Prodi e la scuola:
così non va.
di Michele Corsi da
Retescuole del
13/12/2004
Il candidato dei partiti d'opposizione, Prodi,
ha pronunciato un impegnativo discorso l'11 dicembre al Palalido di
Milano. Si trattava, così ci han detto, del discorso di lancio della
lunga campagna elettorale in vista delle vicine regionali e, da qui a
un anno e mezzo, delle elezioni politiche. Non analizzerò questo
intervento sotto il profilo politico generale. Ognuno farà le sue
valutazioni, in siti e spazi diversi da questo. Mi limiterò a
considerarlo dal punto di vista del movimento contro la riforma
Moratti. E da quel punto di vista possiamo senz'altro affermare che il
discorso di Prodi segna un grosso passo indietro delle opposizioni
politiche sul terreno della lotta a difesa della scuola pubblica.
Parlo di opposizioni, dato che là, ad applaudire Prodi, c'erano tutti
i segretari di tutti i partiti che si oppongono a Berlusconi.
Ricordo che, come movimento milanese, abbiamo portato avanti un
pressing durato un anno intero nei confronti del centrosinistra.
Questa azione costante fatta di discussioni, liti, incontri pubblici,
e accordi, ci aveva lasciati, alla fine, abbastanza soddisfatti.
Specie in prossimità delle amministrative, alcuni pezzi grossi a
livello nazionale, si erano impegnati per l'abrogazione della riforma
Moratti, mentre altri non parlavano di "abrogazione" solo per ragioni,
dicevano, "tecniche" ("non si può lasciare un vuoto legislativo,
abroghiamola mettendo al suo posto una nuova legge"). Da un po' di
tempo ci pare che le cose stiano cambiando, in peggio. Per esempio gli
stessi personaggi che a Milano ci dicevano una cosa, poi, abbiamo
scoperto, in altre città dove il movimento è più debole, ne dicevano
altre, o non ne dicevano affatto. Da qualche mese i leader nazionali
del centrosinistra non prendono più posizione contro la riforma
Moratti. Nei dibattiti interni ai Ds e al Prc, in vista dei rispettivi
congressi, di scuola si parla poco. E in alcuni casi assai male. Le
preoccupazioni sono aumentate quando ci siamo accorti, con sconcerto,
che l'analisi più in voga per spiegare la vittoria di Bush era che
Kerry avrebbe assunto posizioni troppo .... di sinistra. Poi arriva il
discorso di Prodi.
Più sotto riporto i pezzi del suo discorso che si riferiscono alla
scuola. Prodi infatti, di scuola, ha parlato. Possiamo accontentarci
di questo? Al contrario, dobbiamo allarmarci. Perché ha parlato di
scuola senza parlar male della riforma Moratti. Anche Berlusconi parla
un sacco di scuola, ed anche il Sole 24 Ore. Ma quando loro se ne
occupano, io mi preoccupo. Frasi del tipo: "Scuola, scuola, e, poi,
ancora scuola. E’ da qui che si parte. Scuola che trasmetta con equità
il sapere e, soprattutto, la capacità di apprendere. Scuola e
università che sappiano riconoscere il merito e promuovere
l’eccellenza. Ma, poi, porte le più aperte possibile verso il mondo
del lavoro" le ha pronunciate Prodi, ma le poteva dire anche
Berlusconi. Non è sufficiente "parlare" di scuola, non è sufficiente
dire "scuola al primo posto" o altre cose fumose del tipo "difendiamo
la scuola", oppure "investiamo nella scuola". Occorre dire cosa si
pensa della riforma Moratti, perché le opposizioni una volta al
governo si ritroveranno quella riforma e dunque hanno il dovere di
dirci cosa se ne faranno. Noi le idee le abbiamo chiare: ne chiediamo
l'abrogazione. Il problema è che Prodi non parla di abrogazione. Anzi,
non parla nemmeno della riforma Moratti. Anzi, non dice nemmeno cose
fumose del tipo "investiamo nella scuola" e nemmeno "difendiamo la
scuola pubblica". Infatti non dice mai "scuola pubblica". A ben
vedere, non dice un tubo. Mi spiace, ma abbiamo bisogno di altro.
Abbiamo bisogno di altre parole.
