Centro Studi Gilda

 

 

Il pisello e il fagiolo

ovvero

Il dramma della scuola d’oggi

 

 a cura di Maddalena Lo Sardo dal Centro Studi della Gilda, 23/11/2004

 

Corrado Ruggiero, due lauree, una in Giurisprudenza e l’altra in Filosofia, ha insegnato per vent’anni in un Istituto Magistrale ed è stato preside all’I.T.C. “Pucci” di Nocera. In seguito è stato dirigente superiore per i servizi ispettivi del Ministero dell’Istruzione e negli anni ‘80 ha collaborato alla redazione dei programmi di studio e di esami degli Istituti professionali e al Progetto 92 di aggiornamento a distanza per i docenti.

Ha, dunque, una lunga esperienza all’interno della scuola, che gli ha permesso di vivere sulla propria pelle i problemi del nostro sistema scolastico e quelli  relativi al tipo di apprendimento dei giovani oggi. In questo scritto, “Il pisello e il fagiolo”*  il cui titolo sembra rimandare ad una fiaba, delinea in modo chiaro  la situazione degli studenti alla fine del loro percorso scolastico pre-universitario.

 

Dentro di loro c’è il vuoto, assenza di cultura, ignoranza nelle scienze matematiche, nessuna preoccupazione di chiedersi se c’è un senso dietro ogni cosa.

Ma quello che più colpisce nei giovani di oggi è l’assenza di spina dorsale, di senso di responsabilità, che, molto a fatica e in grave ritardo, pochi riusciranno a conquistare.

 

Di chi la colpa? Diciamo degli adulti e, tra gli adulti, anche dei docenti che vivono da vicino una situazione scolastica difficile, tanto difficile da avere voglia di mollare e di accettare supinamente quello che il Ministero della Pubblica “d”’Istruzione impone. Ma proprio perché si è toccato il fondo, sarebbe necessario da parte dei docenti uno scatto di orgoglio, un lavorare controcorrente, un battersi contro tutti per riaffermare il diritto alla vera istruzione, alla vera cultura, le uniche due cose che permettono di diventare – uomini e donne - capaci di andare al di là delle parole piene di falsità di chi pretende di guidarci e di stabilire – tout court- le regole del vivere sociale. 

Il pisello e il fagiolo

Qualche settimana fa ho conosciuto un “fagiolo”. Una volta, quando il mondo era più semplice e ci si divertiva con un niente, “ fagiolo” era il grado gerarchico che distingueva gli studenti universitari che si iscrivevano al 2° anno.  Le “ matricole”, i “fagioli”, le “colonne” e così crescendo fino all’interminabile limbo nebbioso dei fuori-corso” (“noi siamo le colonne dell’Università”, si cantava persino, con goliardico fervore).

Dunque, qualche settimana fa, ho conosciuto un” fagiolo”, ma era un “fagiolo” infelice o un “fagiolo” quanto meno preoccupato. Era stato, un tempo, felice ma, ora, aveva perduto l’antico gioioso fervore. In pratica il nostro “fagiolo”, con l’entrata nel secondo anno dell’Università, sentiva crescere il peso della responsabilità degli studi, provava sempre più stringenti, dentro il vivo della propria carne, le tenaglie della severità della vita. Res severa. “Al liceo e alla scuola media mi sono, invece, divertito. Una lunga stagione felice. Otto anni spensierati: tra la fine delle elementari e l’uscita dal liceo. Ora però devo recuperare quel dolce far niente. Devo darci sotto, se voglio impadronirmi, veramente-seriamente, dei miei futuri strumenti professionali”. Il futuro, il lavoro, le affermazioni professionali, il guadagno.

Il nostro “fagiolo” si è appena iscritto al secondo anno di un’università prestigiosa. Frequenta un corso di laurea tra il giuridico e l’economico. Ma non è felice. Era felice quando era “pisello”, quando spensierato viaggiava tra i dieci e i diciotto-diciannove anni di età.

