di parte della destra e di quasi tutta la sinistra, gli appetiti corporativi e politici del sindacato, le illusioni e le incertezze di Confindustria, il centralismo statalistico dell’amministrazione scolastica stanno costruendo un muro, contro il quale, sperano, il ministro andrà a schiantarsi.

Alla fine, se queste resistenze non saranno spezzate con un’assunzione di responsabiità bipartisan da parte delle forze riformiste e liberali nel Parlamento e nel paese, se ministro sarà lasciato solo da partiti distratti da cose più grandi (ma quali, di grazia?) l’esito paradossale vedrebbe Letizia Moratti realizzare la “riforma” che a Luigi Berlinguer non era riuscita nella scorsa legislatura, essendo stato defenestrato dai sindacati e dall’Ulivo. Appunto: il «sistema formativo integrato», vecchia foglia di fico, sotto la quale stava e sta la scolasticizzazione integrale di un sistema educativo classista, che registra passivamente le disuguaglianze inique senza riuscire a modificarle.