Lo so che faccio un discorso scomodo. Me ne dispiace, ma siamo sempre
stati un movimento concreto, e abbiamo il dovere di continuare ad
esserlo. Non siamo mai stati una qualche ruota di scorta di una
qualche coalizione. Nessuno di noi si presenterà sul più bello in una
qualche lista elettorale. Siamo noi, papà e mamme, maestre e prof, in
lotta per difendere figli e figlie, studenti e studentesse, da chi li
vuol dividere in giovani di serie A e giovani di serie B. Lo so: siamo
stanchi dell'uomo con la bandana in testa. Attenzione però: questo
genere di stanchezza può giocare brutti scherzi. Ad esempio può
portare a chiudere occhi e orecchie e a immaginare di aver sentito
cose che non sono mai state dette, solo perché lo desideriamo. Là al
Palalido, sul palco, c'era almeno qualcuno che gran parte di noi si
propone di votare. Dà fastidio pensare che quel qualcuno non si sia
dato abbastanza da fare per spingere Prodi a dire qualcosa di
ricevibile sul tema scuola. Ma dobbiamo continuare a ragionare e ad
agire come movimento, e non come una stampella della politica. Gli
ultimi tre anni hanno visto uno dopo l'altro scendere in piazza
potenti movimenti di massa: quello dei girotondi, quello noglobal e
pacifista, quello sindacale, quello della scuola. Questa massa
gigantesca di attivisti è arrivata nella propria testa a conclusioni
"politiche", avendo misurato i limiti di azione di movimento. E dunque
si diffonde un atteggiamento di attesa salvifica nei confronti del
momento elettorale che dovrebbe portare a farla finita con la destra.
E' un atteggiamento pericoloso. Quelli che ci apprestiamo a votare
sono gli stessi che hanno perso, tre anni e mezzo fa. Hanno imparato
la lezione? Ho qualche dubbio. Non conviene abbassare la guardia, non
conviene abdicare alla nostra precisione. Fino a qualche mese fa
eravamo molto esigenti nei confronti dei politici, se non
pronunciavano la parola "abrogazione" non li lasciavamo andare a casa.
Noto tra noi, ora, un eccesso di speranzoso buonismo. Non solo
tolleriamo che non parlino più di abrogazione della riforma Moratti,
ma che non parlino affatto di riforma Moratti. Ma se non parlano male
della riforma Moratti, ma parlano di scuola, allora vendono fumo, o
qualcosa di peggio.
E' esattamente questa la fase in cui dobbiamo essere esigenti nei
confronti di coloro che, presumibilmente, voteremo. Non è questo il
momento di far finta di aver sentito cose che non sono state dette. Se
lo facciamo diverremo complici di un nuovo ciclo, dove, sull'onda
dell'indignazione contro la destra, andrà al potere un centrosinistra
esangue e incolore che di nuovo deluderà i più preparando la strada al
ritorno della destra. Lo so che non ne possiamo più del grande
ladrone, ma non dobbiamo agire come i politici che abbiamo sempre
criticato fino all'altro giorno. La destra ha radici nella società,
oltre che tv e soldi, è la sinistra che le ha perse, le radici, oltre
a non avere mai avuto tv e soldi. Se smettiamo di fare movimento, e
deleghiamo alla politica, trasformandoci in sordi e ciechi tifosi di
una squadra che si allena per perdere, avremo buttato nel cesso un
anno di mobilitazioni. Se i leader del centrosinistra non nominano
nemmeno la riforma Moratti, sono autorizzato a pensare che quando
andranno al governo non se ne occuperanno, forse non si accorgeranno
che esiste. Quindi la lasceranno lì dov'è. Perché, ovviamente, la
riforma Moratti esiste.
Nel nostro movimento milanese, politicamente c'è di tutto. L'abbiamo
costruito così apposta, tutte e tutti insieme. Da parte di quelli che
sono simpatizzanti dell'Ulivo potrebbe esserci la tentazione di
sorvolare sulle amnesie dei propri leader. Con un atteggiamento del
tipo: prima vinciamo, poi vediamo. E' un errore. Che deriva dall'idea
che è possibile vincere se si conquista il "centro", immaginandosi che
esista un mitico settore di elettorato che voterebbe a sinistra se la
sinistra fosse più a destra. Dico loro: apprendiamo dalla nostra
esperienza. Siamo la testimonianza vivente che quella concezione è
sbagliata. Il 14 febbraio a Milano tra i 40.000 che erano scesi in
piazza contro la riforma Moratti c'era un sacco di gente che aveva
votato a destra. Anche nei coordinamenti, tra gli stessi attivisti,
c'è gente che ha votato a destra. Di questa eterogeneità siamo sempre
stati molto contenti. Ebbene: questa gente pensiamo che stia dentro il
movimento perché s'è spostato al "centro"? Ma andiamo! Al contrario,
abbiamo sempre difeso con radicalità, determinazione e senza
compromessi gli interessi concreti di una fetta di popolazione: il
popolo della scuola. Non ci siamo preoccupati di cosa pensasse di noi
Confindustria, ci siamo preoccupati di cosa pensavano i genitori. Non
si conquista gente annacquando, ma partendo da interessi concreti, di
massa, e difendendoli con forza e precisione.