Il paese dei balocchi, quegli anni. Il piacere della scoperta - della scoperta della vita e della scoperta del sapere come chiave per scoprire la vita - sopraffatto quel piacere, dalle fatue felicità legate all’assenza di responsabilità, di progetti, di sogni. Un girare a vuoto più che un vero divertimento. Un girare che, alla fine, ha lasciato un vuoto nel cuore e un vuoto nella mente. Ora però deve recuperare. Recuperare almeno quello che può recuperare. Intanto è costretto a partire da capo,  quasi. Persino dalla lettura, persino dalla scrittura, persino dal far di conto. Certo quando dico lettura o scrittura o far di conto, intendo “lettura profonda”, “ scrittura smaliziata”, “ padronanza dei livelli più reconditi dei numeri e del numerare”. In fondo il nostro “fagiolo” sa leggere, ma non sa penetrare nel tessuto profondo del testo che ha davanti. Sa scrivere, ma è padrone di una scrittura che arriva poco dopo lo stile telegrafico degli sms. Sa contare, ma non sa trovare la chiave per superare le aporie del calcolo superiore. Le finezze semantiche di un romanzo alto, il gioco retorico dolce amaro di una scrittura che sia, insieme, leggera e pesante, l’incontro-scontro di logiche contrastanti (le logiche non logiche o antilogiche che descrivono l’universo! ) sono fuori dai confini delle sue competenze. Della sua comprensione e del suo compatimento. Il nostro “fagiolo” di oggi, una volta “pisello”, non può compatire ciò che non ha capito! Le avventure di Renzo e di Lucia, il loro matrimonio impedito, il loro perdersi, il loro insperato-disperato ritrovarsi alla fine, senza aver capito niente del gran bailamme da cui loro, Renzo e Lucia e i loro compagni, sono stati travolti: tanto rumore per nulla! Quanti scrupoli, la Lucia! Che furibonde e improduttive incavolature, quelle di Renzo! Per non parlare delle altre, di quelle di padre Cristoforo! O della giovinezza di Giovanni Castorp trascorsa nell’esilio della malattia su una “Montagna incantata”. C’è un senso nella vita degli uomini? E, se c’è, chi ne possiede la chiave? Thomas Mann non sa rispondere. Rimane muto di fronte al mistero del senso della vita. Il nostro “fagiolo”, fu tenuto fuori dalla riflessione su questi drammi, nel tempo in cui doveva apprenderli. Non bisognava turbarne l’eccitazione frenetica scambiata per divertimento! Oggi, diventato “fagiolo”, non sa neppure che esistono queste dimensioni e rimane sconcertato. Rimane muto. Si rifugia in un imparaticcio puramente strumentale: bravo avvocato, bravissimo medico. Senza mai chiedersi, che cosa bisogna sapere per essere veramente un bravo avvocato, un bravissimo medico. Il “fagiolo” trascurato quando aveva bisogno della massima attenzione, non ha maturato per niente il sospetto che c’è un senso profondo (che è in fondo, che sta nel profondo) dietro il senso immediato dell’apparire. Avrebbe dovuto imparare quando era “pisello”, nell’interminabile ondeggiare tra l’adolescenza e la prima giovinezza. Avrebbe dovuto almeno imparare, se non il senso profondo (senso profondo che nessuno conosce:fosse anche Manzoni o Mann ), che esiste un senso. Il senso della vita, delle cose che facciamo, dei sentimenti che proviamo. Un apprendimento” inutile”: così fu nei fatti, liquidato allora e viene liquidato oggi. Un apprendimento inutile e perciò da rifiutare perché, dietro ad esso, non si intravede il successo professionale, il denaro, il successo: la divinità suprema dei nostri tempi mediatici. Il “fagiolo” avrebbe dovuto imparare queste cose quando era “pisello”, nel tempo vivo e spensierato che oscilla tra i dieci e i diciotto-diciannove anni. Si è divertito, dice e ridice con ingenua nostalgia. Ma non ha colpa. La colpa è di noi adulti, noi vecchi “carciofi” (tanto per rimanere nella metafora ortofrutticola!) che abbiamo concepito l’adolescenza dei nostri figli come spazio di tempo vuoto, la loro felicità come assenza di ogni responsabilità, come un parcheggio in cui si tengono a mollo i bambini che via via diventano ragazzi e, da ragazzi, giovani.

“Purché non soffrano!”: è stata e continua ad essere la nostra parola d’ordine. Il gusto del sapere disinteressato, del sapere che Dante chiamava cibo della mente? Cibo perché la mente cresca e sia quello che deve essere: pensieri, affetti. Tutto un inutile bagaglio. Il nostro  “fagiolo” crescerà. Forse diventerà un grande avvocato, forse un prestigioso economista. Per ora è già, senza volerlo e senza saperlo, un ottimo psico/sociologo. Sente fino in fondo, e lo sa esprimere con inconscia puntualità, il dramma della scuola. 

 

* Ricavato dagli Atti del Convegno “La formazione iniziale degli insegnanti in Europa”(24/01/03) organizzato dall’Alma Mater Studiorum dell’Università di Bologna e dal C.I.R.E. Centro Interdipartimentale di Ricerche Educative