MASSIMO CACCIARI «Sulla scuola uno sfascio bipartisan» di Iaia Vantaggiato da il Manifesto del 18/11/2004
Dalle pagine del Corsera di ieri, Letizia Moratti si esibisce nell'ormai sperimentata arte di «un colpo al cerchio e uno alla botte». Prima definisce «inaccettabili» i paventati tagli alla scuola, poi spara a zero sui decreti delegati. L'unica vera forma di democrazia partecipativa, dichiara, è «la responsabilità di ciò che ciascuno fa nel concreto». Ne parliamo col filosofo Massimo Cacciari. Approvati tra mille polemiche nei `70, i decreti delegati tornano ora nell'occhio del ciclone. Che ne pensa? Credo che quell'esperienza possa dichiararsi largamente fallita. Del resto, non c'è mai stato un momento in cui abbia contribuito ad arrestare l'evidente ed esiziale declino della scuola italiana. E la colpa non è di nessuno: né degli studenti, né dei docenti, né delle famiglie. Cosa si è inceppato, allora, in quel meccanismo di rappresentanza partecipativa? Sin dall'inizio, è mancata chiarezza e determinazione nel delineare un disegno di sistema complessivo, una idea guida di scuola. La partecipazione è stata - per l'appunto - solo formale. «Discutidora», come avrebbero detto i pensatori reazionari di due secoli fa. Intendendo con questo? Una partecipazione del tutto formale in cui i margini di decisione di chi - per l'appunto - «partecipa» sono nulli. Il risultato è che ci troviamo con una scuola di qualità inferiore e incapace di superare il suo carattere classista. Un modo per uscirne? Ripensare l'intero sistema formativo, farne una priorità e non solo a parole. Quindi cambiare quei fattori che condannano la scuola italiana a rimanere una scuola di classe. Quali, per esempio? L'obbligo scolastico, un sistema di formazione media che porti a procrastinare il più possibile la scelta tra percorso professionalizzante e percorso formativo e, infine, la garanzia di un vero diritto allo studio. Con tanto di sussidi per chi ne ha bisogno e per i più meritevoli. Senza badare a depistanti dichiarazioni di reddito. Non le pare una proposta impopolare? Che fine fa la scuola gratuita per tutti? Lo ripeto. Sussidi per chi ne ha bisogno. E che gli altri - la scuola - se la paghino da soli. E' da qui che bisogna partire per poi passare alla definizione di spazi di autonomia reale e non localistica e alla determinazione dei contenuti. Contenuti che, attualmente, sembrano molto dipendere dai diktat del sistema economico-produttivo. Si tratta di un errore madornale. La scelta dei contenuti non può essere tagliata sulle esigenze di questo o quel sistema produttivo: la scuola - vista la velocità con cui procedono le trasformazioni degli assetti economico-produttivi - verrebbe condannata ad un eterno ritardo. Dunque lei è daccordo con i milioni di studenti che oggi, in tutto il mondo, hanno manifestato contro la mercificazione del sapere? No, questa è solo retorica. Il sapere è stato sempre una merce e, in un'economia della conoscenza chi sa può. Del resto, tuttavia, è pazzo pensare a un processo formativo orientato sul sapere-merce. E i percorsi professionalizzanti, il cosiddetto «avviamento al lavoro»? E' arcaico e ridicolo pensare che la scuola italiana possa essere professionalizzante. Da noi esiste una prevalente impostazione umanistica che va mantenuta: certo, criticamente interpretata e non pedissequamente tramandata. Ed è una impostazione che non può essere sacrificata sull'altare delle tre I. Un altare alla cui costruzione non ha contribuito solo il governo di centrodestra. E' una critica ai governi precedenti? Assolutamente sì. Sono decenni, ormai, che scuola e università vengono massacrate dagli eccessi della burocrazia. La stessa autonomia - nata come strumento per creare spazi creativi - si è ridotta a mero impegno burocratico, ad assillo amministrativo. Dal 3+2 alle dinamiche concorsuali alla catena dei tagli, è stato tutto un «cuci e scuci» ingegneristico destituito di qualsiasi dignità. In questa politica allo sfascio, sinistra e destra hanno lavorato in perfetta continuità. Qualcosa potrebbe ancora cambiare? Quale esso sia, il prossimo governo dovrebbe capire che la scuola è la priorità. E sindacati, partiti ed élite confindustriali dovrebbero comprendere che è arrivato il momento di stringersi in un patto. Élite confindustriali? Cos'è, un'altra provocazione? Il capitalismo italiano deve dirci con chiarezza se ha intenzione di investire seriamente nell'istruzione. Ci piaccia o no, in quel sistema entrano anche i privati. E il loro contributo è indispensabile. Per attrezzarsi ad affrontare temi importanti come quello dell'interculturalità o della formazione permanente, la scuola ha bisogno di soldi, aule e docenti. Alla critica del sistema scolastico e universitario, da qualche tempo, gli intellettuali preferiscono il silenzio. Cosa dovremmo fare? Prendere le armi? |