Ma, del tutto legittimamente, al lato opposto, nel nostro movimento,
c'è anche gente che dice: e tu che ti aspettavi da Prodi? Caschi dal
pero? Non ti ricordi più che la sua prima finanziaria nel '96 ha
tagliato 8.000 miliardi alla scuola, cifra non eguagliata dalla stessa
Moratti? E ti ricordi che quella finanziaria l'hanno votata tutti
quelli che ora sono nella Gad? Sì, ricordo tutto. Anche perché da
allora preferisco all'impegno direttamente politico, quello di
movimento. A cosa ci porta però una impostazione di questo genere?
Stiamo sul bordo del fiume ad aspettare il "tradimento" del
centrosinistra per poi poter dire "ecco avete visto, così imparate,
razza di pirloni, a fidarvi dei D'Alema e compagnia!". Dal punto di
vista politico ognuno ha le sue simpatie, ma, di nuovo, come
"movimento", cioè settore di società civile che si muove non sul
terreno della politica, ma su quello "parziale" della scuola, abbiamo
il dovere di influire sul quadro politico per tutelare gli interessi
per cui lottiamo. In poche parole: sul piano politico possiamo
sostenere le idee più radicali di questo mondo, ma, come movimento,
non possiamo non sperare (ed agire di conseguenza) perché anche la
Margherita, e Prodi, si schierino contro la riforma Moratti. Su un
movimento sconfitto e che non ha ottenuto risultati concreti, non vedo
come si possa costruire politicamente nulla, né di moderato né di
radicale.
In poche parole dobbiamo ancora porci nei confronti della politica in
maniera autonoma, come movimento. Senza delegare e senza sperare, ma
pretendendo impegni concreti, anche fino al giorno prima delle
elezioni. Ognuno di noi può farlo, nelle proprie città, o nei propri
partiti se ne abbiamo, nei confronti dei candidati. Se rinunciamo alla
nostra esistenza di movimento che si pone in relazione dialettica con
la politica, facciamo dei danni anche alla politica. Bush ha vinto
perché la società civile statunitense è debole, e in questa debolezza
vincono i peggiori istinti veicolati dall'ideologia dominante. Se
deleghiamo a chi continua ad avere una voglia matta di perdere,
perdiamo. Solo con i movimenti in campo, la destra può essere battuta,
solo con i movimenti in campo, la sinistra sarà costretta a fare la
sinistra.
Dire cose diverse dalla Moratti, però, non significa solo essere
contro la sua riforma. Significa anche essere "per" le nostre bambine
e i nostri bambini. Devo essere sincero? Anche se Prodi avesse detto
di essere contro la riforma Moratti, il suo discorso sulla scuola non
mi sarebbe piaciuto lo stesso. La maniera con cui parla dei giovani mi
deprime. Dice che, come "Italia", "siamo all’ultimo posto per la
crescita tra tutti i 25 paesi dell’unione" e che "se guardiamo
all’istruzione, il confronto è ancora più negativo. Solo il 57% dei
giovani tra i 25 e i 34 anni ha completato le scuole secondarie, il
20% in meno dei loro coetanei negli altri paesi più industrializzati"
e la "qualità della scuola, come la competitività delle imprese, cade
sempre più in basso in tutte le classifiche internazionali", dice che
il mondo è cambiato e che per avere successo nella competizione
internazionale bisogna puntare sull'innovazione "per questo al centro
del nostro programma dovranno essere i giovani" e sempre per questa
ragione dobbiamo avere una scuola "più seria, più severa, più
formativa", più scuola per "misurarsi con il lavoro, e creare
ricchezza per sé e per la nazione." Non posso sottrarmi alla
sgradevole sensazione che i giovani e gli studenti siano considerati
in quest'ottica, da Prodi, come una sorta di "fattore di produzione".
Leggo quelle frasi e penso: ma è questo che voglio per i miei
studenti? E' questo che voglio per le mie figlie? Io insegno e cerco
di educare per far competere meglio le ragazze e i ragazzi "italiani"
contro i loro coetanei di tutto il mondo? I giovani sono la nuova arma
in mano a un'Italia s'è desta in lotta per farsi spazio tra le potenze
della Terra? Penso ai miei studenti, al loro crescente disagio, un
disagio muto, perché spesso non trova parole adatte per essere
espresso, e magari trasformarsi in protesta, in coscienza. Penso ai
giovani della nostra metropoli, travolti dalla corsa forsennata verso
una superiore competitività della "nazione". E mi dico: c'entro
qualcosa, come insegnante e come genitore, con le preoccupazioni di
Prodi? No, non c'entro nulla. E ho la vaga impressione che non
c'entrino nulla nemmeno le bambine e i bambini. Di mettere in
concorrenza i giovani italiani coi giovani cinesi, africani o
statunitensi, non me ne frega un accidente. E ai bambini ancora meno.
Non sono interessato a che i giovani siano competitivi. Mi accontento
che siano felici.
Mi dicono che questa deformazione economicista sia dovuta alla
permanenza del Nostro, per troppi anni, nelle fredde stanze della
commissione di Bruxelles. Qualcuno allora potrebbe spiegargli che in
questi ultimi tre anni la gente in Italia ha ricominciato a muoversi,
a sperare, e la ragione di queste lotte non sta esattamente nello
smanioso desiderio di farsi spazio a gomitate nel mercato globale?
Bentornato Prodi, ma che qualcuno, per favore, ti metta in pari.
Estratti sulla scuola del discorso di Prodi.
Da
http://www.ulivo.it/cms/view.php?id=2&cms_pk=12322
"Siamo all’ultimo posto per la crescita tra
tutti i 25 paesi dell’unione. All’ultimo posto. Il nostro reddito
pro-capite è caduto sotto la media europea. Non era mai successo
prima. Stiamo perdendo quote di mercato nel commercio mondiale: dal
4,5% al 3% tra il 1995 e il 2003. E questo, mentre sia Francia che
Germania hanno mantenuto la loro competitività. In ricerca e sviluppo
investiamo l’1% del reddito nazionale, la metà di quanto fanno, in
media, gli altri paesi europei. Se guardiamo all’istruzione, il
confronto è ancora più negativo. Solo il 57% dei giovani tra i 25 e i
34 anni ha completato le scuole secondarie, il 20% in meno dei loro
coetanei negli altri paesi più industrializzati. E la qualità della
scuola, come la competitività delle imprese, cade sempre più in basso
in tutte le classifiche internazionali, mentre gli insegnanti soffrono
la difficoltà di capire e di risolvere i problemi degli studenti. A
partire dagli adolescenti."
"Il mondo è cambiato: non è più quello del 1996 e le politiche non
possono essere le stesse. Sono cambiati i modi della produzione. Sono
cambiati i fattori del successo. Oggi, vince chi riesce a restare
sulle frontiere dell’innovazione. Un’innovazione fatta di ricerca, di
scuola, di università, di mercati aperti all’ingresso di nuovi
protagonisti. Ma fatta soprattutto di una nuova voglia di provarci.
Per questo al centro del nostro programma dovranno essere i giovani."
"Ma in genere i nostri giovani sono costretti a restare in parcheggio
sempre più a lungo. Anni sprecati perché dai 20 ai 35 anni la nostra
società li spinge a vivere come adolescenti. Dovremo lavorare insieme
ai giovani per una nuova scuola, più seria, più severa, più formativa,
per portare anche l’Italia sulla frontiera dell’innovazione dalla
quale è quasi assente, ma anche per dare nuova dignità al loro lavoro.
I giovani hanno bisogno di conoscere diverse esperienza, di viaggiare
e studiare all’estero, di studiare fianco a fianco nelle università
italiane con decine di migliaia di coetanei di altri paesi. Voi
giovani avete bisogno di conoscenze e di esperienze."
"Questi sono i punti critici dell’Italia di oggi, su cui fare
ripartire l’intero Paese. Queste sono le emergenze. Queste debbono
essere le nostre grandi priorità. I giovani, gli immigrati e il
Mezzogiorno sono le nostre grandi risorse per il futuro. Sono le
risorse più preziose sulle quali investire. Nel quadro dell’Europa e
con l’aiuto dell’Europa. Che fare allora? Scuola, scuola, e, poi,
ancora scuola. E’ da qui che si parte. Scuola che trasmetta con equità
il sapere e, soprattutto, la capacità di apprendere. Scuola, con tutti
i progetti Erasmus possibili, per mettere i nostri ragazzi in contatto
e su un piano di parità con i loro coetanei negli altri paesi. Scuola
e università che sappiano riconoscere il merito e promuovere
l’eccellenza. Ma, poi, porte le più aperte possibile verso il mondo
del lavoro. Per dare ai nostri giovani, ai nostri giovani uomini,
soprattutto, alle nostre donne, l’opportunità di misurarsi con il
lavoro, di creare ricchezza per sé e per la nazione."